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domenica, 28 Aprile, 2024

Focus sul Buttafuoco Storico nell’azienda Valter Calvi, Castana (Pavia)

Profumi di mosto in fermentazione nell’azienda Valter Calvi, per un focus sul Buttafuoco Storico assieme alla nuova generazione Davide Calvi

24 Settembre 2023

Una mattinata in Oltrepò Pavese che si apre con la visita all’azienda Valter Calvi, guidata dallo stesso Valter assieme al figlio Davide Calvi, in compagnia dell’amico giornalista, autoctono pavese, Valerio Bergamini. Una mattinata quasi primaverile ci porta alla scoperta di questa realtà situata nella Frazione Palazzina, comune di Castana, all’interno di quello che è il contesto della famiglia, giunta alla sua undicesima generazione. Dal 1600, infatti, i Calvi hanno vissuto in queste terre, frazionandosi negli anni, ma trovando pianta stabile in quello che è ancora oggi il piccolo borghetto; “quello che si vede è tutto qua!”. Una testimonianza fondata che vede il primo atto notarile di compravendita di alcune di queste terre è datato 1723, nel quale si attesta l’acquisto di Giuseppe Calvi dal principe Pallavicini di Belgioioso.

Saltando al ventesimo secolo troviamo nonno Anacleto che si è diviso dalla famiglia originaria e ha costituito la sua azienda vitivinicola. Durante gli anni si è cercato di ampliare sempre più gli appezzamenti, sempre rimanendo in una dimensione a gestione famigliare, con un occhio di riguardo per i terreni che godevano di un migliore posizionamento. Nonno Anacleto è mancato nel 2010, ma ben prima è entrato in azienda il figlio Valter, il quale, oltre ad aver dato il nome alla realtà vitivinicola è stato il protagonista principale della trasformazione di un’attività che prima era dedicata principalmente all’autoconsumo, creando conseguentemente una vera e propria azienda. Valter Calvi ha studiato come enotecnico ad Alba, convertendo successivamente il suo titolo in quello di enologo, mentre il figlio Davide si è trovato in mezzo a questa realtà famigliare, dopo gli studi come perito agrario e la laurea in scienze viticole enologiche.
Il tutto comunque deve essere iniziato quando avevo circa cinque anni, quando mi portavano in campagna”.

Tra le chiacchiere seguiamo il profumo di mosto in fermentazione che ci porta ad entrare in cantina. Qui Davide “ruba” un po’ di succo di Croatina in una scodella, “lo strumento tecnico più adatto per gli assaggi”. Una varietà che si vinifica tra acciaio e cemento, restando diverso tempo in macerazione, senza effettuare rimontaggi essendo un’uva molto delicata, ma sommergendo il cappello con dei bastoni. Un mosto in fase fermentativa che esprime sentori di uva appena schiacciata e note vinose, ovviamente ancora distanti da quelle che esprimerà il prodotto finale. In questa prima zona di cantina troviamo sia acciaio sia le vecchie vasche in cemento, entrambi i vasi vinari sono utilizzati per le fermentazioni dei vini prodotti da Valter Calvi, ma anche per l’affinamento dei vini bianchi.
Gli affinamenti dei vini rossi e di un bianco vengono effettuati al piano inferiore, dove si trovano principalmente barrique e tonneau. Qui andiamo a scoprire le tipologie di vino prodotte da Davide e Valter Calvi, tutte con uve di proprietà: un Frizzante ed una bollicina Metodo Classico a base Pinot Nero; Riesling Italico affinato per dodici mesi in barrique); Moscato; un Rosato a base di Uva Rara, Pinot Nero e Bonarda in versione Frizzante; l’uvaggio classico a base di Croatina, Uva Rara, Barbera, Ughetta di Canneto per la produzione del Buttafuoco Storico.

