Assieme ad Ottavia, ultima generazione della storica Conte Vistarino, che negli ultimi anni ha rivoluzionato l’azienda e il modo di interpretare il Pinot Nero
30 Settembre 2022
Nel cuore dell’Oltrepò Pavese, in località Villa Fornace, a Rocca de’ Giorgi, sorgono le proprietà dell’azienda Conte Vistarino, capitanata oggi da Ottavia Giorgi di Vistarino. La chiacchierata con Ottavia comincia da un’analisi delle criticità di questo territorio, “disastrato” da più punti di vista, ma principalmente vittima del non riconoscimento nel corso degli anni come zona di produzione d’eccellenza di vino, in particolare quando si parla di Pinot Nero. Il suo ingresso in azienda, dopo alcuni anni di studio a Milano, è stato a dir poco disruptive, trovandosi davanti un sistema produttivo e aziendale fossilizzato e ormai superato, con papà Carlo poco propenso e invogliato al cambiamento e agli investimenti.
“Ho voluto disfare per ricominciare, con non poca paura del rischio che stavo correndo”.
Prima di arrivare ai nostri giorni, vediamo un po’ di storia di Conte Vistarino, che, senza andare troppo in là nel tempo, si può ricondurre al conte Augusto Giorgi di Vistarino, trisnonno di Ottavia, il quale nel 1850 importò direttamente dalla Francia le prime barbatelle di Pinot Nero, apprezzandone i risultati in bottiglia nei grandi vini francesi, piantandole nella proprietà di famiglia dal favorevole suolo calcareo-argilloso. Con il figlio Carlo e l’incontro con l’omonimo Carlo Gancia si cominciarono a produrre le prime bollicine Metodo Classico in Italia messe in bottiglia con il nome di Pinot Rocca de’ Giorgi. In quegli anni Conte Vistarino era una delle più importanti aziende italiane, sia dal punto di vista vitivinicolo, sia per dimensioni in termini di possedimenti, che si completavano di pascoli, stalle, allevamenti, coltivazioni, dando lavoro a circa quattrocentocinquanta persone.
Per più di un secolo si è alternata la produzione di spumanti e la fornitura di basi per la spumantizzazione ad innumerevoli aziende. Nonno Ottaviano, cavaliere del lavoro per meriti agricoli (colui che in azienda pensò ai sesti di impianto finalizzati al passaggio delle macchine per le lavorazioni tra i filari) si orientò sulla produzione di spumanti Metodo Martinotti, velocizzando i processi di vinificazione e abbassando i costi di lavorazione, oltre che quelli di vendita delle bottiglie. Conte Vistarino, che vinificava anche le uve per altri colleghi, diventò in quegli anni una sorta di cantina sociale del territorio e continuò così anche durante la gestione di papà Carlo, descritto come un uomo umile, a modo, onesto, dedito al lavoro, schivo dei riflettori, ma aggrappato al suo immaginario e ai suoi punti fissi, senza visione rispetto ad una possibile valorizzazione del territorio, dei vini e dell’azienda stesa.
“La società agricola imbottigliava vini pessimi, poco valorizzanti del territorio, per poi vendere sfusi i vini buoni”.
Sebbene sia stata da sempre partecipe delle attività di famiglia e, con non poche discussioni e litigi con papà Carlo, nell’agosto del 2016 l’ingresso ufficiale di Ottavia al timone azienda. La sua figura ha risvoltato tutti i paradigmi di Conte Vistarino, ricominciando da zero e investendo nella ristrutturazione della cantina, con un’importante opera di moderna architettura, parallelamente ad un lavoro di “sfoltimento” e miglioramento dell’attività in vigna. Un restauro pensato con l’idea di non investire solo nell’azienda, ma credendo che potesse essere un volano per il territorio, con la speranza che l’Italia e il mondo si accorgesse di quanto l’Oltrepò Pavese avesse da offrire. Missione sicuramente in itinere, ma che sta cogliendo i primi frutti, con l’interesse degli appassionati del mondo del vino e della stampa, che si stanno avvicinando sempre di più a queste terre, apprezzandone i prodotti.
I possedimenti dell’azienda si estendono per un totale di ottocentoventisei ettari di cui duecento vitati, i quali hanno visto una forte riduzione con l’ingresso di Ottavia, estirpando trentacinque ettari di vigna malandata e dandone in affitto altri cinquanta, di scarso interesse per i nuovi progetti aziendali. A Conte Vistarino vi erano ancora, nel 2016, tre o quattro mezzadri, che, come altri collaboratori, sono stati ricollocati in altre realtà o mansioni.
