Andrea Picchioni, conclusione di una mattinata passata assieme all’amico giornalista Valerio Bergamini, con la prima generazione Picchioni
24 Settembre 2023
Una seconda tappa in Oltrepò Pavese ci porta in frazione Campo Noce, a Canneto Pavese, sempre in compagnia dell’amico Valerio Bergamini, per incontrare il produttore Andrea Picchioni e scoprire la storia di questa realtà che con lui ha trovato la sua prima generazione.
Secondo Andrea una chiacchierata non può cominciare che con un calice di vino e la scelta è ricaduta su “Profilo”, una bollicina a base di 100% Pinot Nero, Pas Dosè, vendemmia 2013 e sboccatura a giugno 2023. Un lungo affinamento per infondere una morbidezza data dal tempo, con un insieme di sentori delicati al naso, note di lampone, fragolina, ciliegia, una nota agrumata di sanguinella, un velato sentore di miele e un sottofondo officinale, non appena si apre. In bocca entra dritto, preciso, verticale, con una buona freschezza nonostante l’età, un’ottima spalla acida e una discreta persistenza.
Le chiacchiere proseguono e il calice si tinge di rosso, con il Pinot Nero “Arfena”, con uve che provengono da un vigneto piantato proprio da Andrea nel 2000, in una zona di Canneto Pavese in cui non c’era alcuna vigna, poiché definita troppo fredda. Un 2021 che affina un anno in barrique per lo più usate, che si presenta delicato ed elegante fin dal suo profumo, con sentori di piccoli frutti rossi, ciliegia, rabarbaro, e un leggero spunto ferroso. In bocca entra fresco, con una buona beva, buona spalla acida e sapidità, presenta un buon corpo e persistenza.
Dopo due calici conoscitivi, ci immergiamo nella storia dell’azienda, fondata proprio da Andrea Picchioni, non provenendo da famiglie di vignaioli e nemmeno di viticoltori. L’unica traccia di vigna era un ettaro scarso appartenuto al padre, il quale produceva vino per l’autoconsumo, cosa un tempo molto comune. Fin da piccolo Andrea ha vissuto in maniera molto positiva le campagne della nonna, che viveva a Canneto Pavese, lasciando in lui indelebile il ricordo dei bei momenti trascorsi. L’inizio dell’attività ufficialmente nel 1988, guidata dalla passione per la viticoltura e il mondo del vino, supportata dalla consulenza enologica ed agronomica. Dalla fine degli anni ottanta è cambiato il mondo in generale e di conseguenza il mondo del vino in sé, trovando oggi una tipicità che talvolta è stata persa, sia nella valorizzazione delle uve tipiche o autoctone, sia nelle metodologie di vinificazione. L’obiettivo di Andrea Picchioni è stato fin dall’inizio quello di valorizzare le varietà più tipiche ed autoctone, oltre al territorio in cui si trova. D’altronde Canneto Pavese è da sempre stata una terra di viticoltura e la vigna ricopriva più del 95% la superficie comunale. “Abbiamo un patrimonio dove la gente per secoli si è spaccata la schiena”.
Nel corso degli anni sono stati acquistati diversi appezzamenti, “fazzoletti di terra”, partendo dalla prima e più storica vigna di Buttafuoco, condivisa con il produttore Franco Pellegrini, un anfiteatro da substrato sabbioso e sassoso esposto a sud-ovest. Qui la temperatura è molto calda e, oltre il soprannome affibbiato dai nostri avi, Buttafuoco, si possono ricondurre altri nomi che fanno ben capire il clima cocente della zona: la frazione dove sorge si chiama Solinga e da un lato troviamo il Montebruciato. Una curiosità su Canneto Pavese è che un tempo la cittadina si chiamava Montu’ de Gabbi, ma, vista la percentuale dei vigneti, i quali venivano sostenuti da canne di bambù e il panorama che questo creava, è stato quasi fisiologico il cambiamento del nome.
Oggi Andrea Picchioni conta nove ettari vitati e un decimo in programma per il prossimo anno. Andrea aspetta almeno sei anni per ripiantare una vigna, dopo essere stata estirpata, non avvalendosi di alcun fondo europeo, che imporrebbe di piantare entro due anni dall’eliminazione del vecchio impianto. Gli appezzamenti si trovano quasi totalmente accorpati, in Val Solinga, in un substrato che presenta circa trenta centimetri di sabbia, i quali si completano di conglomerati e ciottoli di fiume. La prossima volta sarà d’obbligo una visita alla Rocca di Stradella, dove, in uno spaccato della terra, si può ben vedere la conformazione territoriale.
