Renato Keber, in un pomeriggio piovoso il racconto della storia di questa azienda del Collio, in compagnia del suo protagonista principale
21 Ottobre 2023
Nuovamente in località Zegla, appena sotto una vecchia conoscenza, Edi Keber, per chiacchierare assieme al produttore Renato Keber, nell’omonima azienda. Un pomeriggio piovoso che non ci consente di esplorare i vigneti, ci porta ad accomodarci nella sala degustazioni con vista che alterna Collio e Brda.
Renato inizia il racconto dalla storia più che bicentenaria che ha portato la famiglia dei suoi avi in queste terre; nei primi anni del 1800 i Keber si sono stanziati in quest’area, precisamente dove oggi si torva l’abitazione del produttore e da sempre si sono dedicati alle attività che un tempo si svolgevano sul Collio, tra cui la frutticultura, orticoltura e zootecnica. In quei tempi si coltivavano principalmente ciliegie e pesche e, oltre alla stalla, è sempre stata presente la vigna.
“Il mio percorso nel mondo del vino è partito prima di iniziare”.
I genitori di Renato Keber ampliarono la produzione del vino, dedicandosi alla vendita dello sfuso, ai commercianti o ai locali che si recavano in cantina per segnare le botti da acquistare.
In tempi nei quali non era più possibile fare il contadino a trecentosessanta gradi, con la necessità di una specializzazione in una delle attività citate precedentemente, Renato ha intrapreso gli studi in enologia, finendo le scuole agli inizi degli anni ’80,
Tra il 1985 e il 1986 sono state prodotte le prime bottiglie, ottimizzando i processi di cantina e i suoi ambienti principali, che per anni si sono trovati sotto all’abitazione di famiglia. Un percorso di continua crescita commerciale e un continuo riconoscimento da parte del mercato, sia in Italia, ma anche all’estero, negli Stati Uniti e in tutta Europa.
Parlando di vigna, oggi troviamo quindici ettari vitati, di cui undici sono in un unico corpo attorno alla cantina, altri due sono a Plessiva e gli ultimi in pianura, nei pressi di Cormons, per un 90% caratterizzati dalla tipica ponca. Le lavorazioni seguono il protocollo BIO, con trattamenti a base di rame e zolfo, inerbimento dei filari, in cui viene seminato il sovescio. Per quanto riguarda le concimazioni si utilizza principalmente letame di cavallo o di vacca; negli ultimi anni la parte agronomica viene seguita dal nipote.
Spostandoci in cantina notiamo la netta divisione tra acciaio e legno, con una prima area esterna dedicata alla diraspatura dei grappoli, che vengono trasferiti per caduta all’interno delle vasche d’acciaio dove, per la maggior parte delle varietà viene effettuata una macerazione, più breve o più lunga a seconda del risultato che si vuole ottenere.
Le fermentazioni, se necessario, vengono innescate da un pied de cuve o partono spontanee, in entrambi i vasi vinari citati, in aggiunta all’utilizzo di qualche vecchia vasca di cemento. La struttura che possiamo toccare con mano è stata creata nel 2013, abbattendo un vecchio magazzino e creando una moderna cantina sotterranea con il primo piano dedicato alla sala degustazioni, con vista vigneti. È stato ricavato anche un magazzino, sotto al prato esterno, scavato nella ponca e collegato alla vecchia cantina, situata nella parte più bassa della proprietà. La particolarità principale dell’azienda di Renato Keber è che gli spazi devono essere molto grandi, al fine di ospitare bottiglie di differenti annate, volendo fare uscire i suoi vini bianchi tendenzialmente minimo tre anni dopo la vendemmia, mentre i rossi minimo dopo sei anni.
“Produco vini proiettati al futuro”
Ci troviamo di fronte ad un 70% di vini bianchi ottenuti da Friulano, Pinot Grigio, Pinot Bianco, Chardonnay, Ribolla Gialla, Malvasia, Sauvignon e un 30% di vini rossi con uve Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot.
Le bottiglie prodotte per anno da parte di Renato Keber sono circa quaranta/cinquanta mila, con un potenziale che potrebbe essere tre volte tanto, ma l’obiettivo è quello di fare vini di lunga vita, ottenuti da rese che si attestano sotto la metà di quanto consentito in questa zona.
Tornando alla sala degustazioni approfondiamo quelle che sono le etichette prodotte. Partiamo dai due Friulano: una Riserva “normale” vinificata in bianco con un affinamento in solo acciaio (o almeno per il 90%) con una parte di macerazione non fermentativa sulle bucce e lo “Zegla”, Friulano frutto di una sola vigna, con uve che iniziano la fermentazione sulle bucce, per poi essere pressate e continuare a fermentare in legno, preferibilmente in botti grandi e qualche tonneau. Passiamo al Pinot Grigio, vinificato in bianco e affinato in solo acciaio, senza alcun contatto con le bucce. In realtà dal 2020 troviamo una seconda etichetta per questa varietà, che viene prodotta dalla figlia Tereza (laureata in enologia e con la propensione a seguire alcuni principi legati alla biodinamica). Un vino ottenuto da una selezione di uve che nell’ultima annata in commercio, 2020 affina in tonneau, dopo una lunga macerazione, di cui una parte con i raspi.
