Alla scoperta delle nuove vite di Giulia e Giorgio Antonioli, che da qualche anno si sono dedicati alla produzione di vino, cominciando dalla gestione di vecchi appezzamenti vitati a Gubbio
04 Febbraio 2023
Una mattinata di sole e un’aria frizzantina che mi portano in direzione Gubbio, precisamente in località Loreto a conoscere Giulia e Giorgio Antonioli, una giovane coppia che ha svoltato la propria vita cambiandone radicalmente il percorso. Giulia, nativa di Perugia, ha studiato archeologia, lavorando in questo settore che l’ha portata a scoprire siti storici in diverse parti del mondo; Giorgio, nativo di Gubbio, dopo la laurea in storia dell’arte, ha intrapreso la strada del ricercatore, fino a lavorare per alcune delle più importanti infrastrutture artistiche toscane.
Il vino, per entrambi, non è mai stato “un affare di famiglia” anche se si son sempre dilettati in qualche assaggio, in occasione di pranzi o cene con amici. Proprio durante una cena è stato assaggiato un vino “più particolare” del solito, si trattava di una delle etichette di Marco Merli. Una sorta di colpo di fulmine verso una nuova modalità di beva, un nuovo mondo che non era ancora stato esplorato. Da quel momento l’idea di voler approfondire sempre di più sia gli aspetti legati al prodotto finale, sia le metodologie di vigna sia quelle di cantina.
Nel 2015 Giorgio si è rivolto proprio a Marco Merli, chiedendogli la possibilità di affiancarlo per poter imparare il mestiere. La disponibilità del produttore ha fatto si che Giorgio e Giulia hanno preso in co-gestione una vecchia vigna a Villa Pitignano, dalla quale è nato il primo vino in collaborazione con Merli, lo Iacone (richiamando il nome di un artista fiorentino, che puntava più al bere in bottega che al lavoro).
Una partenza da zero, con studi autonomi e inerenti ad alcune metodologie di conduzione dei vigneti e di vinificazioni legate al mondo della sostenibilità e del minor impatto possibile, si è evoluta nel progetto di vita della coppia, che nel 2018, con non pochi sacrifici, ha acquistato una proprietà a pochi chilometri da Gubbio, un territorio che un tempo offriva una florida attività vitivinicola, perduta negli anni, principalmente a seguito della seconda guerra mondiale e all’apertura di due cementifici che hanno creato nuovi e differenti posti di lavoro.
Nel 2019 è stata creata la cantina fisica e nel 2020 si è usciti con i primi vini, anche se in realtà già nell’anno di costruzione della cantina si è svolta qualche vinificazione, sotto all’abitazione.
L’azienda ha preso il nome dal cognome di Giorgio, Antonioli, e, oggi, si contano circa cinque ettari vitati, di cui uno solo è a corpo, con un nuovo impianto ottenuto da una selezione massale di vecchie vigne, mentre gli altri quattro ettari sono divisi in diciotto appezzamenti, tutti nei dintorni di Gubbio e tutti caratterizzati da vecchi vigneti, con un’età compresa tra i sessanta e i centovent’anni. Assieme a Giorgio andiamo a toccare con mano alcune delle proprietà prese in gestione, soprattutto da anziani del posto che, principalmente per un fattore d’età, non riescono più a gestire quella che un tempo era un’attività quotidiana, che li portava a produrre vino per autoconsumo. La vigna più vecchia ed affascinante, con un’età di circa centovent’anni, è a poche centinaia di metri dalla cantina, sul bordo della piccola strada che conduce alla proprietà: un solo filare rimasto di Grenache o Gamay del Trasimeno, quasi tutto a piede franco e con alcune piante a bacca bianca che, probabilmente negli anni hanno sostituito alcune fallanze. Con le uve prodotte si sono ottenute nel 2022 circa centoventi bottiglie.
Le varietà che maggiormente si trovano nelle vigne gestite sono, oltre alla Grenache, l’Aleatico, Sangiovese, Ciliegiolo, Trebbiano, ma anche la Malvasia Istriana, essendoci stato negli anni un flusso migratorio di Friulani e Veneti in terra umbra, basti pensare a località come Serra di Burano (chiaro richiamo all’isola veneziana), a poche centinaia di metri dalla cantina. Non solo influenze da nord est, ma i Piemontesi scesi in queste terre hanno portato varietà come Dolcetto, Barbera e Nebbiolo, che si trovano ancora in alcuni impianti. In un unico vigneto sono presenti per la sua totalità varietà internazionali, nello specifico Pinot Nero, Pinot Bianco, Pinot Grigio, da cui sono state ottenute circa trecento bottiglie di metodo classico, che riposano sui lieviti.
Tra le tappe effettuate possiamo citare la “Vigna delle Caprette” e le vigne “Lucio 1” e “Lucio 2”, dal nome del suo proprietario, nelle quali Giorgio andava da ragazzino ad aiutare durante le fasi di vendemmia; ma anche la “Vigna del Casello”, quella più pianeggiante, adiacente al vecchio casello ferroviario. Quest’ultima, a cinquecento metri sul livello del mare, è anche la più grande, con un’estensione di poco meno di un ettaro.
