Azienda Agricola Foradori, un’oasi biodinamica nel paese di Mezzolombardo, all’interno della Piana Rotaliana
18 Settembre 2021
Una mattinata che si apre con la visita all’Azienda Agricola Foradori, nel paese di Mezzolombardo, guidati dalla giovane Sonia che, fresca di laurea, si sta occupando principalmente dell’accoglienza in azienda.
Una realtà che è stata acquistata, nella prima metà del 1900, dal nonno di Elisabetta Foradori, un avvocato del posto che ha deciso di comprare terreni e la già esistente cantina più per investimento che con lo scopo di produrre vino.
Fino agli anni ’60 l’azienda è stata una piccola azienda famigliare, che vendeva vino sfuso, ma la svolta, grazie al padre di Elisabetta iniziò quando si decise di abbandonare lo sfuso per passare alla produzione di vino in bottiglia, con un’attenzione particolare alla qualità. Il 1984 fu l’anno dell’ingresso ufficiale di Elisabetta in azienda e quegli anni sono stati segnati da un enorme ricerca sulle varietà di Teroldego, arrivando ad averne oggi trenta biotipi diversi.
Azienda Agricola Foradori possiede trenta ettari e mezzo vitati piantati a Pinot Grigio e Teroldego nei terreni presenti all’interno della Piana Rotaliana, mentre Nosiola e Manzoni Bianco si trovano nelle colline sopra Trento.
Due territori geologicamente differenti, con il primo che vede come protagonista un terreno argilloso, con terra principalmente grigia ed alcuni elementi di riporto, mentre tra le colline trentine a farla da padrona è la terra rossa. In questi ultimi appezzamenti viene praticato un sovescio, per favorire l’umidità in vigna, pratica che nel versante rotaliano non si adotta, agevolando un inerbimento spontaneo.
Sonia ci guida alla scoperta dei vigneti a pergola più vecchi, con il Teroldego ormai maturo sui tralci ed alcune piante e ortaggi che vengono coltivate negli spazi liberi sotto alla vigna. In azienda, oltre al vino, vengono prodotte anche verdure e frutti venduti, su tre diversi punti vendita, con un sistema di abbonamento settimanale alle persone che aderiscono a questa iniziativa.
Non solo vegetali in Azienda Agricola Foradori, ma le colline trentine, ospitano anche sette vacche di razza grigia, che vengono allevate per la produzione di formaggi da parte di Elisabetta, che si è in parte staccata dalla produzione di vino per dedicarsi a quella casearia. Vacche che vengono portate quotidianamente al pascolo, durante la stagione estiva, potendosi così nutrire di fieno del Monte Baldo e d’inverno lasciate pascolare tra le vigne, mangiandone l’erba intra filare. Di media una vacca produce circa quaranta litri di latte al giorno, mentre in questo caso si limita a quindici, facendo già immaginare l’eccezionale qualità del prodotto finale.
Tra le vigne più vecchie, di un’età compresa tra i quaranta e i cent’anni, approfondiamo la filosofia dell’Azienda Agricola Foradori, che lavora ormai dal 2000 con pratiche biodinamiche, ottenendo la certificazione Demeter, nel 2009. Lavorazioni che si basano principalmente sull’osservazione della vite e dell’ambiente circostante, cercando di favorire il più possibile il ciclo vitale della pianta in un ecosistema stabile e con un minor impatto possibile.
Vengono utilizzati i preparati corno letame e corno silicio, creati manualmente anche in collaborazione con altre aziende e dispersi altrettanto manualmente tra le vigne. Si può scorgere, inoltre, il cumulo di compost, creato con prodotti di scarto interni all’azienda, coperto e inumidito costantemente a causa della possibilità di autocombustione. La materia organica si lascia fermentare per tutta l’estate e viene cosparsa tra le vigne subito dopo la vendemmia.
Le tecniche di allevamento principale sono Guyot e Pergola, quest’ultima curata e sfogliata periodicamente al fine di concentrare la produzione di un numero limitato di grappoli potendone favorire la qualità. Per comodità i sistemi di allevamento vengono ad oggi creati a Guyot, più immediati da lavorare e “semplici” da gestire.
L’ambiente che circonda i vigneti è ricco di alberi da frutto, orti, piante e fiori che vengono curati puntualmente da nonna Gabriella, la mamma di Elisabetta.
Ci spostiamo poi nella prima parte interna dell’azienda dove si trovano principalmente vasche di cemento non vetrificato. Le uve vengono vendemmiate a mano e i cassoni pesati in una vecchia bilancia esterna, datata 1901; in generale poi vengono diraspate e pigiate in maniera soffice per poi passare alle fermentazioni spontanee, in tutti i casi con un contatto più o meno lungo con le bucce.
Da sottolineare che dalla vendemmia 2020 le uve dedicate alla produzione del vino in anfora vengono solo diraspate e non pigiate.
In azienda non viene, solitamente, controllata la temperatura, un rischio che si è deciso di correre per mantenere il naturale decorso del processo di vinificazione.
