Un pomeriggio passato con Angiolino Maule, alla scoperta de La Biancara, l’azienda naturale che conduce dalla fine degli anni ’80 tra le colline di Gambellara
03 Aprile 2021
Dopo aver bevuto più volte i vini dell’azienda La Biancara organizzo un incontro per scoprire di più questa realtà pioniera dei vini naturali e ad accogliermi è proprio il suo capostipite, Angiolino Maule.
Ci accomodiamo in cantina ed Angiolino inizia a raccontarmi la sua storia e la storia dell’azienda, scortato da un gattino che per tutto il pomeriggio ci fa compagnia alla ricerca di coccole.
Per dodici anni, dal 1977, Angiolino ha condotto una pizzeria assieme all’allora compagna ed attuale moglie, fino ad appassionarsi a tal punto al mondo enologico da acquistare i primi terreni in via Biancara, a Gambellara, in provincia di Vicenza.
Un’azienda che ha iniziato fin da subito ad avvicinarsi alle conduzioni biologiche e biodinamiche, non consuete nel periodo del boom del consumismo e dei consulenti che incitavano all’utilizzo della chimica.
La filosofia di Angiolino Maule che guida La Biancara è quella del miglioramento continuo, le pratiche biologiche e biodinamiche sono state solo il punto di partenza.
Nel 2003 è stata fondata Vini Veri ad oggi Vinnatur, come primo step di ricerca che ha coinvolto sia realtà con la stessa mentalità sia le varie università specialistiche di ogni settore che gravita attorno alla vigna, ai terreni, all’ambiente, alla cantina.
Nel 2006 è iniziato un percorso di ricerca che ha visto come protagonista il sottosuolo e la sua fertilità, con un’analisi sia chimica, sia fisica, sia biologica al fine di poter agevolare il naturale decorso del terreno sottostante per avere una produzione migliore e più equilibrata in pianta.
Negli anni, a causa dell’utilizzo di concimazioni chimiche, diserbi e agenti esterni dannosi, si è perso quello strato organico e humus, utile a favorire un equilibrio e una fertilità del terreno. Riprendendo tecniche pur semplici ma efficaci come la distribuzione di letame o compost vegetale e la semina di cereali e leguminosi, si è ricominciato a dare vita alla sostanza organica favorevole alla vigna ed a riequilibrare il sottosuolo impoverito negli anni.
Si è poi spostato il focus sull’entomologia, per analizzare le qualità e quantità di insetti che giovano alla vite, al fine di conoscere al meglio questi ospiti esterni e poter facilitare la loro presenza mantenendo un equilibrio tra prede e predatori, senza impattare sulle piante con la chimica.
Un approfondimento anche rispetto alla botanica, promuovendo anche in questo caso le specie favorevoli alla vigna all’interno dei filari, indice di benessere anche del suolo.
Lo scopo delle ricerche svolte in piccole cantine e non in grandi multinazionali produttrici di vino per trovare delle applicazioni reali con aziende che lavorano in piccole quantità e non per formulare teorie scientifiche poco applicabili. Uno degli obiettivi a cui tende l’azienda è quello di poter arrivare a non applicare nessun tipo di additivo, promuovendo piante autoctone e non risultati di laboratorio, geneticamente modificate, o strani incroci resistenti.
L’ambiente offre tutto ciò che è necessario per una conduzione ottimale della vite, che trova nutrimento dai ventotto micro/macro/eso elementi, il segreto è promuovere un equilibrio privo di patogeni.
“Tutto comincia da un sogno” e il sogno in questione è quello del contadino che lavora con lo scopo di mantenere o riportare l’equilibrio in vigna, per avere una materia prima di qualità con cui può ottenere un vino senza chimica aggiunta, creando così un modello funzionale applicabile e replicabile.
Angiolino Maule mi racconta di una sua esperienza in Brasile, dove ha partecipato ad un convegno, dopo il quale alcuni viticoltori si sono avvicinati a lui chiedendo la sua disponibilità per andare ad assaggiare i loro vini “naturali”. Questi avevano ben poco di naturale, o meglio la natura aveva preso il sopravvento! Con alcuni semplici accorgimenti e un contatto costante negli anni sono riusciti ad ottenere prodotti sempre più equilibrati, sposando il modello consigliato.
Gli studi effettuati hanno sortito un giusto connubio tra biologia, agronomia, entomologia coinvolgendo le università di Verona, Udine, Trieste e ad oggi le energie e le ricerche sono concentrate sugli aspetti di cantina ed in particolare nella fase di affinamento.
Anche in campagna continuano le sperimentazioni, partendo dal detto che “la morte dei vigneti sono il trattore e la forbice da potare”. In un appezzamento vitato, si sta sperimentando una potatura limitata delle piante e un ingresso in vigneto solo a piedi. I risultati sono sicuramente sorprendenti, con una vite che è più ossigenata e riesce a difendersi di più da peronospora e oidio. Nel 2017 in questo appezzamento è andato perso il 40% di produzione, mentre nel 2018 il raccolto è stato al 100% e nel 2019 con solo un 10% di perdita. Queste sperimentazioni possono confermare il fatto che le piante negli anni sono state troppo assistite e si sono indebolite a causa delle costanti attenzioni dell’uomo.
