Una mattinata passata ad Oslavia, nella terra della Ribolla Gialla, alla scoperta dell’azienda di Francesco Joško Gravner, in località Lenzuolo Bianco
03 Agosto 2021
Finalmente si concretizza la possibilità di toccare con mano una delle aziende simbolo di Oslavia, del Friuli Venezia Giulia, d’Italia e di tutto il mondo: la cantina di Francesco Joško Gravner.
Ad accogliermi è Vanesa, ragazza slovena, che lavora in azienda da circa tre anni ed assieme andiamo ad esplorare i terreni in cui vengono prodotte le uve.
Ci troviamo ad Oslavia, frazione di Gorizia, precisamente in località “Lenzuolo Bianco”, nome attribuito durante il passaggio della prima linea ai tempi della prima guerra mondiale, periodo nel quale vennero rase al suolo tutte le abitazioni ad eccezione di quella della famiglia Gravner e dei vicini di casa, adibite a strutture per il primo soccorso. Più precisamente Oslavia a quel tempo era stata rasa al suolo nella sua totalità, risparmiando le due case poiché si trovavano in una conca e, a causa della facciata dipinta di bianco di una parete rimasta intatta sulla collina opposta alle abitazioni, è stato attribuito il soprannome alla località, affibbiato dai soldati che la vedevano dal Monte Sabotino.
Una terra di confine, dove si respirano culture diverse, con un incontro tra Italia, Austria e Slovenia, essendo prima del secondo conflitto mondiale appartenuta proprio a quest’ultimo stato e ancora prima all’Impero Austro-Ungarico.
Oslavia si trova tra i centotrenta e i centonovanta metri sul livello del mare ed è caratterizzata da inverni non troppo rigidi ed estati secche e calde, con l’influenza del Mediterraneo a pochi chilometri e la bora che permette una costante ventilazione. In primavera ed autunno le piogge sono frequenti.
L’azienda conta ad oggi trentadue ettari, di cui quindici sono quelli vitati ed in produzione, divisi in eguali percentuali tra Italia e la Slovenia; con un nuovo vigneto di tre ettari che è stato piantato nei pressi dell’abitazione, nel mese di giugno di quest’anno.
La vigna che visitiamo è quella più rappresentativa e fotografata, denominata “Runk”; composta da circa otto ettari complessivi, caratterizzati da terrazzamenti con esposizioni diverse e molti alberi tra le terrazze stesse; oltre alla presenza di un piccolo stagno, come in quasi tutti gli altri appezzamenti e sono ornati da alcune anfore dismesse.
Il principale sistema di allevamento è ad alberello con un’altezza media delle piante di quaranta centimetri, una distanza tra pianta e pianta di ottanta/ottantacinque centimetri e un metro e mezzo tra le file, dove ci passano dei piccoli trattori, alcuni auto-costruiti. Le piante presentano tre cordoni e la produzione, prendendo come esempio la Ribolla Gialla, varia di media dai quattrocento ai settecento grammi per pianta. ll Pignolo, invece, viene coltivato a guyot.
Uno dei simboli del Collio è la Ponca, la tipica marna calcarea che caratterizza il sottosuolo di queste zone, presentandosi nella parte superiore in un formato più secco e friabile, mentre verso il fondo trattiene più acqua. L’acqua è uno degli elementi che rendono vivo l’ecosistema Gravner, accompagnata dalle piante e dal favorire un habitat ideale per la fauna. Oltre ai boschi circostanti, l’azienda ha voluto piantare alberi da frutto, cipressi, olivi, vicino e tra le vigne così da favorire una biodiversità e richiamare anche varie specie animali, che negli anni novanta, si stavano quasi estinguendo. Non è raro trovare su questi alberi casette per gli uccelli!
Le lavorazioni in vigna rispettano le pratiche del biologico e biodinamico, con l’utilizzo limitato di rame e zolfo oltre ad estratti naturali complementari o sostitutivi, sovescio dipendentemente dai terreni e l’utilizzo sia di corno silicio che di corno letame.
Negli anni si è evoluta la filosofia aziendale, puntando sulla valorizzazione delle uve autoctone, una su tutte la Ribolla Gialla, che conta il 90% degli ettari vitati, oltre al Pignolo. Negli appezzamenti sloveni si trovano ancora delle vigne di Merlot e Cabernet Sauvignon, di circa sessantacinque anni, mentre gli internazionali a bacca bianca, con cui si produceva il “Bianco Breg” (Sauvignon, Pinot Grigio, Chardonnay e Riesling Italico (in ordine di % quantitativa) sono stati espiantati nel 2012.
Spostandoci in cantina possiamo ammirare la sala dove sono interrate le anfore, quarantasette per la precisione, tra i milletrecento e i duemilaquattrocento litri, tutte di terracotta provenienti dalla Georgia.
