Assieme a Dariella e Gastone Vio nel loro piccolo grande mondo naturalistico all’interno dell’Isola veneziana di Sant’Erasmo
02 Luglio 2023
Scendendo alla prima fermata di Sant’Erasmo, “Capannone”, girando a sinistra e camminando per dieci minuti, lungo il viale principale si trova sulla sinistra il cartello che anticipa la realtà di Dariella e Gastone Vio.
Seduti all’ombra delle numerose piante che avvolgono questa realtà cominciamo a scoprire la storia della coppia, residente a Murano, ma con le radici piantate nell’isola di Sant’Erasmo. Il papà di Dariella, Romeo assieme al fratello Bernardo Finotello sono originari dell’Isola e qui hanno acquistato un terreno all’interno del quale era già presente la vigna. La risposta alla domanda “Chi le ha piantate” è abbastanza retorica “Chi eo sa?”; essendoci ancora oggi piante che hanno più di centocinquant’anni.
Consideriamo che a Sant’Erasmo prima degli anni cinquanta non c’era nemmeno l’acqua corrente, arrivata solo in seguito alla creazione di tre fontane. Sistema che ha sostituito il metodo di scavare delle buche sotto terra per ricavare un’acqua che veniva filtrata e depurata grossolanamente prima di essere utilizzata. Un avvenimento unico che è stato celebrato con il regalo di un bicchiere ad ogni capofamiglia, inciso con la data della costruzione delle fontane e conservato ancora gelosamente da Dariella.
Romeo e Bernardo allevavano la vigna che era principalmente di Dorona, avendo sempre creduto in questa varietà, che stava piano piano scomparendo, sostituita da vitigni più moderni e di maggior richiesta commerciale. Si produceva qualche ettolitro di vino ad uso personale, che ad aprile/maggio non era già più bevibile. La mentalità dell’epoca era quella di “vendere el vin bon e berse queo cativo” (vendere il vino buono e bersi quello cattivo). C’è anche da sottolineare che la maggior parte delle uve loro e in generale quelle prodotte nell’Isola venivano acquistate dalla Trattoria ai Frati di Murano.
Alla morte del suocero, Gastone Vio ha iniziato a gestire il piccolo pezzo di terra lasciato in eredità, portando avanti la conduzione della vigna e la produzione del vino sulle orme di Romeo. Dopo un paio di anni si accorse però che la strada che stava percorrendo non lo rappresentava a pieno, capendo che se si voleva ottenere un risultato migliore in bottiglia, bisognava cambiare qualche processo.
Si è cominciata a studiare la pianta al fine di ottenere un’uva sana, matura e senza muffa; per fare questo la prima azione è stata quella di evitare le sfogliature, evitando che il sole arrivi in maniera diretta sui grappoli. Così facendo l’uva non diventa gialla e con la parvenza di essere più bella e buona, al contrario resta più verde, ma con una miglior maturazione e dolcezza. Sono state fatte diverse prove ed assaggi con piante sfogliate e piante nelle quali l’uva è stata protetta dalle foglie, notando sempre risultati migliori nel secondo caso, mentre nel primo l’acidità e il non equilibrio erano una costante. Se si dovesse verificare che l’uva non abbia una completa maturazione oppure che ci siano dei difetti si dovrebbe intervenire con la chimica, ma, vivendo in simbiosi con la natura, non è un tema nemmeno affrontabile.
La mentalità di Gastone Vio è quella di impattare il meno possibile sulle vigne utilizzando solo rame e zolfo di miniera quando necessario, oltre ad oli essenziali di agrumi per combattere la peronospora, malattia che non si era mai verificata in maniera così impattante prima di quest’anno. Si può parlare di biologico, ma si è sempre fatto così anche quando questa parola non era una moda e qui non si sapeva nemmeno che volesse dire. Certo è che due mesi prima della vendemmia si interrompono i trattamenti, rischiando un po’, ma evitando così di avere un impatto sull’uva che viene raccolta.
I filari sono inerbiti, non vengono lavorati se non per piantare fagioli o fagiolini che nutrono il terreno prettamente argilloso di sostanze azotate. Un altro motivo dell’inerbimento è quello di non voler andare ad intaccare le radici più piccole e superficiali della pianta, che fungono da vene per alimentare di acqua la vigna, non permettendo così al corpo radicale centrale di andare troppo in profondità, evitando così il rischio di trovare un’acqua e un terreno molto più salato.
Le viti non possono essere toccate molto, bisogna lasciarle fare quello che vogliono, non potandole eccessivamente, né tentare di raddrizzarle e nemmeno spostarle, come avrebbe voluto qualche personaggio che si è presentato da quelle parti.
Parlando di vinificazione della Dorona scopriamo che sono effettuate in una cantina terza, a Valdobbiadene. Le uve vengono vendemmiate in cassette da cinque chili, coperte con una pellicola, posizionate in barca per poi essere caricate nel camion che le porta in cantina. Un processo di circa ventiquattro ore che permette di cominciare, a stretto giro la fermentazione, in maniera spontanea. Le uve restano a contatto tra di loro tra i due e i quattro giorni, dipendentemente dall’annata, trovando inutile estrarre troppo, principalmente nelle annate più calde. Si vinifica in acciaio e il vino viene messo in bottiglia nell’aprile dell’anno successivo. Se il cappello non si alza entro le sei ore Gastone ritiene che non venga un vino buono.
