Aurélien Lurquin, una prima tappa che non passa nemmeno dall’appartamento, per sfruttare al meglio questa uscita tra le colline della Champagne
Solo il tempo di scendere dall’aereo, noleggiare un’auto, percorrere la strada che dall’aeroporto di Paris Beauvais arriva in Champagne ed eccoci alla prima visita in cantina: Aurélien Lurquin.
Siamo nel piccolo villaggio di Romery, nella Vallée de la Marne e la cantina si trova all’interno del paese, un luogo conservatosi come un tempo, fermo agli anni ’60-’70. Il padrone di casa Aurélien non c’è, cosa di cui ero stato avvertito precedentemente, ma ad accogliermi è stato Guillaume, collaboratore del vigneron sia per i processi di vigna sia di cantina.
La storia di questa piccola azienda comincia nel 2007, quando Aurélien Lurquin ritorna nelle terre natali, dopo aver fatto alcune esperienze in Borgogna e in altri posti della Francia, sempre correlate al mondo della viticoltura e produzione di vino. L’abitazione e i circa tre ettari vitati appartenevano ai nonni, i quali facevano una piccola produzione di vino, oltre a vendere le uve. I genitori non continuarono l’attività e i terreni sono stati gestiti dai cugini, della più grande azienda del paese di Romery, Tribaut.
Nel 2012 è stata acquistata la pressa, da Epernay, e, nel corso degli anni, si è adottata una lavorazione dei vigneti, situati tutti nel villaggio, in maniera sempre più sostenibile e favorevole alla natura possibile. L’uva raccolta, dopo essere stata vendemmiata, viene lasciata in una stanza refrigerata fino alla pressatura soffice e il mosto ottenuto, per gravità viene trasferito nella cantina di fine ‘800 sottostante alla casa, in contenitori di acciaio o barrique esauste, provenienti dalla Borgogna.
Spostandoci in cantina si può vedere dove avviene la seconda fase del processo, una fermentazione del tutto spontanea in un ambiente sotterraneo con un insieme di grotte, nelle quali sono riposti i pochi vasi vinari utilizzati. Scontato dire che non si effettua alcuna filtrazione e il processo “più impattante” è una prima sedimentazione, per poi lasciare il vino in affinamento sui propri lieviti più fini.
In cantina non ci sono ricette o regole da seguire, ma si basa tutto sull’andamento dell’annata e su come evolve il vino. L’uso di solforosa è estremamente basso o addirittura pari a zero, come si può vedere dalle scritte all’esterno delle botti. Dopo almeno un anno di affinamento si imbottiglia e si lascia il vino sui lieviti fino alla sboccatura.
Le botti più vicine all’ingresso sono quelle ottenute dalla vendemmia 2021, un’annata difficile e poco generosa che ha sortito tre barrique, rispettivamente di Pinot Meunier, Pinot Nero e Chardonnay. Da qui preleviamo qualche assaggio e, pur essendo vini che sono in fase di affinamento si possono sentire le note vivaci e fruttate di tutte le basi, con una caratteristica che è una costante: un’acidità estremamente elevata sia nello Chardonnay sia nel Pinot Meunier sia nel Pinot Nero.
Dopo le nuove annate ci spostiamo in una delle insenature grottesche della cantina per “rubare” anche un Pinot Nero del 2020, dove andiamo a trovare i piccoli frutti rossi, una ciliegia e note di rosa rossa; oltre ad uno Chardonnay, più pieno del precedente e, in entrambi i casi, con un’acidità che comincia ad attenuarsi, facendo emergere anche una parte minerale, maggior rotondità e complessità.
Un assaggio anche di una barrique non del tutto colma, che contiene uno Chardonnay proveniente dalla zona di Les Crayeres du Levant, annata 2020. Qui troviamo una piacevole ossidazione con spunti di frutta secca e disidratata, buona complessità, spalla acida e mineralità; una base di cui non si sa ancora il destino, ma sicuramente avrà un futuro molto interessante.
Da un’altra botte un assaggio di Chardonnay all’85% e Petit Meslier per il restante 15% che effettuano una macerazione di quattro/sei settimane per poi affinare in barrique almeno tre anni e altri tre anni in bottiglia. Un vino dai sentori più “morbidi” dei precedenti assaggi con una frutta matura e spunti floreali, oltre ad un’acidità più tenue e smussata, ma un gusto pieno e di buona persistenza.
Per concludere gli assaggi dalle barrique un piccolo furto anche del Pinot Nero dedicato al Coteaux Champenoise, vino fermo vinificato “in rosso”. Un Pinot Nero 2020 che sprigiona sentori di piccoli frutti rossi, tabacco, sottobosco, ancora scomposto in bocca, con una ricca acidità e un tannino che si fa sentire; sicuramente con un lungo cammino davanti.
La produzione di bottiglie è molto limitata e se vogliamo individuare una media annua, questa si attesta tra le quattro e le seimila, con un 70% di Champagne e il rimanente 30% di Coteaux Champenois.
Dopo gli assaggi non ci resta che toccare con mano da dove arriva la materia prima ed assieme a Guillaume, alla guida di un buggy, ci avventuriamo tra le strade sterrate e le vigne di Romery.
La prevalenza delle uve è di Pinot Nero, seguita da Pinot Meunier, Chardonnay e un 3% di Petit Meslier con vigneti ben riconoscibili, caratterizzati dall’inerbimento spontaneo e talvolta favorito con dei sovesci, delle isole verdi in mezzo a tanti appezzamenti dove ancora si usano i diserbanti. Quest’ultimo fattore implica che l’uva prodotta dai primi due filari di ogni vigneto di Aurélien, a confine, non viene vinificata e talvolta venduta.
Tra le basse vigne, tipiche della zona dello Champagne, si trovano alberi da frutto e oltre all’erba, della legna sbriciolata a filari alterni, materiale proveniente dalle vicine foreste, ottimo metodo per infondere lentamente (anche in due/tre anni) l’anidride carbonica alla terra. Il sottosuolo è variegato e dipende dalla posizione delle diverse parcelle, trovando una minima quantità di argilla, alcuni sprazzi di sabbia, ma per lo più roccia gessosa e una parte di selce.
Un tour che si è concentrato nell’appezzamento più grande: “Les Crayères de Levant”, con esposizione “dove nasce il sole”, ad est e la prevalenza di Pinot Nero, per poi costeggiare gli altri appezzamenti, “Les Traverses” e “Les Forcieres”, fino a quello più antico, sempre di Pinot Meunier, piantato dal nonno, nel 1947. Aurélien Lurquin, per gran parte delle lavorazioni utilizza il cavallo, riducendo l’impatto del trattore e le vendemmie vengono solitamente divise in due, la prima per le basi spumante e la seconda per la produzione dei Coteaux Champenois, circa dieci/quindici giorni dopo.
Una curiosità: l’azienda fa parte del gruppo di vignaioli, circa una quindicina, “Des Pieds et Des Vins”, tutte piccole aziende che lavorano senza o con una bassissima aggiunta di solforosa, oltre ad avere una ridotta quantità di ettari vitati; il più grande ne ha una decina.
Un ringraziamento a Guillaume in attesa di tornare a Romery per conoscere di persona Aurélien Lurquin e magari avere il piacere di bere una delle sue rare bottiglie!