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martedì, 11 Febbraio, 2025

Una mattinata decisamente piovosa a Il Monte Caro, Mezzane di Sotto (Verona)

All’entrata del paese di Mezzane di Sotto, sul Monte che ha dato il nome a questa realtà, scopriamo l’azienda Il Monte Caro, assieme ad Emanuela

18 Ottobre 2024

Ci troviamo a pochi passi dal paese di Mezzane di Sotto, sul Monte che ha battezzato il nome di questa piccola azienda famigliare Il Monte Caro.
In compagnia di Emanuela, sfruttando un momento di tregua dalle piogge autunnali, ci addentriamo alla scoperta della realtà che conduce assieme al fratello Giorgio, partendo dai vigneti. Un corpo unico di sette ettari, di cui poco meno di cinque sono vitati, uno è dedicato alle piante di ulivo e la restante parte tra orto, bosco, cantina e l’abitazione di famiglia. Toccando con mano la vigna si possono scoprire, oltre alle pendenze, le varie forme di allevamento, tra cui la pergola trentina monoverso e biverso, la pergola veronese e una parte di guyot. Per quanto riguarda il substrato, incontriamo nella parte inferiore il tipico calcare del Monte, arricchito da una maggiore presenza di terriccio rispetto a quella superiore.
Per capire le diversità dei substrati c’è da sottolineare che nella parte più alta della collina c’è la presenza di selce e una lingua di roccia vulcanica (proveniente da una colata lavica della vicina caminella di San Briccio, ad un paio di chilometri), mentre in una sezione triangolare a nord-est si trova anche un triangolo caratterizzato dal Rosso Ammonitico Veronese.

Proprio per rispettare queste differenze e per la valorizzazione delle varie sfaccettature del Monte, negli anni, si vinificano le singole parcelle, anche se non c’è sempre la possibilità, soprattutto nelle stagioni più sfortunate, dove è necessario “attingere” dalle varie vigne.

Il vigneto più vecchio de Il Monte Caro è stato piantato negli anni ’80 a nord dell’abitazione, rispettando il classico blend della Valpolicella, per filare: Corvina, Corvinone e Rondinella. Blend che si trova in tutti i vigneti dell’azienda, tranne alcuni filari di Croatina (ammessa per il 10% nel disciplinare) e il guyot di Corvina, utilizzato per la produzione del vino rosato. La passione di papà Enzo ha fatto si che venissero piantati anche sei filari di Cabernet Sauvignon, che oggi sono vinificati separatamente, con l’idea di dedicare un vino proprio a lui, frutto di un appassimento e un affinamento in botte, per ottenere un vino con un dosaggio di circa trenta grammi per litro.

L’azienda Il Monte Caro trova le sue origini proprio in papà Enzo, un ex ragioniere veronese che si è dedicato alla fotografia commerciale per circa quarant’anni. Stanco di essere chiuso nella bottega di fotografia che aveva aperto a Verona, ha deciso, negli anni Ottanta, di volersi dedicare ad una vita all’aria aperta. In anni un cui questa zona esulava dalla Valpolicella DOC, ha trovato l’occasione di acquistare alcuni ettari, in svendita a causa di un progetto termale non andato a buon fine, sul Monte Caro, definito dagli abitanti locali “la sassaia”, per la ricca presenza di calcare. Un tempo c’erano solo sterpaglie e tre file di ulivi, e, contro la disperazione della moglie Carla, prese la decisione di creare proprio qui il suo progetto agricolo.
Come prima cosa era necessario trovare l’acqua e, dopo un tentativo fatto con un’impresa preposta, venne trovata la prima fonte a valle, con l’aiuto di un rabdomante e il suo bastone di saggina a forma di “Y”.
Ci sono ancora le foto che testimoniano l’accaduto, con papà Enzo sotto ad acqua e fango, nel mese di dicembre.
L’acqua ha segnato l’inizio dell’azienda agricola, piantando i primi vigneti, ma anche alberi da frutto come albicocche, susine, ulivi e l’orto. Dopo i primi sentori del declino del mercato della frutta e con l’incombenza della DOC, venne presa la decisione di convertire quasi tutti i terreni in vigneti. L’uva veniva coltivata in maniera integrata, senza impattare sia sul frutto, ma anche sulla terra, destinando tutta la produzione alla cantina sociale.