Uno sfoltimento che ha permesso così di concentrarsi sui vigneti rimasti e sulla valorizzazione dei singoli territori che, vista l’estensione, godono di caratteristiche uniche, le quali vanno ad inficiare sui prodotti finali. I possedimenti si trovano all’interno di una delle vallate che predominano sull’Oltrepò Pavese, la Valle Sovrapasso, che è caratterizzata da suoli di diverso tipo, con zone sabbiose, altre limose, per lo più di antica conformazione, dalle terre magre e talvolta franose. Negli ultimi anni si è fatta sentire la siccità ed è stato fatto un grosso lavoro in vigna per chiudere le crepe formatesi tra i filari, tra i quali non si usano i diserbi, ma si lavora a macchina il sotto fila, lasciando un inerbimento a filare alterno. Per quanto riguarda i trattamenti Conte Vistarino si attiene ad una misura europea che prevede controlli molto serrati in termini di sostenibilità, anche oltre a quanto permette il Bio.
Una curiosità è che tra i possedimenti si trova anche una riserva di caccia, una delle più antiche presenti in Italia e trentacinque poderi (ex abitazioni dei mezzadri), oltre alla villa padronale, al di la della strada rispetto alla cantina.
Entrando proprio in cantina e salendo le scale per vedere la struttura dall’alto si possono vedere le moderne vasche di vinificazione, tutte refrigerate, ed immaginare il percorso delle uve, portate in cassetta nella parte superiore con un ascensore per poi essere lavorate intere o diraspate, dopo una cernita ottica e “spaccate” da un apposito macchinario che non rompe i vinaccioli. Il loro destino dipende successivamente dalla tipologia dei vini da produrre, che spaziano dalle bollicine Metodo Classico, ai bianchi, ai Pinot Nero, prodotti anche in tre Cru, che affinano in barrique di media tostatura.
Le fermentazioni vengono, per tutte le tipologie, attivate da lieviti selezionati e le macerazioni sulle bucce non vogliono estrarre troppa potenza che si riflette nei vini. Il solo legno utilizzato è la barrique, di diversi fornitori, mentre per i vini di pronta beva si utilizza solo l’acciaio; infine le bottiglie di Metodo Classico vengono conservate in un magazzino refrigerato.
Questa è la prima generazione della famiglia che ha puntato sulla vinificazione delle proprie uve, senza acquistarne da terzi o vinificare quelle di altre aziende, uscendo, inoltre, dalla tradizionale vendita dello sfuso, per una produzione totale di circa duecentottantamila bottiglie prodotte per anno.
Avendo parlato di Pinot Nero e dei vari Cru è arrivato il momento degli assaggi, all’interno della sala degustazioni e punto vendita creato assieme alla cantina, per promuovere l’accoglienza in azienda.
Qui ho il piacere di incontrare Mario Maffi, enologo e pietra miliare dell’Oltrepò Pavese, con il quale scambio qualche battuta sulla valorizzazione di queste terre, trasmettendomi così la sua vena ottimistica per l’ascesa del suo Oltrepò, “oggi è capitanato da donne, giovani, competenti e con la voglia di far diventare grande questo territorio”.
I tre Pinot Nero assaggiati cominciano con quello più fresco “Conte Vistarino”, un 2021 affinato in solo acciaio dai profumi delicati di piccoli frutti rossi, ciliegia poco matura, sentori ematici e ferrosi, dal palato fresco e dotato di una buona acidità, minerale e abbastanza tannico, con una frutta che ritorna in bocca, verticale e di discreta persistenza.
Il secondo assaggio è di “Costa del Nero” 2020, un Pinot Nero che affina per una parte in acciaio e per un 20% circa in barrique di rovere usata. La ciliegia diventa più matura al naso, frutti rossi, una leggera spezia, spunti di grafite, punta di rabarbaro; per un gusto fragrante, una buona acidità, minerale e più morbido del precedente, anche se mantiene un tannino vivido, aumenta anche la persistenza.
Infine uno dei tre Cru di Pinot Nero prodotti “Pernice” 2018, “top di gamma” di Conte Vistarino, ottenuto da uve provenienti da un vigneto vocato fin dagli anni ’60, piantato nella località da cui prende il nome. Vino che affina almeno un anno in barrique di diverso passaggio e almeno un anno in bottiglia, il quale esprime un tripudio di frutti rossi al naso che tendono alla marasca, confettura, prugna, violetta, rabarbaro un tenue richiamo alla dolcezza che però non si trova in bocca, all’interno della quale entra equilibrato, morbido, ma con una costante acidità, mineralità e lunga persistenza.
Un tuffo in una delle più storiche aziende dell’Oltrepò Pavese approfondendo il suo nuovo e affascinante volto, nato per merito di Ottavia, che merita la maglia numero 189!