L’uva, che viene vendemmiata a mano, arriva in cantina e viene pigiata, il ph è solitamente basso, inferiore a 3, ostile ai batteri. La fermentazione alcolica parte dopo due giorni circa a più di dieci gradi centigradi, trasformando gli zuccheri in alcol, aiutata anche dall’inalazione di aria filtrata che permette l’aumento della biomassa dell’uva. L’aria viene inoculata per un giorno intero favorendo la moltiplicazione dei lieviti e dopo otto, dieci giorni tutti gli zuccheri vengono trasformati. L’acido malico, che non viene contrastato dall’aggiunta di solforosa, si trasforma in lattico.
Finita la fermentazione malolattica, il vino affronta la fase di affinamento, lasciato sulla feccia fine, con costanti battonage, fino al mese di aprile. Le ricerche sugli affinamenti hanno dimostrato che c’è una carica batterica maggiore sulla feccia fine che sulla feccia grossa. Teoricamente, si potrebbe mantenere il vino sulla feccia grossa, precedentemente congelata, e immessa nuovamente nelle botti per mantenerlo al meglio ed evitare cariche batteriche eccessive. Questa teoria non è ancora stata sperimentata, ma ipoteticamente potrebbe essere una strada corretta.
La Biancara conta tredici ettari di proprietà e sette in affitto, dislocati in undici zone, nelle quali sono state identificate tre cru principali: Taibane, Faldeo, Monte di Mezzo, dove si produce la Garganega destinata al Pico. Sono tutte all’interno dei duecento ettari della Gambellara Classica e presentano delle micro-differenze tra esposizione e sottosuolo: la prima a sud ovest, alla fine del vulcano, con un terreno calcareo-argilloso, la seconda, con una conformazione “a schiena di cavallo”, presenta un terreno vulcanico più caratterizzato dal silicio e non dal basalto, mentre l’ultima ha un terreno misto di argilla, calcare e basalto. Dal 2006 vengono effettuate vinificazioni separate per capire come la natura e le diverse sfaccettature territoriali impattano sul prodotto finale, che poi viene assemblato per ottenere un blend uniforme con caratteristiche indotte da ogni appezzamento.
Ogni anno vengono prodotte tra le centoventi e le centocinquantamila bottiglie, commercializzate in tutto il mondo, con una gran fetta destinata al Giappone, Paese nel quale Angiolino Maule è diventato una star del vino.
Tra le lunghe chiacchiere andiamo a fare un giro in cantina e ci dedichiamo ad alcuni prelievi dalle botti, cominciando dal Sassaia, una Garganega che per metà fa una breve macerazione sulle bucce, solo per l’inizio della fermentazione, e l’altra metà viene invece pressata direttamente.
Viene poi fatta riposare in botti grandi da trenta ettolitri ed imbottigliata nell’agosto dell’anno successivo, evitando l’utilizzo di solforosa. Un vino fresco con un’ottima beva, dai sentori di frutta a polpa gialla, agrume, un sottofondo tostato ed in bocca una mineralità accentuata tipica del territorio.
Un assaggio delle tre vinificazioni singole di: Faldeo, Terra di Mezzo e Taibane, che vengono unite per creare il blend del Pico, ma talvolta, nelle migliori annate, imbottigliate anche singolarmente. Si possono notare le micro-differenze che caratterizzano i diversi territori: nel vino proveniente dalla zona del Faldeo un’eleganza e finezza maggiore, per poi passare alle erbe aromatiche e balsamicità del Monte di Mezzo, con un trait d’union sui sentori floreali, di frutta a pasta gialla, una leggera speziatura. Sicuramente la mineralità e la piacevolezza di beva fanno da padrone in tutti e tre.
Prima dei saluti, un assaggio di Chenin Blanc che sta affinando in barrique, una sola botte con cui vengono prodotte trecento bottiglie all’anno per gli amici.
A completare la gamma dei vini de La Biancara, un rifermentato in bottiglia “Garg’n’go” (per la rifermentazione viene utilizzato il mosto di Garganega passita), un Merlot in purezza, “Rosso Masieri”, blend di uguali parti di Merlot e Tai Rosso e “So San”, Tai Rosso in purezza.
Un pomeriggio immerso nel mondo di Angiolino Maule e dei vini naturali de La Biancara, un sogno che si sta sempre più trasformando in realtà, anche se la ricerca sarà sempre infinita, si stanno facendo passi da gigante per ripristinare un terreno che negli anni è stato bistrattato.
Qualche scorta di vino da portare a casa tra cui una preziosa bottiglia di Chenin Blanc e maglietta numero 27 ad Angiolino Maule!