La vendemmia viene effettuata il più tardi possibile, con l’uva molto matura e talvolta coperta da botrite, così da avere sia i vinaccioli, sia i raspi che possono macerare assieme alle uve. Dopo una selezione in vigna, una sola pigiatura per poi inserire le uve schiacciate direttamente nelle anfore, per caduta. I contenitori sono riempiti per tre quarti e subiscono delle follature costanti, cinque o sei per tutta la durata della fermentazione alcolica, così da mantenere sempre in contatto le bucce con la parte liquida.
Finita la frammentazione alcolica i vini rossi vengono svinati e, dopo una torchiatura, l’affinamento continua in legno, mentre la Ribolla Gialla viene lasciata in anfora così da svolgere anche la fermentazione malolattica, dopo la svinatura tra dicembre e marzo, per poi affinare altri sei mesi circa nello stesso vaso vinario, fino al periodo di vendemmia, in cui viene poi svinata e trasferita nelle botti grandi di legno.
La stanza delle anfore è un simbolo dell’azienda e la sedia che vi è al centro ha ormai fotograficamente fatto il giro del mondo, sedia utilizzata da Francesco Joško Gravner per assaggiare i vini, meditare e riflettere senza alcuna influenza e nel silenzio e relax che solo quella location può offrire.
Joško ha ereditato la passione per la viticultura dalla famiglia, specialmente dal nonno che già nel 1901 aveva due ettari di vigna, attività portata avanti dal padre già con l’idea di produrre poche quantità per dare spazio alla qualità. Ufficialmente è salito al timone dell’azienda nel 1970 ribaltando quella che era la filosofia di famiglia “per seguire il mondo”, un mondo che si stava orientando sempre più sui vini freschi e giovani, come gli avevano trasmesso anche gli insegnamenti in viticultura ed enologia.
Nel 1987 un viaggio in California decretò un inizio di punto di rottura da quel mondo del vino che non sentiva proprio; un’esperienza durante la quale assaggiò diversi vini ottenuti con l’aggiunta di aromi in modo da renderlo più gradito al consumatore. Il principale insegnamento che portò con sé di quel viaggio era l’aver capito cosa non voleva e doveva fare in cantina. In California vide anche, per la prima volta, un’azienda totalmente biologica ed iniziò ad interrogassi sull’uso della chimica in vigneto e cantina.
Gli anni ottanta sono stati segnati in una fase iniziale dall’introduzione delle barrique, Joško si era infatti reso conto che il vino, per maturare, necessitava del legno. La fermentazione si svolgeva completamente in questi piccoli vasi vinari ed il vino rimaneva un anno intero in affinamento nelle stesse botti prima dell’affinamento in acciaio per un ulteriore anno.
Erano vini che piacevano molto, ma nei quali Joško non ritrovava il sapore dell’uva prodotta in vigna e non ne capiva il motivo. Iniziò così a fare piccole prove di macerazione fino a quando, nel giugno 1996, una disastrosa grandina distrusse tutta la produzione di uva. Con le poche uve slavate (meno del 5% del totale della produzione) fece alcune prove di vinificazione con e senza macerazione, con lieviti selezionati e lieviti indigeni.
Così dal 1997 tutti i vini prodotti da Francesco Joško Gravner vengono fermentati con macerazione sulle bucce, inizialmente di alcuni giorni, in grandi tini di rovere di slavonia. Nello stesso anno la prima vinificazione in anfora, con la prima in regalo, per poi andare nel territorio georgiano a selezionare i vasi vinari più indicati, introducendo, in pianta stabile dal 2001, le vinificazioni in anfore georgiane di terracotta. Le botti che si possono vedere nelle sale superiori della cantina sono tini di grandi dimensioni, scelte per ottimizzare gli spazi in cantina e per permettere una maturazione più delicata del vino.
Nelle annate favorevoli la produzione è di circa trentacinquemila bottiglie, ma le ultime vendemmie, dalla 2012 in poi, a causa della frequente e forte piovosità autunnale ci sono state importanti selezioni di uve e si è fatto fatica a produrre anche solo poco più della metà di questo numero. Le etichette, abbandonato il Bianco Breg (ultima annata 2012) sono: Ribolla Gialla, “Rosso Breg”, “Rosso Gravner” e “Rosso Rujno”. I vini rossi sono a base di uve Merlot, per la maggior parte e Cabernet Sauvignon (per meno del 10%); il Rosso Gravner e la Riserva si alternano dipendentemente dalle annate, se sono belle o magnifiche! Il primo, frutto delle annate belle, affina indicativamente tre o quattro anni in legno e per lo stesso periodo in bottiglie, mentre il secondo, che si ottiene solo nelle annate magnifiche, sette anni in legno e sette in bottiglia.
Vini che sicuramente non hanno fretta di uscire sul mercato, considerando che anche per la Ribolla Gialla nel 2021 viene commercializzata quella prodotta con le uve della vendemmia 2013.
Parlando di solforosa il suo utilizzo viene determinato dalla sanità e livello di maturazione delle uve e non si escludono delle aggiunte in caso di necessità, sia sul mosto, sia in affinamento che prima dell’imbottigliamento.
