Azienda Agricola Jožko Colja, Osmiza e cantina carsica in località Samatorza a Sgonico, Trieste
13 Agosto 2021
Solo il tempo di spegnere il computer e ci si mette in marcia per una settimana di relax, destinazione Istria, ma, prima di raggiungere la meta, una tappa intermedia in una tipica Osmiza carsica, scegliendo questa volta l’Azienda Agricola Jožko Colja.
L’arrivo prima del servizio ci permette di dare un occhio alla cantina, di cui una parte si trova al di la di una botola situata sotto alla cucina dell’osmiza. Giulio, il simpatico e dinamico cameriere ci svela questo spazio ricavato all’interno della roccia carsica, dove sono posizionate alcune botti di legno più grandi e più piccole; botti non nuove, ma di più passaggi in modo da non aggiungere quelle tipiche noti dolci date dal legno nuovo che spesso non c’entrano molto con le caratteristiche dei vini del Carso. Un ambiente affascinante nel quale si può scorgere anche una cavità naturale profonda diverse decine di metri, messa in sicurezza per non rischiare che qualcuno ci finisca dentro.
Preso posto nella parte esterna del locale, coccolati dal venticello carsico, iniziamo ad assaggiare i vini, partendo dalla Vitovska 2019, affinata in solo acciaio e continuando con la sorella maggiore 2018 che affina per lo più in legno.
Il primo vino, chiuso dal tappo a vite (anche se in azienda si usa sia sughero sia questa tipologia di tappo), si presenta più timido al naso, con note di frutta gialla, agrumi, velate erbe aromatiche ed entra in bocca pulito e verticale, con una buona mineralità e sapidità, frutto del territorio, oltre ad avere una buona acidità. Il secondo vino tende ad esprimere sentori più speziati, di vaniglia e note di frutta tropicale, il legno si fa sentire sia al naso sia nella parte retro-olfattiva del sorso. In bocca è più pieno ed avvolgente, ma rimangono costanti mineralità, sapidità ed acidità.
Un assaggio anche della Malvasia 2018 che segue lo stesso processo di vinificazione della seconda Vitovska precedentemente degustata. Profumi più floreali, di erbe aromatiche e pepe bianco con il legno che anche in questo caso si fa notare; un sorso pieno, “grasso”, equilibrato dalle note minerali e dalla spalla acida.
Tra un assaggio e l’altro ci raggiunge la padrona di casa Noris e, accomodandosi al nostro tavolo, inizia il racconto di questa piccola realtà. Jožko Colja era il nome del marito, Giuseppe in italiano, la cui famiglia iniziò l’attività di osmiza già a metà degli anni ’50. Una famiglia contadina, come la maggior parte di quelle residenti sul Carso, che produceva vino, allevava principalmente maiali, oltre alla coltivazione di ortaggi e fiori che venivano venduti a Trieste. Un’attività di famiglia che ha visto Jožko e la sorella continuare la tradizione, mantenendo l’osmiza (aperta sessanta giorni all’anno secondo le norme comunali) e aprendo, nel 2008, l’agriturismo a caldo che integra di altri centoventi giorni l’aspetto ristorativo e l’investimento sempre maggiore nella produzione e imbottigliamento del vino.
Dopo la scomparsa di Jožko l’azienda è passata in mano alla moglie Noris che ad oggi conduce circa tre ettari vitati, in produzione, oltre all’agriturismo ed osmiza e la piccola struttura ricettiva di quattro cinque camere aperta nel 2015. Dopo più di dieci anni passati in Toscana a lavorare nel mondo del vino e dove per un lungo periodo ha supportato una grossa azienda negli ambiti di accoglienza, marketing e parte commerciale si è ritrovata a portare avanti un’azienda in tutti i suoi aspetti. La filosofia è quella di valorizzare i prodotti del territorio, sia gastronomici, sia enologici, concentrandosi sulla produzione di Vitovska, Malvasia e Terrano. Oltre a questi vitigni sono stati piantati Glera, nel 2016 e Sauvignon, come ultimo impianto del 2021.