“Ci sono molti piccoli particolari, che messi assieme fanno un grande prodotto”.
Oltre alla Dorona sono presenti alcune piante di Bianchetta e Raboso, le cui uve vengono vinificate in maniera artigianale direttamente nella proprietà, dove Dariella tiene a precisare che non c’è nemmeno la luce! All’interno delle varie costruzioni erette negli anni si trovano tutti gli strumenti utili alla trasformazione, oltre ad uno spazio ricavato sottoterra per custodire le vecchie annate, a temperatura costante, fin dagli anni ottanta.
Toccando con mano la vigna si possono vedere le piante ultracentenarie, diventate negli anni delle “sculture”, creando così una sorta di museo naturale a cielo aperto. Tra una pianta più vecchia e l’altra ci sono alcune vigne più giovani, ottenute da una selezione massale, piantate a piede franco da Gastone Vio per colmare le fallanze.
Quando muore una pianta non viene rimossa nell’immediatezza, poiché non essendoci il portainnesto è possibile che queste possano ritornare alla vita con nuovi tralci. Nell’ettaro di proprietà ci sono anche dei piccoli orti, con piantine che vengono autoprodotte, dall’insalata, ai pomodori, fagioli, zucchine, melanzane, zucche e ovviamente i carciofi tipici di Sant’Erasmo. Non potevano mancare anche gli alberi da frutto, specialmente con i quaranta alberi di fico, ma anche i numerosi fiori curati da Dariella e alcuni micro-boschetti che permettono di avere un equilibrio di insetti in tutta la proprietà.
Non c’è un ordine logico alla disposizione delle varie piante, fiori o vigna e “Forse bisognaria sistemar un fià, ma se voe meter in ordine podè farlo quando no ghe sarò più”. Forse bisognerebbe sistemare un po’ la proprietà, ma se qualcuno vuole farlo, che lo faccia quando non ci sarò più.
Per quanto riguarda la valorizzazione della Dorona è sicuramente da citare Gianluca Bisol, che nei primi anni duemila ha dato il via ad alcune ricerche su questa varietà identificando Sant’Erasmo come uno dei punti dove questa si è salvata dalle varie malattie, ma anche dall’essere sostituita da altri vitigni. Qui ci troviamo nel punto più alto dell’Isola e, anche grazie a questo fattore, la Dorona, esclusivamente a piede franco, ha trovato il suo ecosistema ideale, resistendo negli anni.
Questa ricerca e la voglia di salvaguardare questa varietà autoctona ha fatto sì che qualche anno fa un ente certificatore di Padova ha prelevato alcuni campioni dalle piante, tra cui una barbatella nuova e un tralcio con alcuni grappoli al fine di poter certificare che questa fosse una varietà che ha trovato le sue origini tra il 1500 e il 1700. Alla pianta da cui sono stati effettuati i prelievi è stato applicato un sigillo ministeriale, da non rimuovere.
Le bottiglie di Dorona prodotte per anno, se va bene, sono trecento poiché “fasemo la qualità, no la quantità”. Nel 2021 si sono prodotte centocinquanta bottiglie, mentre nel 2022, a causa dell’annata estremamente siccitosa solo centocinquanta.
Tra le chiacchiere ci dedichiamo anche a qualche assaggio, con un primo vino che è il Raboso 2022 che, portato al naso, esprime sentori di frutti rossi, lampone, mirtillo, rosa rossa, con una vinosità che si avvicina all’uva appena pigiata e fermentata. In bocca è come mangiare un chicco d’uva, ancora con una dolcezza elevata, una nota tannica, leggera sapidità, spalla acida e una carbonica naturale che si è notata anche nel bicchiere, dopo essere stato versato. Il consiglio è quello di aspettare almeno un paio di anni per vedere il suo migliore risultato.
Il secondo assaggio è di Bianchetta 2022, ottenuta dalle viti più vecchie; vino dalle note erbacee, di salvia, chicco d’uva anche in questo caso, tè verde, goccia d’oro, con sentori non proprio perfetti, ma simbolo di una filosofia che richiama il minor impatto possibile che vuole promuovere Gastone Vio. In bocca una discreta spalla acida, dolcezza donata dai suoi zuccheri naturali, tannino che emerge, anche qui un pelino di carbonica, leggera punta amarognola, ma comunque fresco e di beva.
Alla Dorona ci dedicheremo la prossima volta, con la promessa di aprire qualche vecchia annata. Dorona che viene commercializzata in una bottiglia particolare, custodita da una scatola in legno creata con gli scarti delle tipiche altane posizionate sui tetti delle case veneziane.
È stata creata anche una bottiglia particolare dal figlio di Dariella e Gastone Vio, Diego, mastro vetraio a Murano, nella quale sarà contenuto il mosto fiore di ogni annata, in una versione limitata. Bottiglia impreziosita da una foglia d’oro e dallo stemma dei dogi, in vetro e oro, applicato sulla parte esterna della scatola.
Sperando di tornare presto a Sant’Erasmo per incontrare nuovamente Dariella e Gastone, maglietta numero 268 e foto di rito in vigna.
“Xe un lavorasso, semo partii cussì e cussì rivemo, co poco vin, ma bon!”
È un lavoraccio, siamo partiti così e così arriviamo, con poco vino, ma buono!