Una mattinata tra la neve in compagnia di Adriano De Martin e i suoi animaletti, nell’omonima azienda De Martin, da lui fondata
11 Dicembre 2021
Anche in questo caso c’è da dire finalmente ce l’abbiamo fatta, visti i mesi passati nei tentativi di incontrare Adriano De Martin, nell’omonima azienda Vini De Martin, che proprio lui ha fondato meno di dieci anni fa, in località Fant, nel paese di Sospirolo a pochi chilometri da Belluno e dal Parco Nazionale delle Dolomiti.
La strada sterrata e il tratto di bosco che portano all’azienda, grazie al quasi mezzo metro di neve caduta nei giorni precedenti, sembrano anticipare l’ingresso in una favola e la piccola oasi creata da Adriano de Martin, assieme alla moglie Giulia ti catapultano di certo in un mondo diverso da quello del caos quotidiano.
Oltre all’accoglienza della coppia non manca quella dell’enturage di galli, circa una decina, cinquanta galline, pulcini, qualche gatto, Shanti e Pece, e il cane Kira, alquanto ruffiano.
Da sottolineare come i galli e le galline, provenienti dall’allevamento di una signora del posto nei pressi del Passo San Boldo non vivano in un pollaio, ma sono allo stato semi-selvatico gironzolando liberamente nella proprietà e di notte trovano riposo sugli alberi.
Ci troviamo in quella che un tempo era la casa della nonna di Adriano De Martin, Elia, dove lui trascorreva le estati da bambino. Un posto del cuore che Adriano ha deciso di rivalutare partendo dal 2012, cercando di ricreare parte della vita rurale, senza sprechi e ostentazioni, che un tempo viveva la nonna.
Nel 2013 sono state piantate anche le prime vigne, sia adiacenti all’abitazione sia a poche centinaia di metri, in una proprietà di famiglia, iniziando l’avventura del vignaiolo di montagna, senza alcuna base di studio e senza basi pratiche, solamente con il ricordo del nonno che coltivava le sue vigne di Clinto e Bacó e faceva il vino per casa. La scintilla del voler dedicarsi all’agricoltura è scattata dopo un paio di viaggi in Irlanda ed alcuni lavori in un’azienda biologica, abbandonando la sua vita precedente, orientata a professioni di cuoco e stagioni in rifugi di montagna.
Una partenza da zero, che ha visto come protagoniste sia varietà autoctone, come Pavana e Bianchetta, sia internazionali come Merlot e Traminer, alcune delle quali abbandonate in itinere, sovra innestate con la varietà resistente Souvignier Gris, oltre ad alcune centinaia di metri di Solaris, proprio di fronte all’abitazione.
Le prime vinificazioni in maniera più convenzionale, svolte in una cantina del feltrino, hanno visto un mutamento nel corso del 2019 con il “salto” verso la conduzione della vigna e le vinificazioni svolte in maniera più naturale possibile.
Un cambiamento sia nella mentalità sia nei lavori di vigna e cantina. In vigna vengono usati solo prodotti consentiti dal regime biologico, cercando di non abusare neanche di questi soprattutto nel caso del rame. Non vengono utilizzati insetticidi, l’inerbimento è spontaneo e si evita ogni forma di diserbo e concime, usando prodotti di copertura, oltre al rame, lo zolfo e l’achillea. Piccola parentesi, la resa ettaro è di circa quaranta quintali di uva.
Le vinificazioni vengono svolte nella cantina dell’amico e consulente Alex della Vecchia, concentrandosi anche in questo caso nell’impattare il meno possibile nei vini finali, innescando le fermentazioni con un pied de cuve, nel caso del rifermentato in bottiglia, oppure lasciandole partire spontaneamente. I vini non vengono filtrati e anche i livelli di solforosa sono molto limitati, cercando di utilizzarla solo nei travasi, quando necessario.
