Un viaggio nella storia della Sicilia, della DOCG di Vittoria e dell’azienda Cos in compagnia di uno dei suoi fondatori Giambattista Cilia
29 Marzo 2024
Una mattinata alla scoperta dell’unica DOCG della Sicilia, pochi chilometri più a nord del paese da cui prende il nome, Vittoria, in compagnia di uno dei suoi fondatori, nell’Azienda Agricola Cos. Siamo con uno dei due creatori di questa realtà, Giambattista Cilia e con il sommelier Fabio, per approfondire la storia di una delle più importanti aziende di quest’area. Un’azienda nata quasi per gioco poiché i suoi fondatori, Giambattista Cilia e Giusto Occhipinti, all’inizio della loro carriera erano due studenti di architettura. Un anno, poco prima dell’inizio dei corsi si trovarono a vendemmiare le uve del padre del primo, per poi pigiarle con i piedi e produrre una botte da millecinquecento litri di vino, all’interno di un vecchio Palmento del 1885.
Dopo la produzione, guidata da papà, era necessario l’imbottigliamento e così i due, assieme a tutta la compagnia di amici si cimentarono del trasferire il vino nelle bottiglie, etichettandole a mano e in maniera abbastanza rudimentale. La parte più semplice era stata fatta, ma il vino doveva anche essere venduto. Senza nessuna competenza commerciale Giambattista e Giusto iniziarono a proporre il vino ai locali di Palermo, città dove hanno intrapreso gli studi, in un periodo, gli anni ’80, dove il mondo del vino in Sicilia era praticamente a terra. A quei tempi nella Regione si piantavano sempre più varietà internazionali, espiantando le autoctone, per soddisfare un mercato turbato dallo scandalo del metanolo e dove si puntava alla quantità più che alla qualità. I due amici hanno comunque riscosso un ottimo successo fin da subito, proponendo al mercato qualcosa di diverso, prodotto in maniera artigianale. Le bottiglie sono state piazzate ai locali di Palermo in pochi giorni e gli aneddoti di quella esperienza sono decine.
Per esempio il titolare di un locale ne comprò dieci cartoni, senza nemmeno sapere il nome di questa realtà e senza assaggiare il contenuto delle bottiglie, solo perché l’azienda era emergente. L’anno successivo, invece, un commerciante si è recato nell’azienda per acquistare tutta la produzione di vino sfuso, con pagamento anticipato, ma, credendo nel progetto, i due rifiutarono.
Visto il successo commerciale, dal secondo anno, le botti raddoppiarono e il mercato principale, in fase iniziale, era quello della città di Palermo. La cosa buffa è che se cercavi le bottiglie dell’azienda non si potevano trovare in quasi nessuno scaffale perché da un lato il consumo era estremamente repentino, dall’altro gli esercenti si portavano a casa il vino, tanta era la qualità, per consumo personale.
“Così ci siamo fatti la nomea, tutt’ora attuale, di quelli che il vino non ce l’hanno mai!”.
Perfino un professore dell’università era venuto a sapere di quei due ragazzi del suo corso che producevano vino, individuandoli quasi nell’immediato, con la volontà di assaggiarne la produzione.
I primi anni né le bottiglie né l’azienda aveva un nome, identificato poi delle iniziali dei cognomi degli allora tre protagonisti. A completare il terzetto c’era, infatti, un terzo amico, studente di medicina, Rino Strano, poi staccatosi dalla realtà per dedicarsi all’ambito dei suoi studi.
Altro particolare da sottolineare è che dall’inizio di questa avventura Giambattista e Giusto hanno applicato alle bottiglie etichette rappresentanti la chiesa e il teatro del loro paese, Vittoria. Una volta attenzionati che potenzialmente non si potevano utilizzare i monumenti, se non previa autorizzazione del comune, si diressero dal sindaco. Questa è stata la prima volta che la giunta ha votato all’unanimità un decreto, l’approvazione dell’uso dei simboli del paese.
Fin da subito si è dimostrata la volontà di portare nel mondo il proprio paese di provenienza, Vittoria, una città relativamente giovane, fondata nel 1607, pur essendo circondata da città molto antiche e millenarie.
Sulle sue origini è necessario raccontare un breve aneddoto, che risale ai tempi del Regno delle due Sicilie, quando la contessa Vittoria Colonna Henriquez-Cabrera si trovò a fronteggiare grosse difficoltà legate ai malavitosi che abitavano i boschi limitrofi. Su sua iniziativa venne costruito un edificio e fece emanare un editto, sul quale venne scritto che offriva una possibilità di riscatto alle persone nascoste nei boschi, donando un ettaro di terra da allevare a vigneto, con uve destinate all’acquisto da parte del Regno e un secondo ettaro dedicato al proprio fabbisogno famigliare. Gran parte accettò fin da subito, mentre altri cercavano di ribellarsi a tale volontà, facendo così rivelare che l’edificio costruito era in realtà un carcere, dedicato ai dissidenti.
Oggi la porta della vecchia struttura è nel centro del paese, in asse con via Cavour.
