Una mattinata in Oltrepò Pavese assieme a Paolo Verdi, nell’azienda di famiglia che prende il nome dal padre Bruno Verdi
30 Settembre 2022
Non ci sono sabati né domeniche nelle aziende vitivinicole e, in una mattinata di piene fermentazioni, incontro Paolo Verdi, titolare dell’azienda di famiglia, assieme alla sorella Monica, che prende il nome da papà Bruno Verdi.
Siamo in via Vergomberra, a Canneto Pavese, in una sorta di piccolo borgo del ‘700 nel quale la famiglia Verdi è ormai presente da otto generazioni, contando quella dei figli di Paolo, Jacopo e Laura. La vigna è da sempre stata un’attività di famiglia e ad inizio del ‘900 si contavano sessanta ettari di cui quaranta in collina e venti in pianura, piantati sia a seminativo, sia ad ortaggi, appezzamenti dedicati al bestiame e una parte di vigneto. Nel secondo dopoguerra vennero frazionate le proprietà e dalle quattro famiglie eredi, solo quella di Bruno continuò a fare il vino, ripartendo dai due ettari ricevuti.
Fin dall’inizio è stato prodotto sia vino da vendere sfuso sia vino da imbottigliare, puntando, oltre che sui vini fermi, sulle bollicine Metodo Classico. Paolo si appassionò fin da subito ai lavori di vigna e cantina, essendo nato e giocando tra le vasche e le botti, ed entrò a lavorare con il padre nel 1981, a diciott’anni, quattro anni prima della sua scomparsa. Rispetto a papà Bruno, Paolo si concentrò sul graduale ampliamento dell’azienda per produrre le proprie uve da vinificare, al contrario del predecessore, che acquistava alcune partite sia di uva sia di vino, vista la grande richiesta dei vini della cantina.
Oggi gli ettari di proprietà sono diventati ventitrè, di cui dodici vitati, sette in preparazione e la restante parte boschiva; ripristinando lentamente e con l’acquisizione di alcuni terreni abbandonati dai cugini, quella che era l’azienda di un tempo, ma senza volerla ampliare troppo. I vigneti si trovano tutti nell’arco di un chilometro dalla cantina, in un territorio collinare a circa duecento metri sul livello del mare. In alcuni punti la pendenza è molto elevata e i lavori sono talvolta complicati, con il rischio di frane e smottamenti. Il substrato è caratterizzato da poca argilla, che lascia spazio a sabbia e calcare, con terreni profondi che vedono il tufo a quattro/cinque metri.
Le lavorazioni seguono una filosofia aziendale di rispetto sia in vigna sia in cantina, rispettando alcuni parametri BIO, nessun diserbo e sovescio dove necessario; con un utilizzo molto basso di solforosa, prevalentemente in fase di imbottigliamento.
La cantina si sviluppa in tre diversi piani e il primo che approfondiamo vede dei tonneau posizionati verticalmente, nei quali sta svolgendo la fermentazione alcolica, innescata da un pied de cuve, dei tre vini rossi principali, due già inseriti nel mercato ed una novità. Nello specifico si tratta dell’Oltrepò Pavese Rosso Riserva “Cavariola”, a base di Croatina, Barbera, Uva Rara, Ughetta e una Barbera; mentre la novità è lo storico Buttafuoco, che segue un blend simile al primo vino.
Venticinque/trenta giorni di macerazione per queste uve, che vengono follate a mano più volte al giorno da Jacopo.
Una curiosità sul Buttafuoco è che questo nasce da un’associazione fondata venticinque anni fa da alcuni produttori situati in sette comuni, di cui Canneto Pavese è il centro. Questa fu creata per preservare e dare luce al territorio e una dei fondatori è stata proprio la Bruno Verdi, uscita successivamente poiché non c’era più la possibilità di produrre un vino di qualità con quelle caratteristiche e rientrata nel 2021, grazie ad un nuovo impianto, ormai di dieci anni, dedicato alla produzione di un grande rosso, in uscita tra tre anni.
In questo piano della cantina troviamo anche il figlio Jacopo, entrato anche lui a diciott’anni in azienda, intento a fermare la fermentazione del mosto del Sangue di Giuda, attraverso una centrifuga che travasa il vino da un contenitore all’altro.
Contenitori che in questo spazio sono per lo più di vetroresina ed acciaio.
Scendendo si accede alla parte più vecchia della cantina, dove risiedono le vasche in cemento, in parte restaurate e collegate ad un impianto di refrigerazione, in parte rivalutate come magazzino di stoccaggio; per poi accedere alla barricaia dove affinano solo i vini rossi (gli unici a fare la fermentazione malolattica). Tra i vari corridoi sotterranei scopro anche una riserva storica, con annate conservate fin dai primi anni del lavoro di Paolo in cantina e diversi Metodo Classico ancora da sboccare o con vecchie sboccature.