Tra le chiacchiere prendiamo l’auto e andiamo a visitare i vigneti a poche centinaia di metri dall’abitazione e a poche manciate di chilometri dalla Valle del Mis, con una coltre di neve che ricopre le piante nel loro periodo di riposo. Un panorama che solo le cantine di montagna possono offrire e, grazie agli stivali prestati da Adriano, ci immergiamo nella natura dell’ettaro di vigneto che oggi dona le uve alla sua azienda.
Il terreno di questi vigneti è principalmente sassoso ed argilloso, mentre quello della vigna a corpo è di origine alluvionale, conseguenza di una vecchia frana, “frana del Peron”, che ha lasciato dietro di sè diversi detriti, trasportati e seminati dallo scorrere di un fiume.
Tornando a scaldarci le ossa grazie all’unico elemento, la stufa, sopravvissuto al restauro in una delle sale della ex stalla dove sorgerà la cantina, assaggiamo alcune delle etichette prodotte nel corso degli anni da Adriano de Martin.
I numeri sono ancora piuttosto bassi, con una produzione di circa mille bottiglie nel 2020 e una previsione di tremilacinquecento, frutto della vendemmia 2021, volendo come obiettivo consolidare queste cifre, grazie anche all’aiuto di un nuovo impianto vitato, non nell’immediato e senza però superare un totale di due ettari, per gestirli in maniera ottimale.
L’azienda è infatti condotta interamente da Adriano, con il supporto della ragazza Giulia, che segue la parte di comunicazione e marketing, oltre al già citato Alex e qualche anziano del posto che lo aiuta a tempo perso.
Il primo vino di Adriano de Martin degustato è “Subbuglio” 2020, frutto del subbuglio della vendemmia 2020, con piante che hanno germogliato poco e l’uva Pavana che ha avuto una scarsa maturazione e una bassa concentrazione zuccherina.
E’ stato deciso di produrre, per la prima volta, un rifermentato a base di 80% Pavana e 20% Solaris.
Dopo una macerazione di quattro/cinque giorni per consentire l’inizio della fermentazione, con un pied de cuve e un primo affinamento in acciaio, il vino ottenuto viene imbottigliato con l’aggiunta del mosto congelato al fine di avviare la seconda fermentazione in bottiglia.
Al naso presenta sentori di frutti rossi, frutti di bosco, ribes, lampone melograno, per un palato verticale, fresco, buona beva, buona acidità, leggermente tannico; caratterizzato da una bolla grossolana ma non invadente.
Passiamo al bianco Piwi di casa, Sauvignier Gris, vendemmia 2019, che macera quattro/cinque giorni ed affina in vasche d’acciaio e/o vetroresina. Un vino dai sentori agrumati, di bergamotto, camomilla, pesca bianca, leggera spezia, salvia; in bocca spicca l’acidità oltre ad una buona mineralità, freschezza e discreta persistenza.
Il suo nome è “Vivo”, essendo il primo vino prodotto senza solfiti, in una modalità il più naturale possibile e pertanto mantenuto vivo.
Di questo vino ne sono state prodotte nell’anno successivo, 2020, solo 280 bottiglie, che sono state dipinte e solo retro etichettate. Il nome è “Anam” (senza nome) e i giorni di macerazione sono stati quindici. Assaggiamo in anteprima anche questo, anche se sia al naso sia in bocca presenta sentori ancora troppo freschi e giovani e pertanto è meglio dargli il suo tempo in bottiglia.
Gli altri vini prodotti sono “Silenzio” una Pavana ferma vinificata in rosso, esaurita nell’annata 2019 e in produzione nel 2021, oltre ad una Bianchetta 2018, rifermentata in bottiglia, dal nome “Natio”, che gentilmente Adriano mi regala da testare a casa.
Una curiosità dell’azienda è il Manifesto, che oltre ad essere presente nel sito web, è scritto in una delle pareti della casa. Sarebbe inutile ripeterlo qui, ma invito gli appassionati di cantine di montagna e di vino in generale ad andarlo a leggere.
In attesa di tornare a toccare con mano la nuova cantina, che vedrà un suo primo completamento nel 2022, un ringraziamento ad Adriano e maglietta 124 per lui.