“Sono la disperazione di mia moglie, vedo un vecchio vigneto, che potenzialmente potrebbe dare dei frutti interessanti e mi innamoro del progetto, volendolo prendere in gestione”.
Senza abbandonare i progetti di gestione delle vecchie vigne eugubine, c’è l’idea di accentrare parte della produzione a corpo, poco più di cinque ettari, dove verranno piantati altri due ettari di vigneto, oltre ad una parte di seminativi, che poi vengono fatti lavorare per ottenere le basi per pasta o panificati ed infine l’orto.
Una delle caratteristiche che contraddistingue Antonioli è che le vigne, pur essendo diffuse, si dividono in due macro zone, comprese tra i quattrocentocinquanta e i seicento metri, che presentano terreni completamente diversi: avvicinandosi alla città di Gubbio si trova un substrato calcareo con tratti di scaglia rossa e pietra bianca, molto profondo e ricco di scheletro; nella zona più limitrofa alla cantina, nei pressi della località Loreto si trova una marna grigia e gialla, assomigliante alla ponca friulana.
La cantina è BIO certificata, con trattamenti a base di rame, zolfo e propoli, poche lavorazioni del terreno e un sovescio se necessario in alcune zone. L’equilibrio che si ricerca è quello con la fauna, sempre più ricca di cinghiali affamati o di volatili che si precipitano sull’uva non appena è matura, come nel caso dello scorso anno che si sono destreggiati nel nutrirsi di quasi il 100% della produzione di un vigneto. La filosofia di base di Giorgio Antonioli è quelle di approfondire le necessità di ogni vigna e di ogni appezzamento, poiché ogni territorio ha le proprie caratteristiche ed ogni pianta, vista anche la non più giovane età ha dei fabbisogni da rispettare.
Tornati alla base, uno sguardo anche alla cantina, ricavata da un vecchio deposito agricolo, restaurato e utilizzato per le vinificazioni ed affinamenti, con vasi vinari in cemento, acciaio e vetroresina. Gli strumenti utilizzati sono minimali: una grata per diraspare, una pompa e un torchio manuale. Le vinificazioni sono accomunate da fermentazioni innescate da un piede per ogni massa di uva, temperature che non salgono mai sopra ai diciotto/venti grandi, minimi travasi, alcuna chiarifica e quasi nullo utilizzo di solforosa. Le bottiglie prodotte nel 2021 sono state circa quindicimila e si dividono in quattro etichette “ufficiali”, che si sommano alle varie prove di vinificazione, che trovano tra le altre anche venti/venticinque litri di Vin Santo.
Dalle varie vasche andiamo a fare qualche furto per scoprire le quattro etichette, vendemmia 2022 in fase di affinamento. Il sarà “Antimes” da uve a bacca bianca, per lo più Trebbiano Toscano e Malvasia Istriana, provenienti dai terreni definiti “brecce” più ricchi di scheletro, che macerano circa un giorno un giorno e mezzo, con un nome che fa una crasi delle parole anticlinale e mesozoica, la zona geologica dove sono situate le vigne. “Ambratile”, le cui uve sono per un 80% un blend di Trebbiano Toscano e Malvasia Istriana, provenienti dai terreni marnosi e con un nome che richiama il colore donato dai dieci/dodici giorni di macerazione. In rosso troviamo “Grabovio”, blend di Merlot, Barbera, Ciliegiolo, Sangiovese ed altre uve a bacca rossa cresciute sulle brecce, con un nome che proviene dalla divinità dei monti: Giove Grabovio. Infine “Agreste Elegante”, chiaro richiamo della campagna e la vita contadina, con le stesse uve, provenienti dalle zone marnose, ma con una maggior percentuale di Merlot e minore di Barbera.
Tra un paio di anni Antonioli uscirà con tre nuove etichette “Il male minore” in bianco in rosato ed in rosso; vini che vogliono essere quelli più quotidiani e di facile beva; un nome nato in un locale con la risposta dell’oste che consigliava il vino più beverino definendolo proprio come il male minore.
Una curiosità sulle etichette, che raffigurano il “gioco del tris”, a cui tutti almeno una volta nella vita ci siamo trovati davanti, in una versione un po’ più estesa. Il disegno è nato durante una vacanza al mare, e dal tentativo di imbroglio di Giorgio nei confronti di Giulia, più scherzoso che altro, sono emersi due significati postumi, quali il richiamo dei graticci d’acciaio che si utilizzano per diraspare le uve a mano, ma anche il simbolo di famiglia Antonioli, rappresentato da una gratta tenuta da due mani.
Un incontro che non poteva concludersi nel migliore dei modi, con un pranzo assieme a Giulia, l’artefice degli ottimi manicaretti e Giorgio, e gli assaggi dei vini della vendemmia 2021, dove si possono contraddistinguere delle caratteristiche che accomunano quelli provenienti dalle brecce, “Antimes” e “Grabovio”, che presentano un corpo maggiore, pur mantenendo una buona freschezza e delicatezza nella beva, da quelli provenienti dalle marne, “Ambratile” e “Agreste Elegante” più verticali, minerali e sapidi.
Sperando di tornare a far vista ai due nel prossimo futuro, per poter toccare con mano l’evoluzione di questa piccola realtà, per Giulia e Giorgio Antonioli maglietta 220.