Eugenio Rosi, nel mondo di Eugenio e Tamara, per scoprire la mentalità di un produttore trentino appassionato del suo Marzemino ma anche dei bianchi macerati
25 Ottobre 2024
Siamo letteralmente nel centro di Calliano, un paese poco più a nord di Rovereto, dove ha trovato la sua sede, in uno storico palazzo veneziano con vista su Castel Beseno, l’azienda Eugenio Rosi. Scese le scale per raggiungere la cantina di affinamento cominciamo ad immergerci nella storia di questa realtà, nata nel 1997, grazie al suo protagonista principale, Eugenio Rosi, affiancato dalla moglie Tamara.
Eugenio, dopo gli studi in enologia, ha iniziato a lavorare come enologo in alcune cantine sociali delle Vallagarina, fino al punto di rottura con questa mentalità produttiva di massa, dopo undici anni di operato. Il suo scopo è diventato quello di creare qualcosa che abbracciasse la sua filosofia di produzione, dalla vigna alla trasformazione delle uve, pur non avendo una tradizione di famiglia in questo settore, se non un paio di ettari vitati appartenuti al padre.
Data l’insoddisfazione della vita da enologo per queste grosse realtà, ha deciso di provare ad avviare il suo progetto personale, chiedendo in affitto alcuni appezzamenti all’ultimo datore di lavoro, dividendo le energie continuando la sua attività principale e cercando di avviare quella che rispecchiasse maggiormente la sua identità. Passo dopo passo, da un paio di ettari in affitto e con trasformazioni effettuate nella cantina di un amico ad Isera, ha iniziato a posare le prime pietre dell’azienda chiamata con il suo nome.
Nel 2000 la decisione di licenziarsi ed acquisire anche parte dei vigneti del padre, poco più di un ettaro di Marzemino, varietà protagonista delle trasformazioni di Eugenio, che ricordiamo essere portata da Refrontolo in Vallagarina dai veneziani. Ed è proprio in un palazzo veneziano del 1400, come anticipato, al servizio del vicino Castello, che ha trovato sede questa realtà, dopo una serie di spostamenti tra ex cantine sociali dismesse.
Qui troviamo la zona di affinamento dei vini, con botti da cinquecento litri a doga grossa e barrique, essendo l’area dedicata alle fermentazioni e affinamento in acciaio e per lo più cemento, in un secondo stabile.
A breve ci sarà un ulteriore spostamento, essendo il palazzo in vendita e avendo acquistato una falegnameria in disuso, che ha quasi completato la sua trasformazione in cantina di vinificazione ed affinamento.
Parlando di vigna, oggi Eugenio Rosi conta appezzamenti vitati in quattro macro-aree per un totale di otto ettari, “cerchiamo di aumentare sempre i terreni, ma la produzione rimane sempre quella”.
A Volano, nella zona conosciuta come dei Ziresi, è presente il Marzemino, piantato in un terreno prevalentemente argilloso, che un tempo ospitava anche una cava, come testimonia un mattone prodotto dal nonno di Eugenio. Fin dal 1988, questa varietà è sempre stata quella a cui si è dedicato maggior tempo in termini di studio in vigna e di come trasformarla per poter far sì che esprimesse a pieno le sue caratteristiche. Il Marzemino è decisamente un’uva difficile da portare a maturazione e lo scopo ultimo è proprio quello di avere un acino il più maturo possibile, evitando che si arrivi alla sua rottura, a causa della buccia molto sottile. Oltre ad avere un chicco maturo, al fine di estrarre tutto il suo potenziale in vinificazione, le uve vengono lasciate a contatto tra di loro tra i venti e i quaranta giorni, dipendentemente dall’annata e una parte (un tempo fino al 40% della massa) effettua un periodo di appassimento, circa trenta giorni.
Un altro vigneto storico è quello di Cabernet Sauvignon e Merlot, situato a quattrocento metri sopra a Rovereto, con un’ottima ventilazione ed esposizione, basato su un terreno più pesante e limoso.
La carrellata delle varietà a bacca rossa si conclude con un terzo vigneto, di Cabernet Franc, su terreno piuttosto sabbioso, all’interno del parco di una villa nel centro di Rovereto (dove inizialmente si cercava la cantina). Questa vigna è stata quella che Eugenio definisce “sperimentale”, circa mezzo ettaro dove si sono svolte le prime sperimentazioni di conduzione a basso impatto, ma soprattutto le cui uve si sono iniziate a vinificare in maniera spontanea e senza solforosa aggiunta, trasferendo in seguito questa mentalità a tutta l’azienda.