Dopo aver approfondito i vigneti, gli ambienti principali della cantina e un pizzico di storia, ci dedichiamo agli assaggi di due annate di Ribolla Gialla, la 2013 e la 2009. Il primo è il vino attualmente in commercio, frutto di un autunno piovoso, ma un’estate soleggiata, annata nella quale non è stata anticipata la vendemmia, sebbene l’uva raccolta fosse leggermente botritizzata. Vino che si presenta erbaceo, con note di fieno bagnato, frutta candita, un sottofondo di vernice in secondo piano. Il gusto è pieno, con un’alcolicità che si fa sentire, buona acidità e imperterrita mineralità oltre ad un leggero tannino in chiusura; in attesa di trovare il corretto equilibrio, con un dovuto ulteriore riposo.
Una peculiarità è che da Gravner per degustare i vini non si utilizza il calice, ma un bicchiere che riprende le sembianze di una coppa georgiana di terracotta, pur essendo in borosilicato, utilizzando due mani idealmente per portarlo alle labbra.
L’annata 2009 è stata più facile con una piovosità inferiore in vendemmia e un caldo costante che ha permesso di portare le uve a piena maturazione ed una raccolta tardiva e senza botrite.
Vino più caldo e armonico, con sentori al naso che spaziano: frutta appassita, foglia di tabacco dolce, spezie altrettanto dolci, note caramellate. Al palato presenta un miglior equilibrio, con un’ottima struttura e corpo, minerale, sapido e con un tannino più setoso nella fase finale del sorso. La persistenza in entrambi è sicuramente un fattore importante e le caratteristiche di questi vini consentono una copiosità di abbinamenti, oltre alla possibilità di essere apprezzati anche da soli.
Nell’etichetta sono rappresentate due viti di Ribolla Gialla del vigneto “Runk”.
Purtroppo per questa volta non sono riuscito ad incrociare Joško, ma il mio appuntamento si è concluso con la figlia Mateja.
Una chiacchierata sulla filosofia che contraddistingue l’azienda Gravner, che non vuole accettare la mediocrità per pigrizia: “se ti accorgi che puoi fare qualcosa di meglio, non è possibile accettare che non venga fatto solo per pigrizia o per trovare una via più semplice. Il vino non è indispensabile, non salva l’umanità e quindi perché deve essere fatto in maniera industriale?”. Una riflessione che ovviamente scoperchia un vaso di pandora sulle conduzioni di innumerevoli aziende che possono trovare scorciatoie per scaricare i costi sul consumatore, offrendo prodotti “poco onesti”. “Quando mio padre ha iniziato con le macerazioni, nel 1997, non si è chiesto se al mercato potessero piacere i risultati finali di tali vinificazioni, ma lo ha fatto per un credo personale, poiché riteneva di offrire in questo modo qualcosa di meglio ai consumatori”.
Dalle parole di Mateja traspare la strada che ha percorso l’azienda Gravner negli anni, tendendo a produrre un prodotto frutto della natura, che sia coerente con la parola di qualità data, investendo tutte le energie possibili per permettere ciò, non svolgendo un’attività “tanto per fare” e neanche rivolta al mero aspetto economico o di tendenza. Un’azienda che negli anni ha cambiato grazie a delle intuizioni, che poi con l’esperienza hanno portato ad affinare le tecniche, le quali, abbinate a madre natura, hanno fatto si che venga rispettato un risultato che soddisfi le aspettative proprie e dei consumatori che hanno potuto apprezzare questa linea di pensiero. Una promessa che ogni anno si vuole mantenere e se la natura non lo permette si fa a meno di avventurarsi in avventure pionieristiche.
Non c’è assolutamente l’ansia nella ricerca di novità, ma queste possono venire da sé, grazie ad ulteriori intuizioni o affinamenti delle tecniche. Sicuramente lo sguardo è rivolto alla valorizzazione del territorio e delle uve che ne sono più rappresentative. Si vuole evitare di valorizzare i vitigni internazionali a discapito della principessa Ribolla Gialla, l’autoctona che trova il suo equilibrio e perfezione proprio nella terra di Oslavia.
Una Ribolla Gialla che invita il consumatore a spogliarsi dei preconcetti ed è proposta in una versione forse più estrema, con qualche anno sulle spalle e una complessità importante. Questa sicuramente si avvicina a tecniche del passato e potrebbe essere il futuro del gusto del vino, ma Gravner non vuole imporre nulla ai consumatori, o piace o non piace, sicuramente però apre la possibilità di scoprire, discutere ed approfondire una filosofia, di lavoro e di vita.
Una mattinata che si conclude toccando alcuni aspetti filosofici di questa realtà, grazie a Mateja, con cui avrei chiacchierato per qualche altra ora, ma le lancette dell’orologio scorrono sempre troppo velocemente in queste situazioni!
Maglia numero 70 di Winetelling per Mateja Gravner!