Gli appezzamenti vitati sono tutti limitrofi all’azienda e la conduzione che Noris applica si avvicina ai paradigmi del biologico, anche se in casi estremi tiene aperta la porta a potenziali trattamenti convenzionali di emergenza. A questa modalità di conduzione c’è una spiegazione più che razionale, avendo dovuto farsi carico di tutte le lavorazioni dopo il 2016 e, non sentendosi ancora confidente e in totale simbiosi con la natura non vuole bruciare le tappe, anche se l’intento futuro è quello di applicare meno trattamenti possibili, eliminando del tutto i convenzionali, pur salvaguardando la produzione. Una graduale strada verso la natura anche in cantina, dove si cerca anno dopo anno di abbassare l’utilizzo della solforosa ed intervenire il meno possibile nei processi di vinificazione. Qualche anno fa è stata creata anche una nuova cantina, più comoda per le lavorazioni, così da avere ulteriori spazi per le vinificazioni.
Diversamente dal marito che puntava principalmente sul vino sfuso, l’idea di Noris è quella di incentrare l’azienda Jožko Colja sulla produzione di bottiglie, che ad oggi sono arrivate a circa diecimila per anno.
Le linee sono due, una più fresca, con vinificazioni ed affinamenti in solo acciaio, mentre una “superiore” con l’utilizzo del legno. Dire che le linee sono due in questo caso è riduttivo, poiché Noris è una sperimentatrice e ad ogni vendemmia porta avanti delle micro-vinificazioni con più o meno macerazione sulle bucce, calibrando l’uso del legno o acciaio, i vari tempi di affinamento, i blend; il tutto per trovare il vino più rappresentativo dell’azienda e proporlo sul mercato. Il 2018 è stato il primo anno nel quale le macerazioni sulle bucce delle uve a bacca bianca sono state effettuate a temperatura ambiente, per circa due settimane; i vini sono ancora in affinamento e sarà sicuramente interessante scoprirne i risultati. Lo scorso anno, invece, sono state prodotte anche duecento bottiglie di metodo classico a base di Terrano, sicuramente da assaggiare, finito il riposo sui lieviti.
Una delle sperimentazioni che ha trovato spazio tra la linea dei vini Jožko Colja è il “Woman Vision”, un blend di Vitovska, Malvasia e Sauvignon. Emblema della conduzione al femminile, con un nome che vuole essere identitario e rappresentare l’incontro tra due culture, quella italiana e quella slovena, che si fondono nel territorio carsico.
Le tre varietà sono state vinificate separatamente e assemblate solo in un secondo momento; hanno subito un affinamento in tonneau di rovere francese di legno non nuovo per diciotto mesi. Si tratta di un terzo di Vitovska, un terzo di Malvasia e un terzo di Sauvignon prodotto da piante degli anni ‘50 da cui Noris riesce a ricavare un tre ettolitri all’anno. Nel 2017 e 2018 ne sono state prodotte rispettivamente settecentocinquanta bottiglie, mente nel 2019 sono state superate di poco le mille.
Nulla è lasciato al caso in questo percorso e di anno in anno si valutano le vinificazioni da effettuare in base all’andamento dell’annata stessa, le caratteristiche di singoli vigneti e alla qualità dell’uva.
Gli obiettivi sono ancora in fase di definizione, ma una cosa è certa, valorizzare il territorio dal punto di vista eno-turistico in maniera accessibile, potendo far scoprire le meraviglie delle terre carsiche.
Dopo una lunga chiacchierata recuperiamo le energie perse nella giornata lavorativa con un ottimo piatto di affettati chilometro meno di zero, prodotti con i maiali allevati in azienda e un calice di Terrano.
Un vino emblema del territorio con la sua spiccata acidità, che a mio avviso o ami o odi, dai sentori di piccoli frutti rossi, principalmente ribes e lampone. Minerale e abbastanza lungo, ottimo in abbinamento con gli affettati e anche con la successiva portata.
Anche se la temperatura non è ideale, una trentina di gradi circa) la tentazione di mangiare un succulento gulash di maiale casalingo ha avuto la meglio, prima di riprendere il viaggio verso la Croazia.
Curioso di scoprire il futuro di Jožko Colja, un grazie di cuore per l’accoglienza alla dinamica e sperimentatrice Noris che merita la maglia numero 73.