Le varietà a bacca bianca si trovano tutte tra i cinquecentocinquanta e gli ottocento metri sul livello del mare, in Vallarsa, dove sono presenti Pinot Bianco e Chardonnay, e nella Valle di Terragnolo dove, oltre al Pinot Bianco è stata piantata la Nosiola. I terreni sono di base calcarei, con minore presenza di argilla, terre più acide e ricche di porfido nel primo caso e caratterizzate da scheletro, sassi e argilla negli altri appezzamenti.
Dal 2001 si è cominciato il percorso di conversione per la certificazione Bio, ottenuta nel 2007, affrontando anche alcuni corsi di biodinamica, pur non adottando tali principi in vigna, “piuttosto mi baso sulle lune in cantina”. I trattamenti sono quelli previsti dal biologico e si cerca di interpretare ogni appezzamento vitato, a seconda delle sue necessità, principalmente per la gestione dell’acqua.
“Non siamo interventisti, nel dubbio sto fermo!”
Da diversi anni non si effettuano più cimature, ma tutto viene piegato; questo ha permesso all’azienda di portare le uve ad una migliore maturazione, tendenzialmente sviluppando meno alcolicità e più aromi nel prodotto finale, oltre a consentire alle radici delle piante di penetrare più in profondità. Infine, si è notato l’aumento dell’equilibrio della pianta, principalmente dal punto di vista dello sviluppo di nuove foglie, a favore di quelle più vecchie e resistenti, permettendo una conseguente interruzione anticipata dei trattamenti.
Per quanto riguarda le vinificazioni, si predilige l’utilizzo del cemento, per la prima fermentazione, che avviene spontaneamente, si cerca di impattare il meno possibile sui vini, evitando anche l’utilizzo di pompe e preferendo un sistema di movimentazione per caduta. Durante i periodi di macerazione delle uve rosse non si vuole “toccare” troppo la massa, limitando rimontaggi e follature, ove necessario. Tutti i vini, ad eccezione di “Riflesso Rosi”, che in seguito scopriremo, effettuano un passaggio in legno, di diverso formato.
Eugenio Rosi è stato anche il primo produttore trentino a cimentarsi con un bianco macerato in questa zona, essendo un grande amante del Friuli e dei vini bianchi prodotti dal contatto sulle bucce. Un bianco che non ha nulla a che fare con i macerati della regione citata, non somigliando sicuramente un macerato per come ce lo immaginiamo, “ingannando” fin dal primo sguardo, appena versato nel calice.
Per addentrarci nella filosofia di Eugenio Rosi non ci resta che assaggiare i vini prodotti, circa trentamila bottiglie per anno, divise in sei etichette.
Cominciamo proprio con l’unico bianco di casa, anche se, come abbiamo anticipato, viene vinificato come un rosso, poiché Nosiola (circa un 50% della massa), Pinot Bianco e Chardonnay (in minima parte, ottenuto delle vigne più alte), raccolte separatamente e successivamente diraspate, effettuano una macerazione che negli anni è variata dai quindici, fino ai trenta giorni, dipendentemente dal decorso della fermentazione. Dopo la svinatura, le varietà possono essere assemblate o continuare il percorso in botti da cinquecento litri a doga grossa in maniera separata, per circa un anno, per poi creare il giusto blend da mettere in bottiglia. Il vino macerato che non vuole assolutamente essere un orange wine e prende il nome di “Anisos”, in greco “disuguale”. Per quanto riguarda l’annata 2021, al naso troviamo sentori di pesca gialla, fiori gialli, tiglio, un tocco agrumato, buccia di cedro, tocco di mentuccia per un ingresso in bocca dritto, verticale con una buona mineralità e discreta sapidità, buon corpo e persistenza.
L’azienda propone sul mercato anche un’annata di cinque anni prima, la 2016, che, potendola degustare, mette in luce una frutta più matura, candita, una nota di miele, spezia, tocco di vaniglia, pur mantenendo un sorso teso, con buona acidità e freschezza e una maggiore persistenza.
Dopo il macerato “non orange”, passiamo ad un vino che può sembrare un rosato dal colore rosso scarico alla vista, ma non lo è. Si tratta di “Riflesso Rosi” 2022, un’etichetta nata dall’idea ironica che “del maiale non si butta via niente”. Questo vino è il frutto della vinificazione di Merlot, Marzemino e Cabernet Sauvignon, che, dopo la diraspatura restano alcuni giorni a contatto tra di loro, per iniziare così la fermentazione e ottenere la trasformazione in vino. Dopo aver torchiato la massa si aggiungono le uve bianche degli appezzamenti più alti dell’azienda, utilizzate per la produzione di “Anisos”, le quali portano acidità, eleganza ed un equilibrio nel colore, assorbendo la parte instabile, non aggiungendo solfiti. Senza torchiare, si svina e si lascia il vino in cemento solitamente fino ad agosto, prima delle vendemmia, quando viene imbottigliato e chiuso con tappo a corona, “perché quando ho iniziato questo progetto avevo litigato con il sughero”.