Spostandoci nella parte esterna si notano i lavori di ingrandimento della cantina, quasi arrivati alla fine, ma con il progetto di ulteriori ampliamenti e miglioramenti degli spazi. La nuova struttura si collega a quella costruita da Bruno Verdi negli anni ’50 e ’70, affiancata alla parte più storica in mattoni “faccia a vista” risalente ad almeno duecentocinquant’anni fa. Nel 2021 sono state acquistate anche una nuova pressa e una pigiatrice per permettere una pressatura soffice delle uve dedicate alla base dei Metodo Classico, che in azienda sono tre per un totale di circa quattordicimila bottiglie per anno (che vogliono arrivare a venticinque/trentamila nei prossimi anni). La produzione annuale si attesta sulle novantamila bottiglie, con ben undici etichette tra bianchi, rossi e bollicine. Giunti alla nuova sala degustazioni, costruita adiacente alla cantina sette anni fa, partiamo proprio con una bolla ad assaggiare i vini Bruno Verdi.
“Vergomberra” dosaggio zero è il Metodo Classico più rappresentativo, con uve Pinot Nero e Chardonnay, sboccato in questo caso dopo trentotto mesi di riposo sui lieviti (di media si tiene tra i trentotto e i quarantacinque mesi).
Al naso un profumo di fiori gialli, ginestra, ma anche gelsomino, toni erbacei, mentuccia, uno spunto di pasticceria e un tocco balsamico, per un palato dalla bolla fine, una buona acidità, fresco e persistente. Gli altri due Metodo Classico sono un Rosato di Pinot Nero e un Pinot Meunier; uve piantate nel fondo delle vallate in zone più soggette alle gelate con l’idea di essere utilizzate per il blend del Vergomberra.
Passiamo al “Vigna Costa” 2020, un Riesling Renano nato quasi per caso a fine degli anni ’80, poiché un contadino vicino di casa dei Verdi aveva queste uve che non riusciva a vinificare. Dopo alcuni anni di vinificazione e ottimi risultati anche Paolo decise di piantare questa varietà e vinificarla senza particolari affinamenti. Vino dai sentori di pompelmo, frutta secca, primi spunti di idrocarburo, per un sorso ricco di acidità, abbastanza minerale e persistente. Forse pecca un po’ di giovinezza e sarà da riassaggiare più in là nel tempo.
Il mondo dei rossi si apre con “Buttafuoco” 2021, blend di Croatina, Barbera ed Uva Rara che affina in solo acciaio o cemento così da far spiccare sentori freschi e fruttati, di piccoli frutti rossi, ciclamino, viola mammola, rosa, note ematiche ed una leggera spezia. In bocca entra morbido e chiude con una parte tannica, passando per una buona acidità e buona beva pur avendo quattordici gradi alcol.
Viste le uve in macerazione all’inizio dell’incontro, andiamo ad assaggiare il risultato finale della Barbera “Campo del Marrone” 2019 che prende il nome da una delle vigne della famiglia di Bruno Verdi, di cui si ha una prima documentazione in un atto notarile intestato al trisnonno di Paolo, Luigi Verdi, risalente al 1900. Qui l’affinamento prevede sia tonneau che barrique e i sentori si caricano di frutta a bacca scura, liquirizia, tabacco dolce, note speziate, spunti eterei. In bocca è abbastanza morbido, con una ricca acidità, tannino limato e buona persistenza, ma anche in questo caso il tempo gli può dare un maggiore equilibrio.
La punta di diamante dell’azienda Bruno Verdi in termini di vini rossi è decisamente il “Cavariola” che assaggiamo nelle annate 2018 e 2012. Il blend è composto da Croatina, Barbera, Uva Rara, Ughetta di Canneto e, dopo la macerazione e fermentazione in tonneau, l’affinamento prevede un paio d’anni in barrique.
Un primo vino che si presenta ancora giovane e fresco, con note di frutti di bosco, spunti di spezia, note terrose, sentori verniciati, con un tannino scalpitante e ancora in fase di equilibrio; mentre il 2012 sprigiona un fragrante tripudio di frutti rossi, sottobosco, note ematiche, un tocco floreale, per un maggior equilibrio al palato, tannino più delicato, buona acidità e persistenza. In entrambi i casi molto buona la beva, pur avendo rispettivamente 15,5% e 14,5% di alcol.
Un’apertura di giornata in Oltrepò Pavese avvenuta nel migliore dei modi e per questo Paolo merita la maglia numero 188!