Alla fine del percorso di studi, si è dovuta prendere una direzione e la scelta è ricaduta sul continuare l’attività vitivinicola, pur non denigrando quel percorso che li ha portati alla laurea in architettura, ribaltando le conoscenze apprese, in azienda. Anche il vino è frutto di un progetto, figlio di una storia e della conoscenza per un certo settore, anche se governato da madre natura e da quanto può essere clemente una determinata annata.
“A Vittoria non sarebbe stato semplice esercitare questa professione, anche perché gli abitanti sarebbero venuti dall’architetto a dirgli come doveva fare le case!”
La storia di Giambattista, per gli amici Titta, ha avuto un punto di svolta nel 2004, quando è stato eletto presidente del Consorzio di Vittoria, che allora era una DOC. Alla prima riunione, caratterizzato dallo spirito innovativo e dirompente, ha subito voluto puntare in alto, proponendo di far diventare Vittoria una DOCG e di creare anche in questa zona la Strada del Vino. Due dei consiglieri si misero subito a ridere, per la prima affermazione e così, dopo un consulto con il segretario su quali fossero i poteri del presidente, questi furono rimossi dal loro ruolo. “Se si vogliono ottenere dei risultati bisogna crederci nelle cose e non deriderle”.
Informatosi sulle procedure per ottenere la denominazione Titta si è recato al Ministero di Roma, portando tutte le informazioni storiche riguardanti Vittoria. Piccola parentesi, in queste zone tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo si contava una produzione vitivinicola che sfiorava il 50% del totale di quella della penisola italiana. Dopo un colloquio con il Ministro e la richiesta di alcuni altri documenti, quasi incredulo, nei mesi successivi arrivarono in Regione, a Palermo, i moduli per la creazione della DOCG, che dovevano essere siglati dal presidente della Sicilia. Quest’ultimo, anch’esso incredulo, del susseguirsi degli episodi, dopo una telefonata chiarificatrice con il produttore, non potette che siglare le carte e così nel 2005 è nata la DOCG “Cerasuolo di Vittoria”.
Il concetto applicato alla professione vitivinicola è stato fin da subito quello di staccarsi dalla tradizione, cercando di adottare tecniche che non volevano riproporre gli errori del passato, pur riprendendo metodologie e concetti che appartengono alla viticoltura di altri tempi. La filosofia dei produttori è sempre stata quella di mantenere una visione diversa dalle produzioni massive e impattanti chimicamente che l’enologia del tempo promuoveva, fuori da ogni pregiudizio, con la mente libera e un pensiero fuori dagli schemi.
Il primo luogo dell’azienda Cos che andiamo a toccare con mano è la sala dove sono contenute le anfore. Un vaso vinario scelto nei primi anni duemila, stanchi delle persone che si interessavano più alla tipologia del legno utilizzato, che al vino stesso. “Io faccio il vino, non faccio mica il falegname”. Le anfore si utilizzano ancora oggi per far fermentare ed affinare le uve dedicate ad una delle linee dell’azienda. Il concetto di base è che in questi contenitori il vino gode di una micro-ossigenazione e, dopo aver rimosso le bucce, in seguito alla macerazione, la feccia che vi rimane funge da protettore per il liquido così da proteggerlo dall’ossidazione, conservando le sue caratteristiche senza l’aggiunta di solforosa. “L’ossigeno che entra viene mangiato dalla feccia”.
Prima di arrivare a questa scelta e abbandonare quasi del tutto il legno sono stati fatti diversi viaggi e studi, dalla vicina Toscana alla Spagna, fino alla Georgia. Sicuramente l’ultima nazione visitata è stata quella che ha fatto innamorare i produttori di questo vaso vinario, pur decidendo di acquistare le anfore da un produttore spagnolo. Oggi troviamo gran parte di quelle centocinquanta anfore acquistate nel 2007, un tempo interrate totalmente, ma ora sollevate di una decina di centimetri, a causa dell’usura dovuta principalmente all’umidità, essendo orami l’ex produttore anziano e fuori dal business.
Lasciato momentaneamente Titta andiamo a scoprire assieme a Fabio, sommelier e addetto alle visite dell’azienda Cos, le altre aree, partendo da un paio di vigneti esterni. Oggi gli ettari sono circa quaranta, divisi in due zone principali, quella di Fontanelle e quella di Bastonaca. I primi vigneti, a corpo, sono di circa trentadue ettari con un’età media di venticinque anni ed impianti a guyot, mentre quelli di Bastonaca sono principalmente ad alberello, con vigne di circa cinquanta/sessant’anni.
La conduzione è biologica certificata, con una mentalità che segue anche alcuni principi della biodinamica, e trattamenti a base di rame e zolfo, inerbimento tramite sovescio e spontaneo per quest’anno. Si presta la massima attenzione in vigna, per poi trasferire uve sane in cantina, le quali vengono trasformate spontaneamente in diversi vasi vinari. La cantina è stata scavata nel 2006 cominciando le prime vinificazioni nel 2007 e fin da subito si è utilizzato il cemento come principale vaso vinario, lasciando spazio al legno di grande formato, di origine austriaca, al piano inferiore, limitandone l’utilizzo all’invecchiamento di alcuni vini.