Un vino ottenuto nella forma desiderata dopo quattro, cinque anni di prove, proposto la prima volta sul mercato nel 2011, che si presenta al naso con note di petalo di rosa, lampone, fragolina, amarena, le quali tornano in bocca, dove mantiene freschezza, eleganza, beva, mineralità, sapidità e una moderata persistenza.
Entriamo nel mondo dei rossi con il Marzemino “Poiema”, che etimologicamente significa “frutto di una creazione”, in greco e porta in etichetta il ritratto del primo figlio della coppia, disegnato da Tamara.
Una parte delle uve viene vinificata in maniera tradizionale in rosso, mentre una percentuale viene lasciata in appassimento per poi creare il blend più bilanciato da affinare in botte, precedentemente rovere e castagno, ora ciliegio e lo stesso castagno, così da non infondere sentori troppo marcati di legno. Curiosità è che la rifermentazione della seconda massa viene fatta con l’uva appassita, in una sorta di “governo all’uso toscano”. Nell’annata 2020 troviamo sentori di frutto di bosco, fragolone maturo, note di cipria, rossetto, per un vino pieno ma ben equilibrato, con corpo e persistenza, sorrette da una buona mineralità, discreta acidità e un tannino molto discreto.
Assaggiando anche il 2016, notiamo che i sentori si evolvono, facendo emergere anche un piacevole sottobosco, note speziate, un tocco di cioccolato, confettura, pur mantenendo, anche in questo caso, beva e freschezza, un buon corpo, equilibrio e persistenza.
Passiamo al Cabernet Franc, ottenuto dal vigneto protagonista del cambiamento radicale nella conduzione e delle vinificazioni da parte di Eugenio Rosi. Il vino ottenuto prende il nome di “19Venti21” poiché vede protagoniste le vendemmie 2019, 2020, 2021, in una sorta di “Solera Scalare”, prodotto con tre annate differenti, che riposano per più o meno tempo in barrique. Un vino che presenta al naso sentori di frutti neri, mora, mirtillo, un tocco di peperone, una marcata ma non invadente salvia, ma anche violetta, cacao e liquirizia. In bocca entra con una buona spalla acida, mineralità e sapidità, un tannino più presente ma discreto, per un ottimo corpo e buona persistenza.
Nell’ “Esegesi”, dal nome che significa “interpretazione”, troviamo protagonista il Cabernet Sauvignon all’80%, con un 20% di Merlot e un’etichetta che riporta il primo disegno che Tamara ha regalato ad Eugenio.
Nel disegno sono raffigurati un uomo e una donna agli estremi di una spirale, che vuole sottendere il movimento del vino nel bicchiere, enfatizzando così il suo scopo sociale, alleato dello stare assieme in maniera conviviale. Le uve vengono diraspate e lasciate in vasche di cemento talvolta fino a Natale ed è capitato anche oltre, con una follatura o un rimontaggio quotidiano fino alla fine della fermentazione alcolica, per poi procedere con la svinatura e lasciar riposare il vino in barrique per circa due anni.
Nell’annata 2019 troviamo già una frutta in confettura, con un accenno di sottobosco, cioccolato, tabacco dolce, uno spunto erbaceo, tocco speziato, per un vino fresco, di buona beva, tannino leggermente più pronunciato, buona mineralità e buona persistenza.
Assaggiando l’annata 2015 troviamo al naso sentori più delicati, con piacevoli note di sottobosco, cioccolato, tabacco dolce, con un sorso ben equilibrato, morbido e delicato, con note meno dure, ma più avvolgenti, trovando dopo quasi dieci anni una grande beva e piacevolezza, un tannino avvolgente e una buona persistenza.
Concludiamo con “Poiema”, ottenuto dalle uve Marzemino, appassite dai tre ai quattro mesi, per poi essere vinificate, lasciando il vino almeno due anni in legno di ciliegio, vino che viene prodotto solo quando la qualità degli acini lo permette. Un 2019 che al naso si presenta con note di rosa appassita, mirtillo, frutti rossi disidratati, bacche di goji, sottobosco, confettura, per un palato pieno e ricco, pur mascherando i circa cento grammi zucchero con una buona freschezza, mineralità, discreta sapidità, un tannino che si fa sentire e una lunga persistenza.
Un grazie a Tamara ed Eugenio Rosi, a cui viene consegnata la maglia numero 359!