La conduzione è completamente Bio, da molti anni, con tanto di certificazione, che però non viene mai esposta nelle bottiglie: “è troppo di moda, non la metterò mai”. Oltre a rame e zolfo, si effettuano concimazioni organiche (in autunno, dopo la vendemmia), con letame che viene lasciato maturare in cumuli, giovando dell’effetto idroscopico di questa materia. Nella vigna si lavora con mezzi cingolati, viste le pendenze di molti punti e la manodopera è la base del successo che porta ad avere una conduzione attenta e puntigliosa; una persona gestisce fino ad un massimo di tre ettari. “Camminare sulla terra è diverso che passare con il trattore, a piedi ti accorgi se le vigne hanno o stanno per avere qualche problematica e hai la possibilità di un rapido intervento, con il trattore le vedi, ma magari ci passi oltre”. Una grande attenzione anche nella gestione dei mezzi agricoli, che vengono lavati con un sistema che possa recuperare le acque, così da evitare ogni possibilità di impattare le falde con eventuali residui.
Lo scopo di Andrea è rimasto quello di produrre vini di territorio, che siano “sostenibili, etici, giusti”, offrendoli sul mercato con un prezzo equilibrato e non, come si vede oggi, con costi eccessivi o addirittura sotto prezzati. Quest’ultima casistica si verifica, purtroppo, sempre più spesso nelle terre d’Oltrepò, dove le decisioni sono talvolta poco etiche e meno corrette, con persone sottopagate e la scomparsa del ruolo sociale.
La produzione delle bottiglie Andrea Picchioni si attesta sulle settanta/ottanta mila per anno e continuiamo gli assaggi delle sue etichette con il Buttafuoco “base”, annata 2022, che affina in solo acciaio, ma talvolta, in base alle quantità, potrebbe esserci una minima parte di massa affinata in legno.
Al naso emerge una frutta rossa fresca, lampone, fragola, note erbacee, un leggero sottofondo vanigliato. Nello stesso vino annata 2021 la frutta rossa viene messa un po’ da parte, si caricano le note erbacee, prugna, frutta nera, emergono più note di sotto spirito, oltre alla liquirizia. In bocca il primo vino si presenta più fresco, con una buona spalla acida e discreta sapidità, mentre il secondo ha un maggiore corpo, estrae più tannino, pur restando abbastanza fresco, probabilmente con un affinamento in bottiglia che gli regala maggior equilibrio, di buona persistenza. I primi due vini e quelli bevuti successivamente sono entrambi a base di uve rappresentative del Buttafuoco: Croatina, Barbera, Uva Rara, Ughetta.
Passiamo al “Bricco Riva Bianca”, che prende il nome dal nome della vigna, posizionata in una zona più ghiaiosa del Buttafuoco. Due diverse annate anche in questo caso, che affinano per circa due anni in botti grandi di legno, da quaranta ettolitri. Nel primo vino, 2019, emerge una frutta più rossa e fresca, leggera spezia, spunti di rabarbaro, per un palato caratterizzato da una buona acidità, buona beva, più morbido, fine, equilibrato, un tannino più delicato e una buona persistenza. Nel secondo vino, annata 2016, note più terrose, china, con una frutta che si trasforma in sotto spirito, liquirizia e note tendenzialmente più terziarie. In bocca è più austero, con mezzo grado alcol in più, che ne aumenta corpo e alcolicità, caricando il sorso anche di un tannino più irruento e, pur avendo qualche anno di affinamento in più, si può riscontrare maggiore equilibrio e beva nel primo calice.
Prima dell’ultimo vino, un saluto anche a mamma Maria Rosa, definita il “guardiano del faro”, alla veneranda età di…over ottant’anni…è tutti i giorni presente in azienda. “Sono in pensione da molti e molti anni, ma mi fanno lavorare e faticare più di prima”. Andrea confessa che soprattutto durante i processi di cernita delle uve, dopo la vendemmia, la mamma è sempre in prima linea, bacchettando le collaboratrici se fanno passare qualche chicco non troppo bello.
Da sottolineare che le etichette sono state disegnate da Asia, la figlia di Andrea, quando era un po’ più piccina.
E proprio a lei è dedicata l’ultima etichetta che assaggiamo: “Rosso d’Asia” 2019, un blend di 90% Croatina e 10% Ughetta, con fermentazione in acciaio e affinamento in legno tra i quindici e i quaranta ettolitri, per circa due anni. Un vino che vuole essere il simbolo di una Bonarda che, se vinificata in maniera differente a quella dell’autoclave, può esprimersi in un vino di buon corpo, capace di resistere negli anni. Al naso si percepiscono note di frutta rossa, spunti di sotto spirito, spezie, pepe nero ed un sentore di sottobosco. In bocca entra comunque con una buona freschezza, discreta sapidità, buona acidità, tannino delicato, che fa capolino ma non infastidisce.
Un arrivederci ad Andrea Picchioni, per poter approfondire anche le sue campagne, lasciando la maglia numero 281 di Winetelling!