Guado al Melo, un’azienda punto di rottura della Bolgheri più classica
Ed eccoci a Guado al Melo, accolti dalla gentile Annalisa, titolare assieme al marito Michele di questa interessante realtà di Bolgheri.
Ci accomodiamo e rimaniamo incantati ad ascoltare Annalisa che ci parla dell’azienda acquistata nel 1999 assieme al marito, trasferitosi dal Trentino.
La scelta di Bolgheri è stata effettuata grazie anche al suocero Attilio Scienza, importante esperto e docente di viticultura.
La storia di questi appezzamenti situati nel comune di Castagneto Carducci risale agli Etruschi che furono i primi vignaioli d’Italia i quali coltivavano i terreni in collina e di cui ne sono state trovate numerose tracce tangibili.
Il territorio che ci troviamo davanti è il più simile a quello dell’epoca romana e negli anni ha subito un costante abbandono con i movimenti della popolazione verso la costa, decretando uno stop alla viticoltura. all’inizio del ‘900.
Il nuovo inizio dell’espansione dei vigneti lo troviamo a partire dagli anni ’50 del 1900 con un importante trend di crescita dettato da personaggi come Mario Incisa dell Rocchetta.
Arrivando ai giorni nostri possiamo scoprire un’azienda famigliare che produce meno di centomila bottiglie con 15 ettari vitati. Il nome Guado al Melo è l’antico nome di un guado sulla fossa di Bolgheri, un torrente che delimitava il confine nord della proprietà dell’azienda.
Gli appezzamenti si trovano principalmente attorno alla cantina. Il clima locale è determinato da quello che viene definito “corridoio elbano”, poco piovoso e con temperature fresche, clima caratterizzato da un’importante escursione termica tra giorno e notte. Il suolo è eterogeneo di origine alluvionale, sabbioso e ricco di ciottoli, con poca presenza di argilla.
Una cantina che vediamo essere totalmente interrata così da non impattare sul paesaggio circostante e mantenere una temperatura costante ottimale per il vino.
Guado al Melo si contraddistingue per la filosofia di lavoro in vigna ed in cantina artigianale e sostenibile, cercando e investendo costantemente nelle migliori pratiche, basate su dimostrate basi scientifiche, al fine di ottenere il miglior risultato in termini di vino. Il lavoro è focalizzato sulla viticultura integrata puntando su tre punti fondamentali: prevenzione, lotta biologica, uso di pochi prodotti fitosanitari biodegradabili.
Dipendentemente dall’andamento dell’annata è costante il monitoraggio delle attività di vigna e cantina per ottenere il meglio.
Dopo un po’ di, sempre affascinante storia, passiamo alla degustazione dei vini partendo da un bianco prodotto da una vigne pre-filossera con più varietà tra le quali un 70% di Vermentino e 30% di Fiano, Verdicchio, Petit Manseng e Manzoni Bianco.
Un grande bianco, che si presta ad invecchiare, frutto di una vendemmia manuale ed una co-fermentazione delle uve tra loro in piena sinergia, affinamento in acciaio per un anno e riposo in bottiglia per un secondo anno. “Criseo” il suo nome che letteralmente significa “fatto d’oro”, oro che viene richiamato dal colore di questo nettare. In etichetta due satiri che ballano con in mano una coppa e uno strumento a sonagli, simbolicamente i tre doni che Bacco ha dato all’uomo: il vino, la musica e la danza.
I profumi sono quelli della frutta gialla, zafferano, pompelmo, una parte tropicale e un leggero sottofondo di idrocarburo, per un vino già comunque pronto e piacevole con un ottimo equilibrio tra acidità e freschezza.
Saltiamo ai rossi con “Rute“, un 80% Cabernet Sauvignon e 20% Merlot, un vino più contemporaneo rappresentativo della Bolgheri più classica, affinato in legno usato e sei mesi di bottiglia. Spiccano sentori balsamici, di mora, liquirizia incenso. Una piacevolezza in bocca e un tannino velato che va a chiudere il sorso.
Rute significa rosso in lingua etrusca.
Uno dei più conosciuti e nominati dell’azienda il “Jassarte” 2016, un nome importante che richiama l’origine della viticultura e lo scrittore Erodoto secondo il quale il confine tra mondo d’Occidente ed Oriente era segnato da due fiumi, Indo e Jassarte.
L’importanza del nome si ritrova nel vino, un rosso prodotto solo nelle annate migliori, da una vigna singola denominata “Campo Giardino”, all’interno della quale sono presenti trenta varietà diverse di uva. 7 vendemmie diverse a seconda della maturazione, affinamento in legno usato per un anno e due di bottiglia per questo “blend di campo” che esprime il territorio e non il varietale.
Tripudio di sentori e profumi per un vino fresco in cui emergono tabacco, liquirizia, spezie, prugna, frutta secco, balsamico. Curioso di assaggiarlo tra qualche anno.
Finiamo con “Atis“, Cabernet Sauvignon all’80% e in parti uguali Merlot e Cabernet Franc. Il Bolgheri Superiore che nasce dalle vigne di Campo Grande e Campo Ferro nelle annate migliori e porta il nome di un sovrano nipote di Zeus. In etichetta la vite maritata all’albero, tecnica di coltivazione etrusca. Due anni di invecchiamento in legno usato e uno di affinamento in bottiglia.
Un vino che può essere definito pronto ma capace di evolvere limando i toni verdi presenti oltre ai sentori che richiamano tabacco, spezia, note balsamiche e frutta sotto spirito.
Si è fatto ormai tramonto e prima di andare via diamo uno sguardo alla cantina, alla barricaia, oltre al piccolo museo per il quale avremmo avuto la necessità di avere qualche altra ora a disposizione. Una curiosità è che il legno che viene utilizzato per i vini di Guado al Melo è tutto usato per non inficiare troppo sulle caratteristiche naturali del vino, ma per valorizzarle e accompagnarne i sentori.
Un veloce, ma immancabile giretto tra le vigne, dove si possono vedere le principali tecniche di coltivazione etrusche riprodotte dai titolari.
Vedremo se nel futuro i giovani figli Federico e Giovanni “prenderanno il mestiere”!