Interessante vedere dalle foto degli scavi la conformazione del terreno, dove si possono trovare una cinquantina di centimetri di terra color rosso ciliegia, “cerasa”, che lascia poi spazio alla roccia calcarea.
In cantina sono conservate anche diverse bottiglie delle vecchie annate, circa quarantamila, sia dedicate alla vendita per clienti speciali, sia per capire l’evoluzione delle varie referenze con il passare del tempo.
La produzione dell’azienda Cos si attesta tra le duecento e le duecentocinquantamila bottiglie, anche se nel 2023 si andranno a produrre circa centottantamila bottiglie, a causa della peronospora che ha colpito queste zone. A queste si aggiungono anche le circa tremila bottiglie di olio (anche se ogni anno è un’incognita!), varietà Tonda Iblea.
Cos produce di media undici diverse referenze, che possono cambiare nel corso delle annate, dipendentemente dalla qualità delle uve; per esempio il Cru di Cerasuolo di Vittoria Classico “Fontanelle” 2020 e 2021 è stato declassato poiché non ritenuto all’altezza.
Sono presenti diverse linee: una linea che fermenta e affina in solo cemento dove troviamo il Frappato “Nero di Lupo”, 100% Nero d’Avola e “Ramì” 50% Grillo e 50% Inzolia. Nella linea “Pithos”, dove le uve macerano ed affinano in anfora abbiamo: Nero d’Avola, Grecanico e Zibibbo (ottenuto da uve di un agricoltore amico di Marsala). Per la produzione dello Zibibbo c’è una stanza a lui dedicata, con alcune anfore e una temperatura costante. Si producono anche un migliaio di bottiglie di Metodo Classico non sboccato e non filtrato, dosaggio zero, rifermentato con il mosto dell’annata successiva, il quale sosta sui lieviti di media venti mesi. La sua produzione è iniziata per la passione riguardo alle bollicine, nel 2012, quando la sosta sui lieviti era di novanta mesi.
Una terza linea è quella che fa un passaggio in legno e qui troviamo il “Contrada”, Nero d’Avola in purezza e i tre Cerasuolo: Cerasuolo di Vittoria Classico, Cerasuolo di Vittoria Classico Della Bastonaca e Cerasuolo di Vittoria Delle Fontane.
Fino al 2023, prima dell’estirpo delle piante, si è prodotto anche il “Maldafrica”, un taglio bordolese ottenuto dalle internazionali Cabernet Sauvignon e Merlot, piantate negli anni ’80, a causa della richiesta del mercato di tali varietà.
Iniziamo gli assaggi nella saletta degustazione proprio con il Metodo Classico, vendemmia 2020, un vino dal colore buccia di cipolla e i sentori agrumati, spunti di frutti rossi tipici del vitigno, un tocco floreale e ammandorlato, con una nota mentolata che esce scaldandosi la temperatura. Al palato entra fresco, con un discreto corpo, bolla fine, buona acidità, verticale, buona mineralità e di discreta persistenza.
Passiamo alle anfore con il “Phitos” bianco 2022, Grecanico Dorato 100%, che effettua più di un mese di macerazione, sostando per sei/sette mesi sulle fecce fini per poi essere assemblato in cemento e riposare un altro mese. Al naso esprime sentori floreali, di fiori gialli, note tropicali, che si alternano alla macchia mediterranea, un tocco di miele e sottofondo di pepe bianco. Al palato entra con una buona freschezza, discreta acidità, mineralità e buona sapidità, oltre a una buona persistenza e corpo, pur mantenendo un’ottima beva.
Il mondo dei rossi Cos si apre con il Cerasuolo di Vittoria Classico 2021, 60% Nero d’Avola e 40% Frappato, sia provenienti da Bastonaca sia da Fontanelle. Un vino affinato per un anno in cemento e uno in botte, che regala al naso sentori di piccoli frutti rossi, ciliegia, fragola, un velo speziato e note ematiche. In bocca ha un’ottima beva, freschezza, buona acidità e sapidità, tannino setoso e discreta persistenza.
La produzione di Cerasuolo di Vittoria Classico è consentita da Chiaramonte Gulfi a Pedalino (passando da Vittoria) e da Vittoria ad Acate.
Concludiamo in bellezza con il Cru Cerasuolo di Vittoria delle Fontane 2017, che presenta le stesse percentuali delle due varietà ed è stato affinato un anno in cemento e due in botte. Questo vino regala profumi di frutta molto matura, note di tabacco, cacao, carruba, per un palato pieno, con un buon corpo, mantenendo spalla acida, buona sapidità e mineralità, più tannino e buona persistenza.
Un caro saluto a Titta e Fabio, in attesa di incontrarci nuovamente per poter esplorare il Museo del Vino di proprietà dell’azienda Cos, a pochi chilometri di distanza dal corpo centrale, in cui, tra gli altri cimeli, è conservata la prima bottiglia di Frappato prodotta nel 1823.