Nel 2007 uno dei due figli, Giorgio, ingegnere meccanico, iniziò ad appassionarsi del settore e, con un amico enologo, cominciarono i primi esperimenti di trasformazione delle uve, con un approccio molto tecnico, frutto degli studi universitari dell’amico. Più di cinque anni di domande, idee, esperimenti, che portarono Giorgio a creare una propria filosofia, ovvero quella di voler ottenere un vino identitario del luogo in cui si trovano le proprietà dell’azienda, comunicando quei terreni e le loro differenze.
Così, nel 2013, propose alla sorella Emanuela, che in quel periodo era impegnata come fotografa a Londra, di prendere in mano l’azienda assieme e di iniziare la produzione di vino in bottiglia. Un salto nel vuoto per lei, senza alcuna esperienza, se non un paio di vendemmie in tenera età, accettando comunque questa nuova sfida, stanca anche dell’ambiente londinese e del cibo, che poco si avvicina alla nostra cultura.
La prima annata “ufficiale” de Il Monte Caro è stata la 2014 dividendo i ruoli tra i due fratelli, con Emanuela impegnata nella parte amministrativa, commerciale, ma anche di cantina, principalmente delle prime fasi di vinificazione e Giorgio nella gestione della campagna e dei vari affinamenti del vino.

Negli anni sono cambiate anche le tecniche di lavorazione in vigna, iniziando fin da subito a lavorare strettamente in biologico, con la certificazione ottenuta nel 2022. Si è intrapreso, dal 2019, anche un percorso legato alla biodinamica, introducendo qualche elemento che possa generare effetti positivi sul terreno e, di conseguenza sulla pianta e i suoi frutti. Non una moda, ma un cammino verso qualcosa di migliorativo, portato avanti passo dopo passo, iniziando con alcuni microorganismi nutritivi, per poi introdurre tisane e decotti a base di ortica ed equiseto o il propoli per la cicatrizzazione dopo le grandinate.
Si sono man mano notati alcuni cambiamenti sia per quanto riguarda la resistenza della pianta, sia sul terreno, con la nascita di piante ed erbe spontanee che in precedenza non c’erano.
Un lavoro che richiede decisamente più tempo, più manodopera e un maggior rischio, viste anche le pendenze, pur essendo aiutati dal bosco che, per due terzi, circonda la proprietà, generando un beneficio e una protezione naturale della vigna.

Da qualche anno, per volontà di Emanuela, sono state introdotte anche le api, con lo scopo iniziale di capirne il ciclo vitale e portare beneficio alla biodiversità, per poi, a tendere, dedicarsi anche ad una piccola produzione di miele.

Dalla parte più alta della vigna, maggiormente ventilata e meno umida si può godere di una vista su tutta la vallata, che negli anni ha visto una trasformazione nelle coltivazioni, con una crescita innumerevole di vigneti. Spostando lo sguardo a nord, si nota il paese di Mezzane di Sotto e la stretta vallata che lascia pian piano spazio alla Lessinia.

