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giovedì, 10 Ottobre, 2024

A Fattoria Poggio Capponi, nella storia di Montespertoli (FI)

Prima tappa toscana a Fattoria Poggio Capponi, nell’omonimo Poggio situato nella parte più alta del paese di Montespertoli

16 Giugno 2023

Un weekend toscano che si apre tra le vie più alte del paese di Montespertoli, nel poggio da cui prende il nome l’azienda Fattoria Poggio Capponi. Assieme alla giovane Maristella, che si occupa della parte commerciale, e a Sandro, direttore generale di questa realtà, cominciamo ad addentrarci nella ricca storia di questo luogo di trecentoquaranta ettari, di cui il 10% a vigneto.

Le sue radici risalgono al millequattrocento, quando i Capponi, nota e attiva famiglia borghese dell’epoca, hanno commissionato la costruzione della Fattoria al fine di produrre principalmente olio e vino, oltre ad ortaggi e seminativi, finalizzati sia all’autoconsumo sia alla vendita. Prima di entrare in un periodo più nebuloso e ancora da ricostruire, a cavallo tra il 1700 e il 1800 alcuni documenti ritrovati, testimoniano le attività di Gino Capponi, persona di spicco sia nella nobiltà fiorentina, sia a livello nazionale, con la carica di senatore. Gli anni successivi non sono ben chiari, ma è quasi certo che la struttura sia diventata un luogo religioso, viste anche le stanze che richiamano celle conventuali, il campanile e la piccola cappella. Nel 1930 la Fattoria è stata acquistata da Giuseppe Rousseau Colzi, imprenditore in altro settore, da una suora che ne deteneva la proprietà. Durante il periodo della seconda guerra mondiale le attività si fermarono, a causa dei bombardamenti che distrussero anche la vicina chieda di San Donato Lavizzano (in seguito riscostruita proprio dai Rousseau Colzi) e la paura delle invasioni tedesche, che costrinsero le famiglie a nascondersi per sopravvivere. Nei primi anni ’50 si riprese la produzione di vino, con la prima bottiglia ufficialmente etichettata nel 1952. Allora si viveva Fattoria Poggio Capponi a trecentosessanta gradi, con fattore e fattoressa e diversi collaboratori, al fine di gestire, oltre a vigne ed ulivi, anche capi di bestiame, quali: mucche, cavalli, polli. Un’attività andata persa negli anni, concentrandosi principalmente sulla produzione di vino ed olio, con la seconda generazione Giuseppe e i figli Michelangelo e Gioconda.

Oggi a gestore Fattoria Poggio Capponi c’è Gioconda, assieme al marito Sandro, dopo la scomparsa prematura del fratello, che concentrano le energie sulle bottiglie di Chianti, ma non solo, anche grazie al prezioso enologo, presente in azienda dagli anni ’80.

Un giro tra i vigneti, circondati dal bosco (un tempo tenuta di caccia), fa capire, oltre alla presenza di numerosi animali, tra cui cerbiatti, cervi, cinghiali e lupi, le varietà coltivate da Fattoria Poggio Capponi, all’interno della denominazione Montespertoli, tra cui Sangiovese, Merlot, Canaiolo, Colorino, Syrah, Alicante Bouchet, Chardonnay, Vermentino, Trebbiano Toscano. I vigneti vengono trattati in maniera “convenzionale”, con l’accortezza di utilizzare meno prodotti possibili. Negli anni si sono sperimentati trattamenti BIO, ma, vista la quantità di terreni e i continui cambi climatici, sommati alle piogge, si è abbandonata questa strada. Si vuole comunque favorire un ambiente il più conservativo possibile, con l’aiuto del vicino bosco che è un prezioso alleato per l’ecosistema della vigna. I substrati sono abbastanza uniformi, caratterizzati da composti pliocenici, misto di ghiaia ed argilla, pur essendo la proprietà divisa in diciassette appezzamenti, tra i duecentocinquanta e i duecentosettanta metri. Ognuno di essi ha un nome e in cantina vengono per lo più vinificati separatamente: Recinto, Inferno, Zano, Piscina, Anselmi V., Chardonnay, Cabina, Simoncini, Rigonzi, Sotto Chiesa, Masso, Operai, Casa di Sotto, Casa di Sopra, Scopiccio, Anselmi N.

