Alla scoperta del Castello di Lispida, nascosto tra i Colli Euganei, con una cantina sotterranea di duemila metri quadrati risalente alla fine del 1800
03 Marzo 2021
Finalmente sono riuscito ad incastrare una visita al Castello di Lispida, che svetta nei pressi di Monselice, nel Parco dei Colli Euganei. Ad accogliermi è Silvia, quasi sommelier e tuttofare all’interno di questa realtà dalle tre anime: accoglienza, eventistica e cantina.
Castello di Lispida nasce come monastero nel 1150, appartenuto all’ordine degli agostiniani e dedicato a Santa Maria di Ispida, come si evince in alcune scritture di papa Eugenio Terzo; fino al 1450, anno nel quale i terreni furono confiscati e la proprietà passò al doge di Venezia Giovanni Mocenigo con lo scopo di sfruttare al meglio la produzione vitivinicola e l’estrazione della trachite, tipica roccia vulcanica dei Colli Euganei.
La conformazione della struttura che si presenta oggi è frutto dell’acquisizione da parte dei conti Corinaldi, che acquistarono il Castello di Lispidal 1792. Grazie alla nobile famiglia il monastero venne trasformato in villa, nella quale risiedevano, e i campi circostanti lavorati sia con frutta ed ortaggi, sia destinati, in prevalenza ad una florida attività vitivinicola. La cantina sotto alla villa venne fondata nel 1860, composta da nove tunnel paralleli e duemila metri di spazio, nel quale risiedono ancora le vasche in cemento originali, dove si può notare affisso il nome della famiglia Corinaldi e la data 1908. Si racconta che gli ettolitri di vino prodotti tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 erano circa venticinquemila, esportati in tutta Europa e che nell’azienda di un tempo vi erano impiegate almeno seicento persone.
Spostando lo sguardo all’esterno, una sorta di epigrafe svetta nella facciata principale della villa, a simboleggiare la permanenza del re Vittorio Emanuele Terzo, alla fine della prima guerra mondiale. Recentemente uno storico ha ritrovato una lettera dell’archivio di Stato di Torino, nella quale è scritto che si consigliava al re di rimanere qualche mese in più tra i Colli padovani per la sua sicurezza, a causa dell’influenza spagnola. Vittorio Emanuele si fermò fino al successivo marzo e non tornò subito dopo l’armistizio del 4 novembre, firmato a Villa Giusti, struttura situata ad una decina di chilometri dal Castello di Lispida.
Nel 1928 la proprietà venne acquisita dalla famiglia Sgaravatti che ancora oggi ne mantiene il possesso tramite l’erede Alessandro Sgaravatti che porta avanti le tre attività citate in apertura di questo articolo, mantenendo una filosofia di pace e tranquillità, sia nel soggiornare in una delle dieci residenze sia nel poter godere di un calice di un vino, che oserei definire insolito per i Colli Euganei.
Scortati dal cane Masha, uno sguardo alla cantina sotterranea, nella quale si può ammirare la sua forma mantenuta originale nel tempo, con i lunghi tunnel e le vecchie vasche di cemento che hanno una capienza di centinaia di ettolitri. L’occhio cade subito sulle anfore interrate, un’idea nata dall’amicizia tra il titolare e il produttore di Oslavia Josko Gravner, che, oltre al suggerimento dell’anfora, ha portato la Ribolla Gialla tra i Colli Euganei. Un’altra amicizia ha tinto di rosso un altro aspetto dell’azienda, questa volta con Gianfranco Soldera, artefice della coltivazione del Sangiovese sulle colline padovane.
La proprietà si estende per circa novanta ettari di cui quattro e mezzo sono a vigneto, in un terreno vulcanico ricco di trachite. Le lavorazioni della vigna sono minimali, con un inerbimento totale e uno sfalcio dell’erba manuale del sottofila.