In questo frangente non si può non fare un’immersione a tema Buttafuoco, il cui primo atto notarile di compravendita di un vigneto con questo nome risale al 1860, anche se si parla di una storia millenaria di questo territorio e del blend delle classiche varietà che gli danno vita. Alti e bassi per questo storico vino che è stato “riportato in vita” da Bianca Alberici, detta “Bianchina”, fino ad arrivare all’ottenimento della DOC 2010, esattamente quarant’anni dopo quella dell’Oltrepò Pavese. Nel 1996 ha preso vita un club di produttori che ha da sempre mirato a preservare il Buttafuoco Storico, di cui Valter Calvi è stato il primo presidente e Davide Calvi ne sta ricoprendo tale carica in questi ultimi anni. La filosofia di base è quella di voler dare la giusta dignità ad un prodotto che ben rappresenta il territorio, uscendo dallo stereotipo del vino in damigiana e dandosi delle regole nella produzione nell’ottica di una “DOCG privata”. La zona di produzione deve essere quella storica del Buttafuoco; la conduzione in vigna deve essere mirata alla qualità, con interventi mirati al rispetto ambientale; le uve devono essere quelle già citate precedentemente; è necessario un periodo di affinamento minimo di dodici mesi in barrique di rovere oltre a quello in bottiglia, utilizzando il formato consortile dei “vignaioli del Buttafuoco Storico”. Le etichette variano da azienda in azienda, con diciassette soci e diciannove vigne coinvolte, ma ognuna contrassegnata dal bollino del club.
Un approfondimento anche sul nome Buttafuoco, blend di leggenda e punti fermi. Si narra che nel 1859, durante la Seconda Guerra di Indipendenza, alcuni marinai dell’esercito austro-ungarico arrivarono a Stradella per aiutare i genieri a costruire un ponte sul Po e trasportare le truppe. Questi non erano molto interessati alla loro attività, attratti più dal piacere del vino e dell’ebrezza. Così, invece di adoperarsi nei propri compiti, si avventurarono nei dintorni e finirono in una cantina dove scoprirono il Buttafuoco, un vino rosso molto corposo che li fece ubriacare.
Gli ufficiali austriaci, preoccupati per la loro sorte, mandarono dei cavalieri a cercarli e li trovarono addormentati sulle botti di Buttafuoco, che tradussero con il nome di Feuerspeier, “sputafuoco”. Questo episodio rimase impresso nella memoria dei marinai, che, qualche anno dopo, battezzarono con il nome di Feuerspeier la cannoniera della marina imperiale “Erzherzog Albrecht”, varata nel 1872.

Nel 1920 la nave passò sotto il controllo dell’Italia e fu portata a Taranto, dove assunse il nome di Regia Nave Buttafuoco. Imbarcazione che ha prestato sevizio per ottantatrè anni, fino al 1955.

Ancora oggi il logo del Buttafuoco è composto da un ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepò Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco e dal quale si estendono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, i quali delimitano la zona storica di produzione. All’interno è stata rappresentata la sagoma di un veliero sospinto da vele infuocate a ricordare un curioso aneddoto, tra leggenda e realtà.

Affascinante trovare un angolo di Borgogna, essendo i protagonisti dell’azienda, entrambi appassionati di questa zona e questi vini, ma anche perché ogni anno, da diciannove anni, sono i protagonisti italiani di una fiera organizzata durante il periodo di Pasqua a Nuit Saint George, facendo degustare il proprio Pinot Nero.
Oltre alla cantinetta riservata ai cugini d’oltralpe una botticella balza all’occhio, definita “Ciuf” (da tradizione dell’Oltrepò) essendoci su scritto il nome di uno dei vigneti più rappresentativi, Montarzolo, richiamando il contesto storico di un tempo, quando sulle botti non si scriveva il nome del vino, bensì quello del vigneto.

Prima di spostarci nella parte esterna, un veloce controllo che tutte le luci siano spente, poiché nonna Rina, con i suoi novantasei anni, è sempre vigile e attenta ai consumi energetici, tirando talvolta le orecchie a chi dimentica le luci accese. Accompagnati da un sottofondo di oche e galline, scopriamo che l’unica vigna a corpo è quella di Pinot Nero, di un clone francese atto a vino rosso, mentre gli altri appezzamenti, per un totale di circa dieci ettari, sono dislocati in altre zone. Uno dei più importanti e vocati del paese è una sorta di “cru”, la Vigna Montarzolo, un appezzamento acquistato e non ereditato dalla famiglia Calvi, nei pressi del castello, dal quale si otteneva il vino destinato ai feudatari. Un tempo qui sorgeva un ippocastano, distrutto da una forte tromba d’aria nel 1957. Gli altri terreni sono frazionati, tra i quali troviamo: Monteguzzo, La Colomba, Pregazzolo, La Bugena, Frac, San Bachino, La Falerna, La Prag, Vignolo, Costiolo.
Le vigne si estendono da nord a sud del territorio dell’Oltrepò Pavese, incontrando diversi tipi di sottosuolo, dalla roccia arenaria, all’argilla, alle zone ghiaiose vicino a Stradella.