Spostandoci in cantina, troviamo una prima parte che un tempo era la stalla, oggi rivalutata come sala degustazione arricchita di alcuni cimeli storici e la parte più affascinante rappresentata dalla barricaia. Qui si trovano, in una sorta di labirinto, diverse barrique dedicate ognuna ad un vigneto ed alcune tonneau, cinque per la precisione. Le botti sono dedicate per lo più ai vini rossi, ad eccezione di una parte di Chardonnay che affina in contenitori di terzo passaggio e il Vin Santo a base di San Colombano, Malvasia e Trebbiano, non avendo caratelli. Particolarità delle botti è che vengono chiuse con del cemento che copre il tappo, per non far disperdere la quantità di vino contenuta; gli assaggi si fanno attraverso un piccolo foro, nel quale passa una cannuccia.

All’interno della struttura, risalente al quindicesimo secolo, si trova anche un pozzo, profondo circa venti metri, il quale contiene ancora dell’acqua. La stessa stanza ospita anche una parte delle vecchie annate, tra cui si possono vedere anche le prime bottiglie del 1950. Tra i vari cimeli storici e le annate più rappresentative, balzano all’occhio le bottiglie di “Binto” 1975, dal nome del cantiniere che lo produceva, un tempo a base di Trebbiano, oggi 100% Vermentino.

Un’ultima stanza ci riporta ad un’altra tradizione, quella della produzione di olio, che veniva conservato nelle anfore o in altri vasi di terracotta prodotti ad Impruneta. Un piccolo museo dove il contenitore più vecchio porta la data 1984. Oggi le varietà coltivate sono Leccino, Moraiolo e Frantoio e le olive raccolte si portano ad una vicina struttura per la produzione dell’olio.

Oltre alla parte più storica dell’azienda è stata creata una seconda e più moderna cantina, dove sono presenti vasche in acciaio e cemento per le vinificazioni, con fermentazioni avviate tramite lieviti selezionati, macerazioni negli stessi contenitori, per poi far scorrere il vino in barricaia, qualora fosse destinato ad un affinamento in legno.

Vista la temperatura, che non si alza mai sopra ai quindici/sedici gradi, torniamo nella parte esterna, per scoprire le altre strutture della proprietà, che vedono la piscina tra gli ulivi, uno shop e due appartamenti, “I Pini” e “La Spiga”. Fattoria Poggio Capponi possiede, inoltre, altri sedici appartamenti nel vicino Borghetto, ricavati da vecchi casali in pietra toscana.

Per scoprire i vini prodotti ci accomodiamo in un salone che traspira di storia, con quadri alle pareti, ritratti di personaggi famosi ed influenti dell’epoca, cimeli storici, richiami alla caccia, simboli che ricordano le famiglie che hanno popolato questo luogo e una meravigliosa vista sui vigneti esterni. Le bottiglie prodotte spaziano tra le duecentotrenta e le duecentocinquanta mila per anno e si dividono in nove etichette, tra cui troviamo: “Binto”, Vermentino in purezza; “Sovente”, Chardonnay con una parte della massa che riposa in legno; “Villa Capponi”, Rosè a base di Sangiovese per l’80% e Syrah il rimanente 20%; Chianti, che oltre al Sangiovese ha un 10% di Syrah; Chianti Riserva; Chianti MontespertoliPetriccio”; “Tinorso”, blend di Merlot e Syrah; “Michelangelo”, blend di Syrah e Alicante Bouchet, prodotto con uve appassite e metodo del governo toscano ed infine Vin Santo, con uve Trebbiano, Malvasia e San Colombano.