In cantina i processi di vinificazione sono seguiti dall’enologo Daniele Rigo, una vecchia conoscenza, che applica una filosofia totalmente artigianale al fine di rispettare il più possibile il territorio e le uve: fermentazioni spontanee, macerazioni lunghe, bassissimo utilizzo di solfiti, aggiunti solo in fase di imbottigliamento.
Le bottiglie prodotte sono circa diciottomila per anno e gli assaggi partono da un rifermentato in bottiglia di Glera, al bancone di quella che fino a qualche anno fa era una piccola enoteca di libero accesso. Vino dai sentori di agrume, scorza di limone, cedro, bergamotto, gelsomino, note iodate per un sorso dalla bolla piena e grossolana, ricco di mineralità, buona acidità, discreta persistenza e un finale amarognolo.
Spostando lo sguardo si possono notare alcune botti da cinquecento litri ancora imballate, dalla media o leggera tostatura, che andranno a prendere il posto delle botti grandi precedentemente utilizzate.
Il primo dei due bianchi assaggiati è “Teralba” 2018 blend di Tocai e Garganega, uve che restano a contatto separatamente in tini tronco conici di rovere per un paio di settimane con le proprie bucce, per poi riposare per un anno, dipendentemente dall’annata, in botte di legno. Vino dai sentori di frutta matura, mela gialla, erbe aromatiche, timo, miele, fiori gialli, note solfuree; per un palato fresco, pieno, minerale, ben equilibrato, con una discreta acidità e persistenza.
Il secondo bianco è “Amphora” 2018, uvaggio di Tocai e Ribolla Gialla che, come si evince dal nome, dopo una macerazione di sei mesi in anfora resta a riposare nello stesso vaso vinario per altri diciotto mesi. Anche qui la frutta matura la fa da padrona, oltre a salvia e sentori di macchia mediterranea, frutta candita, note erbacee, resinose e di ginestra, con caratteristiche simili al precedente in bocca nella quale si percepisce una leggera nota tannica e una maggiore persistenza.
Castello di Lispida prende il nome dalla zona in cui è sorto, una collina ispida e talvolta poco ospitale, in cui un tempo sorgeva anche la chiesetta di Santa Maria di Ispida, a cui era dedicato il monastero, struttura andata persa nel tempo.
L’assaggio dei vini rossi comincia con il “Terraforte” 2017, blend di Sangiovese e Merlot che affina in botti di legno per circa due anni. Un rosso dai sentori fruttati, di frutti rossi freschi, lampone, ribes, frutti di bosco, violetta, rosa rossa, un leggero sottobosco e tabacco bagnato, alcune note ematiche e qualche spunto di vaniglia per un vino di buona beva, con una buona acidità, minerale, abbastanza persistente e dal tannino ben amalgamato.
Passiamo poi al 100% Sangiovese “Amphora” 2017, macerato per circa quattro/cinque mesi all’interno delle anfore interrate e affinato in botte di rovere, per circa due anni. Sangiovese nel quale la frutta si concentra ed emergono note di marasca, piccoli frutti neri, mora, sottobosco, fungo, liquirizia, terra bagnata, grafite, per un palato comunque equilibrato, un tannino che emerge maggiormente rispetto al precedente vino, buona freschezza, mineralità e lunghezza.
La conclusione con il Merlot “Montelispida” 2015, un’uva le cui barbatelle sono state portate dalla Francia sui Colli Euganei nel 1870, grazie ai conti Corinaldi, i quali hanno dato vita alle prime coltivazioni di Merlot nel territorio.
Un vino che affina per due anni in botte e almeno sei mesi in bottiglia prima di essere venduto, per esprimere sentori di frutta sotto spirito, frutti neri, prugne essiccate, sottobosco, foglie di tabacco bagnato, cioccolato, note balsamiche, per una buona freschezza in bocca, minerale, con una buona spalla acida, tannino setoso e lunga persistenza.
Riemergendo dalla cantina sotterranea e tornando alla luce solare un ringraziamento a Silvia per la visita al Castello di Lispida e la chiacchierata; per lei maglietta numero 144 e un incoraggiamento per portare a termine il corso sommelier.