Tornando al punto di partenza andiamo a scoprire la cantina, ricavata a fianco dell’abitazione di famiglia, dove possiamo vedere un ambiente tecnico e minimale, all’interno del quale a farla da padrone sono le vasche in acciaio e qualche contenitore di vetroresina. Lo scopo è quello di intervenire il meno possibile sulle trasformazioni, ottenute con lieviti indigeni, volendo far emergere le caratteristiche del posto e non la mano del produttore. Anche per quanto riguarda gli affinamenti non si vuole essere invasivi, preferendo l’acciaio al legno e almeno dieci mesi di bottiglia prima di commercializzare il prodotto finito.
In una sala adiacente, oltre allo stoccaggio, si possono notare alcune tonneau, usate per l’affinamento del Cabernet dedicato a papà Enzo e una parte di Valpolicella Superiore e le riserve di Amarone, in fase sperimentale. Sono state acquistate anche alcune piccole vasche di cemento da risanare, che saranno utilizzate nel corso delle prossime vinificazioni, mantenendo comunque la filosofia di avere un materiale inerte e non impattante sul vino.

Oggi le bottiglie prodotte da Il Monte Caro sono circa venticinquemila, con cinque etichette e un Metodo Classico sui lieviti da diciotto mesi, con la volontà di proporlo sul mercato almeno dopo un affinamento di trentasei.
Per assaggiare i vini dell’azienda ci spostiamo nell’abitazione di Emanuela, cominciando dall’unico vino non ottenuto dalle uve di proprietà, ma grazie al conferimento da parte di un amico produttore, perfettamente allineati alla filosofia dei due fratelli. “Il Biondo”, una Garganega vivace, che presenta un bar e mezzo ottenuto da una leggera aggiunta di mosto, il quale regala sentori di frutta gialla, albicocca, camomilla goccia d’oro e un tocco erbaceo. In bocca entra fresco, pieno ma delicato, con una discreta acidità, tocco minerale e sapido e una discreta persistenza.

Passiamo al rosè “Carosè” 2023, una Corvina che conta anche una percentuale di Croatina, che si presenta con note di piccoli frutti rossi, tra cui ribes, melograno, uno spunto erbaceo e una leggera riduzione, per un sorso comunque pieno, caratterizzato da un’abbondante acidità, discreta mineralità e sapidità e moderata persistenza.

Il mondo dei vini rossi, che rappresentano il cuore pulsante della produzione, comincia con il Valpolicella 2022 “Ca’ Rosso”, nato con l’idea di essere quel vino da “tutti i momenti”. Un vino dai sentori di giovani frutti rossi, ciliegia, fragola, note agrumate di arancia fresca, ma anche un tocco ferroso e leggermente pepato. Il sorso rispetta quanto sentito al naso, con una grande freschezza, ricco in acidità, buona mineralità e discreta sapidità, tannino quasi impercettibile e una moderata persistenza.

Il secondo rosso è il Valpolicella Superiore 2020 “Sol Aria”, ottenuto dalle uve del vigneto più elevato della proprietà, baciate dal sole e accarezzate dal vento, vinificate ed affinate in solo acciaio. I sentori si arricchiscono, con una frutta rossa più matura, ma anche una violetta e rosa rossa, salvia e mentuccia, che lasciano spazio a note balsamiche, ma anche di liquirizia e cacao. In bocca un maggiore corpo, bilanciato dalla costante spalla acida, ma anche discreta mineralità e sapidità, un tannino abbastanza delicato e buona persistenza.

Concludiamo con l’Amarone della Valpolicella 2019 “Fogo” (in dialetto veneto “fuoco”) ottenuto da un appassimento delle uve Corvina, Corvinone, Rondinella, che restano tutte in appassimento tre mesi, nell’apposita sala al piano superiore della cantina, per poi essere trasformate ed affinare trenta mesi in solo acciaio. Qui troviamo una frutta rossa surmatura, con un tocco di prugna, violetta, ma anche cioccolata, inchiostro, tabacco dolce, e un sottofondo sulfureo. Il sorso mantiene una buona spalla acida, buona mineralità, discreta sapidità, per un tannino moderato e una ricca persistenza.

Un viaggio alla scoperta de Il Monte Caro che si conclude con la foto di rito, sotto la pioggia, in compagnia di Emanuela, il suo compagno Simone, Giorgio e la maglietta numero 357!

 

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