Gli assaggi cominciano con il “Binto” 2022, a base di uve Vermentino, con un affinamento in solo acciaio e imbottigliamento in primavera successiva alla vendemmia. Vino di grande freschezza, sentori di agrume, lime, limone, ma anche timo e una leggera mandorla di sottofondo. A caratterizzarlo al palato è la grande sapidità, buona mineralità e spalla acida, buona beva e discreta persistenza.

Il secondo bianco è lo Chardonnay 2022, il quale affina per metà in barrique di terzo passaggio, per circa sei mesi. Vino dai sentori tropicali, di ananas, spezia, note di pepe bianco, salvia, ma anche un tocco di confetto. In bocca mantiene freschezza e sapidità, con il legno ben integrato, vino secco, ma abbastanza morbido, con un buon tenore alcolico, ma comunque fresco, di beva e più persistente del primo.

Mondo dei rossi di Fattoria Poggio Capponi che si apre con il Chianti Riserva 2020, a base di Sangiovese al 90% e Foglia Tonda al 10%, il quale affina in legno per almeno dodici mesi. Vino dai sentori di frutti rossi in confettura, leggero sottobosco, note speziate, ma anche di macchia mediterranea e con una buona balsamicità. In bocca entra fresco e deciso, con una buona mineralità, sapidità, discreta acidità, tannino ben integrato e persistenza.

Il secondo Chianti è il MontespertoliPetriccio” (toponimo del luogo) 2020, che riposa due mesi in più in legno, ottenuto da uve Sangiovese al 100% proveniente dalla vigna Anselmi Nuova e si fregia di essere il portabandiera dell’azienda. Aumenta la balsamicità e il tocco mentolato ma anche le note fruttate, con spunti ematici, note ferrose, di sanguinella, per un palato anche in questo caso caratterizzato da una buona sapidità, mineralità, alcolicità ben equilibrata, tannino fine e ricca persistenza.

Concludiamo con un rosso dal volto internazionale, il “Tinorso”, blend di Merlot e Syrah in uguale percentuale, affinato in legno per sedici mesi. Annata 2019, si presenta al naso con sentori fumè, frutta sotto spirito, confettura, pepe, peperoncino, spezie, bastone di liquirizia, note di incenso. Al palato entra morbido, ma mantiene le note sapide e minerali, di grande corpo, alcolicità e ottima persistenza.

Fattoria Poggio Capponi sta in questi anni rinnovando parti dell’azienda, dalla struttura alle etichette al metodo di comunicazione, pur volendo rimanere conservatrice nelle sue origini e non modernizzare troppo quello che la storia ha lasciato. Le potenzialità di crescita sia in termini di qualità sia in numero di bottiglie ci sono tutte, con l’investimento nella creazione di nuovi impianti. Possiamo anticipare che a gennaio ci sarà il lancio di un nuovo vino, ma non sveliamo ancora di cosa si tratta; nel mentre maglietta numero 259 per Maristella, con la speranza di tornare in questo magnifico posto nei primi mesi del 2024.

Una serata che si conclude dietro agli appartamenti di proprietà presenti nel Borghetto, al ristorante La Lanterna per assaggiare qualche prelibatezza toscana, in compagnia ovviamente di un Chianti classico. Locale storico, aperto nel 1907 dal bisnonno degli attuali proprietari Nicola e Francesco. Agostino ha iniziato questa attività con la licenza di mercante ambulante, vendendo o barattando “quanto si trovava in strada”. “È stato nonno Tarcisio ad ampliare la bottega, vendendo panini con affettati e qualche genere di prima necessità ai passanti che svuotavano le città e le colline per dirigersi al mare”. Il punto di svolta negli anni ’80, quando papà Agostino ha improntato l’attività sulla ristorazione, mantenendo anche l’attività di macello per rifornire il locale, fino ai giorni nostri, durante i quali La Lanterna è diventato un ristorante rinomato e accogliente, che offre pietanze e vini tipici della zona, attirando sia i numerosi turisti di passaggio, sia numerosi fiorentini che salgono in collina per una cena o un pranzo. Foto e grappa di rito con il mitico oste Nicola.

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