Una giornata uggiosa al Ristorante Il Calandrino di Sarmeola di Rubano per assaggiare i vini di Julian Reneaud e della sua Colline Albelle
24 Giugno 2024
Una giornata di pioggia e nuvole ci porta a Sarmeola di Rubano, nel padovano, al ristorante Il Calandrino, per conoscere Julian Reneaud e i vini dell’azienda toscana che ha fondato, Colline Albelle.
Ultima tappa di un road show comunicativo organizzato dall’agenzia 32 Consulting di Milano, cominciato proprio nella città meneghina, per finire nel padovano, passando per Roma ed Amalfi.
Un’occasione per scoprire il progetto di Julian, un francese che si è innamorato delle colline toscane di Ripabella, in provincia di Pisa, dove ha fondato la sua azienda.
Le sue origini sono di Carcassone, a sud della Francia, e, dopo gli studi in enologia, ha deciso di viaggiare alla scoperta della viticoltura mondiale, volendosi dedicare a questo settore senza discendere da famiglie di vignaioli. L’unico suo limite era quello economico, così da farlo arrivare in autostop al porto di Bordeaux e barattare qualche lavoretto in uno yacht che lo ha portato a Cuba. Da Cuba, passando per il Messico, ha raggiunto la California, con in tasca qualche spicciolo e un permesso di lavoro temporaneo, trovando occupazione per la vendemmia in un’azienda californiana. Dal porto di San Francisco una barca lo ha portato verso ovest, tra Australia e Nuova Zelanda, per poi tornare in Europa via terra, passando per l’Asia e la Russia.
Dopo un anno e mezzo in Sud Africa e un breve periodo in Asia, dove è stato sempre occupato in lavori di campagna e cantina, ha trovato occupazione nello staff di una delle più blasonate aziende californiane, Opus One. Un’esperienza durata dal 2011 al 2013, dove sono stati conquistati anche i cento punti Parker, risultato che ha messo in luce il team dell’azienda, facendo ottenere ottime proposte di lavoro in tutto il mondo.
In quel frangente Julian è stato chiamato in Toscana per dirigere un’azienda dal punto di vista tecnico e produttivo e “a venticinque anni non potevo dire di no!”.
Circa cinque anni di gestione, che lo hanno fatto innamorare di quel territorio e scoprire quella collina abbandonata e quasi ritornata alla natura, dove sorgeva una vecchia villa e un vigneto circostante. Circa quaranta ettari, di cui venti vitati e venti boschivi, basati su un primo e limitato strato di argilla scura, che lascia spazio a stupende argille bianche. Albella prende il nome proprio da queste bianche argille che infondono mineralità, sapidità e freschezza nei vini prodotti.
Grazie ad alcuni investitori, che hanno creduto nel progetto di Julian, nel 2018, è cominciato il processo di “restauro della vigna”, seguendo fin da subito un approccio biologico e biodinamico. Il primo passaggio di pulizia dei filari è stato ad opera di mucche, capre e pecore, per poi cominciare l’attività produttiva finalizzata all’ottenimento dell’uva, nel 2020. In questi anni si sono adottate anche inflorescenze per attirare le api, le quali hanno trovato casa nel vigneto, per poi essere spostate in alcune arnie, che ben presto sono passate da tre a cinquanta.
In attesa di scoprire più da vicino Colline Albelle, anticipata da alcune foto che ne lasciano presagire lo stupendo panorama, ci concentriamo sugli assaggi dei vini, abbinati al menù scelto dal team di Alajmo, presso Il Calandrino.
Punto di partenza “Inbianco” 2022, a base di Vermentino, con uve che derivano da un’unica parcella e una vendemmia anticipata. Le uve sono state raccolte il tredici agosto, su ispirazione champagnista, dove si vendemmia anticipatamente per ottenere una corretta acidità per le basi spumante. Gli acini sono stati pressati in maniera molto leggera, per poi trasformare il mosto in acciaio, in maniera spontanea, compiendo sia la fermentazione alcolica sia la malolattica, affinando successivamente il vino sei mesi in barrique, non tostate, ma piegate a vapore.