Per quanto riguarda l’approccio in vigna, Davide e Valter Calvi non credono nel biologico in questa zona, principalmente a causa della conformazione dei loro vigneti, per la maggior parte in pendenza, non consentendo un presidio puntuale nei trattamenti di tale disciplinare ed esponendo maggiormente a rischi chi li esegue fisicamente. Non si parla nemmeno di convenzionale, poiché in azienda sono più di trent’anni che si lascia tutto inerbito, vengono utilizzati concimi organici e si pensa alla piantumazione di alberi per creare un ecosistema che esula dalla mono varietà della vite. Possiamo identificare il loro approccio come “agricoltura ragionata di mezzo”, che non vuole impedirsi il trattamento al momento giusto se fosse richiesto. Molto dipende anche dalle zone dove sono disposti i vigneti, che possono permettere o meno un certo tipo di conduzione; tenendo in considerazione anche le varie annate. “Fino ai primi anni sessanta qui si trattava con il bordone a spalla sotto la pioggia, con l’ombrello”.

Dopo aver toccato con mano storia, filosofia e metodi di lavoro dell’azienda Valter Calvi è il momento di dedicarci ai vini prodotti. Cominciamo dal Riesling ItalicoKantaros”, dalla parola greca che significa coppa/decanter, un vino che fermenta ed affina in legno, per circa un anno. Al naso si esprime con sentori agrumati, di buccia di limone, frutta tropicale, ananas, ma anche tiglio, un tocco di micetta e un sottofondo di leggera vaniglia. Al palato presenta una buona spalla acida, discreta mineralità e sapidità per un buon corpo e persistenza.

È il momento della Bonarda, decisamente il vino più rappresentativo del territorio dell’Oltrepò Pavese, il quale si sposa bene con la tipica cucina lombarda, ricca di cibi non troppo grassi ma caratterizzati da parti cartilaginee. Un vino quotidiano dalle note fresche e vinose, sentori che ricordano i frutti di bosco, la fragola, lampone, ma anche la rosa rossa, i quali ritornano al palato, dove entra con una buona effervescenza, deciso, ma al contempo delicato, con una buona beva, tannino che fa capolino e non eccessiva persistenza. Da qualche anno per la promozione della Bonarda è stato creato il progetto “La Mossa Perfetta”, il quale ha unito quattordici produttori che vogliono essere ambasciatori di questo vino, che talvolta è stato, negli anni, più che bistrattato. Un gruppo di vignaioli che lavorano le proprie uve di Croatina in purezza, rispettando alcuni parametri che hanno individuato, principalmente su residuo zuccherino ed effervescenza. Il nome vuole richiamare le bollicine della Bonarda, ma anche l’idea di “mossa” come movimento di comunicazione di questo vino.

C’è da dire che in cantina Valter Calvi le bottiglie prodotte sono circa venticinque mila per anno, con una buona produzione di vino sfuso, che tendenzialmente, negli anni, andrà a sparire. Per tradizione le porte dell’azienda sono quasi sempre aperte e l’accoglienza è un mestiere di famiglia, dai bisnonni e i nonni di Davide, che erano soliti far assaggiare il vino accompagnato da salumi, formaggi, piatti di pasta, per rendere tutte le domeniche delle grandi giornate di festa.

Passiamo al Pinot Nero 2017, che affina in legno per diciotto mesi prima di riposare in bottiglia per qualche altro anno. Un Pinot Nero sicuramente pieno al naso ed in bocca, con note di ciliegia, marasca, fragola, spunti ematici e ferrosi, rabarbaro ed una nota di vaniglia in sottofondo. In bocca si percepisce il suo corpo, ma mantiene una buona beva, freschezza, spalla acida, con un tannino che ben si percepisce e una buona lunghezza.

Una conclusione con il Buttafuoco 2017, prodotto con il classico blend di territorio Croatina, Uva Rara, Barbera, Ughetta di Canneto. Al naso emergono note più legate alla frutta sotto spirito, prugna, sottobosco, pepe nero, inchiostro, per un sorso pieno, intenso, con una buona mineralità, discreta sapidità, discreta spalla acida, corpo, persistenza e un tannino che si fa sentire.

Vini che sono stati accompagnati dal tipico e succulento salame dell’Oltrepò, ottenuto dalla carne più nobile del maiale, tra cui coscia, lombo, ritagli di pancetta e il grasso della gola, il tutto macinato in maniera grossolana e lasciato infuso nella bonarda assieme a sale e spezie.

Un saluto anche a papà Valter Calvi, autore del libro Pane e Croatina, e maglietta numero 280 per Davide!

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