Nel 1996 Azienda Agricola Foradori ha ampliato i suoi ambienti, costruendo una nuova cantina, che dal 2009 è diventata sede delle affascinanti anfore di terracotta di tradizione spagnola, costruite a mano da un artigiano della Mancha, arrivate ad essere oggi duecentoquarantasette.
In questi vasi vinari si producono quattro tipi di vino in commercio, Nosiola, Pinot Grigio e due Cru di Teroldego. Di media le fermentazioni durano due settimane a contatto con le bucce, coprendo le anfore con dei teli di cotone, per poi lasciare la massa in affinamento, con periodiche follature, fino al momento di svinare per mezzo di pompe e procedere ai vari assemblaggi, prima dell’imbottigliamento.
Lasciati questi contenitori simbolo di unione tra cielo e terra ci accomodiamo al piano superiore, nella sala degustazioni dove ci aspetta Myrtha, la figlia di Elisabetta, nuova generazione Foradori.
Un excursus sui prodotti fermentati dell’azienda, tra verdure dell’orto e il kefir, latte fermentato, ovviamente proveniente dalle vacche di proprietà, per poi passare alla degustazione dei vini e formaggi.
Gli assaggi dei vini, di cui vengono prodotte circa centoquarantamila bottiglie prodotte per anno, sono cominciati con la Nosiola 2015, le cui uve sono state fermentate sulle bucce nelle anfore spagnole di terracotta e lasciate in macerazione per circa otto mesi, dipendentemente dall’annata.
Al naso emerge la pesca matura, albicocca e agrumi disidratati, frutta esotica, erbe aromatiche, delicato e diretto al palato, con una discreta mineralità e leggera acidità; non troppo persistente.
Piccola parentesi l’assaggio dei formaggi dell’Azienda Agricola Foradori:
Un progetto nato circa due anni fa, anche grazie all’aiuto e supporto di Irene Piazza, una giovane ma già esperta casara.
Tra i formaggi proposti abbiamo avuto modo di assaggiare:
- “Lagrinza”, il formaggio più chiaro, con la crosta bianca, una robiola stagionata;
- “Oltralpe” altra robiola, dalla buccia più scura, fatta affinare con carbone nero;
- “Centocinquanta”, formaggio prodotto in forme da quattordici chili, ottenuto partendo da una base di centocinquanta litri ciascuna.
Per il giudizio tecnico, lascio la parola agli esperti, ma posso dire che a mio gusto è stata un’esperienza incredibile, approfittando del bis e pure del tris.
Il Secondo vino è “Morei” 2020 uno dei due Teroldego prodotto in anfora. Differente dal fratello “Sgarzon” le cui uve provengono da un vigneto più sabbioso ed in ombra, il Teroldego atto alla produzione di “Morei” si trova a Mozzolombardo, in terreni più baciati dal sole, più ricchi di ciottoli.
Vino che macera a contatto con le bucce in anfora anche in questo caso; al naso si presenta schietto con sentori che spaziano dalla frutta rossa, erbe aromatiche, a ricordi di cenere e terra, per un palato fresco e minerale, con una discreta acidità, leggerissima trama tannica e anche in questo caso moderata persistenza.
Azienda Agricola Foradori cerca di aggiungere il minimo quantitativo di solforosa possibile, con il solo scopo di rendere stabili i vini per i viaggi verso l’Italia e l’estero. C’è una produzione anche di vino senza solfiti aggiunti, che trova il suo consumo con una vendita diretta in azienda, per non mettere in pericolo le qualità del prodotto.
Il terzo e ultimo vino è il “Granato” 2019, prodotto per la prima volta nel 1986, con uve Teroldego, vinificate in stile bordolese. Un processo cambiato nel tempo, passando dalla vendemmia quasi tardiva e l’uso delle barrique all’uso del legno grande, alleggerendo il prodotto finale, donandogli una beva più leggera e delicata.
Viene ad oggi prodotto solo nelle annate migliori, con le uve provenienti dalle più vecchie pergole. La fermentazione effettuata in botti di rovere per circa venticinque/trenta giorni, durante i quali si effettuano alcune follature, mai troppo invadenti. Infine viene invecchiato in botte grande per circa un anno e mezzo.
Al naso è pieno ed elegante, con una frutta rossa più matura, ciliegia, ribes, mora che tendono alla confettura, non mancano le note speziate e ricordi di liquirizia.
In bocca è comunque verticale, con una ricca acidità e mineralità, più lungo dei precedenti e con un tannino più presente, ma mai invadente.
Un’esperienza a tutto tondo, come vuole essere questa azienda, trecentosessanta gradi in un ecosistema che sempre più sta concentrando le proprie energie sulla produzione di alimenti atti all’autosostentamento.
Un viaggio che si conclude con la maglia numero 83 per Myrtha, con la speranza di poter assaggiare gli altri vini e ovviamente anche i formaggi.