Fino al 2010 si produceva il Sauvignon Grici, da una vigna di cinquant’anni, che purtroppo è stata estirpata a causa di uno smottamento del terreno. Oggi viene prodotto un altro Sauvignon, con uve che restano a contatto con le bucce antecedentemente alla fermentazione, svolta successivamente in acciaio, dove il vino affina.
Nelle migliori annate si produce un Pinot Bianco, in purezza, con uve che fermentano ed affinano in legno.
Troviamo poi uno Chardonnay, frutto di una sola vigna, vinificato con lo stesso processo del Pinot Bianco e, nelle annate migliori, esce con l’etichetta di Chardonnay Grigi. Il nome “Grici” in sloveno indica letteralmente la “Punta”, ossia il vigneto migliore, una sorta di Cru. Immancabile la Ribolla Gialla “Extreme”, prodotta dai primi anni ’90, quando la macerazione non era ancora una pratica tornata in auge, macerazione di circa quaranta giorni ed affinamento in legno per uno o due anni. Si produce una Ribolla Gialla che fermenta sulle bucce per cinque giorni, al fine di ottenere un “orange non estremo” che viene assemblato con altri due terzi di Malvasia, per l’etichetta “MALcheVAda”, un blend che può cambiare di anno in anno, a base di uve a bacca bianca. Un secondo blend è il Beli Grici Bianco, ottenuto da Pinot Bianco, Pinot Grigio per la maggior parte oltre a Ribolla Gialla, Friulano e Sauvignon.
Passando al mondo dei rossi troviamo un Cabernet Sauvignon, solo nelle annate più favorevoli, altrimenti viene venduto sfuso; Merlot in purezza affinato in legno con l’etichetta Merlot Grici e un taglio bordolese che presenta una percentuale più elevata di Cabernet, denominato “Rosso Collio”; un vino che esce dopo dieci anni di affinamento, di cui sei in legno e quattro in bottiglia.
Oltre alle etichette più classiche con il nome dell’azienda, le etichette più particolari che vestono le bottiglie Renato Keber sono state disegnate da un artista di Vittorio Veneto, il quale nel corso della sua carriera ha interpretato paesaggi marini con barchette a vela, alternati ad un periodo in cui disegnava principalmente cactus. La bottiglia di “Zegla”, in comune con altri due produttori del territorio, presenta un vestito uguale per tutte e tre le cantine.
Tra le chiacchiere iniziamo a degustare alcuni dei vini di Renato con il vino più identitario della regione, il Friulano 2017, che presenta sentori di albicocca, pesca, salvia, rosmarino, camomilla, leggero pepe bianco. In bocca entra molto minerale e sapido, facendo così percepire il territorio, pieno, ma con una buona beva, persistente, con una conclusione legata ad una leggera nota ammandorlata data dalla ponca.
Abbiamo la fortuna di confrontarlo con un Friulano del 2006, nel quale le note più fresche passano in secondo piano, regalando sentori di frutta molto matura, albicocca matura, un tocco di miele, macchia mediterranea, erbe aromatiche, nota di frutta secca, leggera ma piacevole ossidazione. Frutto di un’annata calda presenta comunque una buona mineralità, pienezza al palato, un buon corpo, persistente e con uno spunto amarognolo in chiusura.
Il terzo vino è un Pinot Grigio 2018, uva che, dopo il Friulano, è quella che ricopre una maggior superficie tra i vigneti dell’azienda. Al naso si presenta con note più delicate dei primi vini, con spunti erbacei, gelsomino, una leggera nota di confetto e pepe bianco. Anche qui si percepisce una buona mineralità, sapidità, discreta spalla acida e persistenza.
Dopo il Pinot Grigio un Pinot Bianco, prodotto nel 2016, vista l’annata favorevole. Un vino che al naso esprime note fresche, erbacee, mentolate, con una buona balsamicità, tocchi di spezie delicate e erbe aromatiche come l’origano. In bocca una buona acidità, minerale, sapido, di beva, fresco, abbastanza persistente, con un sorso che si può definire delicato.
Una conclusione con “Zegla” 2015, il Friulano più identitario di questo territorio, da cui prende il nome. Al naso spuntano le note di albicocca, miele, salvia, una concentrazione donata dalla botrite nobile, con una frutta matura, erbe officinali e una leggera nota fumè in sottofondo. Si nota una maggior acidità rispetto al primo Friulano, mantenendo elevata mineralità, sapidità, in un connubio tra pienezza e freschezza, sicuramente con un sorso decisamente lungo.
Per Renato Keber maglietta numero 285 riprendendo il cammino friulano, ringraziando il meteo che è tornato favorevole.