Un vino che regala sentori di tiglio, scorza di limone, pietra bagnata, note erbacee, origano, un tocco di pepe e miele, che ritorna al palato, dove entra dritto, verticale, con un’ottima acidità, minerale e sapido e con una discreta acidità. In questa annata sono state prodotte solo quattromila bottiglie e la sua peculiarità è che presenta dieci gradi alcol, l’unico Vermentino con questo tenore alcolico in Italia.
Il piatto in abbinamento è a base di un carpaccio di pesche e zucchine con salsa al kiwi.
Passiamo poi allo stesso Vermentino, annata 2020, il primo anno di produzione, sempre con lo stesso metodo di vinificazione. Ci troviamo davanti ad un vino in cui si caricano, oltre al colore, i sentori al naso, con note di agrume maturo, bergamotto, ma anche la nota erbacea e di erbe aromatiche, come l’origano, fino ad arrivare ad una macchia mediterranea e una spezia più intensa. Note evolutive che ritornano anche in bocca, dove entra con una maggiore complessità, pur mantenendo acidità, freschezza, mineralità e sapidità, con una costante discreta persistenza. Abbinamento con spremuta di sole (dato che non c’è all’esterno, lo ritroviamo nel piatto), a base di mango, pomodorini, cetrioli e chips di riso nero.
Parlando di numeri, Colline Albelle ha iniziato con una produzione di diecimila bottiglie nel 2020, per poi raddoppiare l’anno successivo e arrivare a trentamila nel 2022, anche se il target che si vuole raggiungere, in base agli ettari vitati e la resa delle uve, è quello di centomila bottiglie per anno.
Il mondo dei rossi si apre con “Serto” 2020, un nome ispirato da un vecchio vocabolo della lingua italiana che significa alloro/ghirlanda. Un doppio significato che ricorda per assonanza la parola serio, ma anche la tipica ghirlanda che si usa per adornare i dottori neolaureati. Sangiovese in purezza che svolge entrambe le fermentazioni in acciaio per poi riposare in barrique trenta mesi e un successivo anno in bottiglia. Un vino che rappresenta la Toscana più classica e fa ritrovare al naso le tipiche note di ciliegia, foglia di pomodoro, pomodori secchi, note erbacee, uno spunto di grafite, tocco ematico e sottofondo di liquirizia. Al palato entra caratterizzato da una buona freschezza, discreta mineralità e sapidità, tannino che si fa sentire, una leggera nota amaricante e una buona persistenza.
In questo caso l’abbinamento è con uno spaghetto con salsa di peperone dolce affumicato e speck all’estragone.
Concludiamo con la terza etichetta ad oggi prodotta da Julian, “Inrosso” 2021, un Merlot in purezza, proveniente dall’unica vigna che in fase iniziale era “messa meglio delle altre”. Al momento della fioritura viene effettuato un taglio di due tralci su otto del cordone speronato, così da far concentrare la pianta nella produzione delle femminelle, anziché nel grappolo. Senza addentrarsi troppo nella tecnica, in questo modo, si valorizza la pirazina, responsabile delle tipiche note di peperone del Cabernet. Dopo le fermentazioni in acciaio il vino viene affinato per diciotto mesi in barrique e un anno in bottiglia. In questo Merlot emergono le note erbacee, sia di peperone, ma anche di erba fresca, ben integrate alla frutta che tende al sotto spirito, note terrose, di cioccolato e una leggera spezia. Un vino che mantiene la freschezza, ma con un corpo maggiore, sempre caratterizzato da mineralità e discreta sapidità, tannino più intenso e buona persistenza. Ad accompagnare un cordon vert di melanzane alle erbette.
Conclusione con pesche al Prosecco, estragone e sorbetto di litchi, in attesa di scoprire i nuovi progetti di Julian e visitare Colline Albelle.