Pomeriggio piovoso, di ritorno dalla Valpolicella, che ci porta ad ascoltare il racconto de La Cantina dei Racconti e del suo creatore, Davide Zilio
19 Ottobre 2024
Un pomeriggio di pioggia incessante ci porta, di ritorno dalla Valpolicella, a raggiungere Davide Zilio all’interno del punto vendita de La Cantina dei Racconti, a Vigonovo, uno dei paesi sulla Riviera del Brenta.
La nostra chiacchierata ci fa immergere fin da subito nelle origini di Davide, che è praticamente cresciuto nel mondo del vino, essendo il padre un rinomato sommelier e il vicino di casa un famoso ristoratore.
A partire dai sedici anni è stato introdotto al mondo del vino in maniera pressoché didattica, poiché ogni occasione di incontro tra il padre e la cerchia di amici era quella di non bere in maniera goliardica, ma principalmente quella di approfondire e scavare sempre più a fondo nell’infinito mondo del vino.
Un DNA che non mente e che lo ha portato ad iniziare il corso di sommelier a sedici anni, per poi dedicarsi agli studi universitari in pubblicità e comunicazione, allo IULM di Milano.
Una prima fase professionale ha portato Davide nel mondo dei suoi studi, lavorando per il marketing e la comunicazione di grosse aziende, che spaziavano dall’editoria al settore alimentare, fino ad arrivare ad un punto di rottura. Erano anni in cui o riuscivi a ricavarti un posto in questo mondo estremamente competitivo o c’era il rischio di lavorare in maniera eccessiva, per uno stipendio che non compensava gli sforzi.
“Se devo faticare così tanto allora lo faccio per me, seguendo le mie passioni”
Così si aprì un secondo capitolo professionale, rispolverando il mondo della sommellerie e quella passione per il settore vitivinicolo, avendo la possibilità di lavorare in una cantina agli albori della sua esistenza. Un percorso che ha visto il suo ingresso “dalla porta dello sgabuzzino”, fino a diventarne il direttore e impostare sia le strategie comunicative e di marketing, ma anche quelle commerciali, che l’hanno portata a fatturare diversi milioni. Un trampolino di lancio auto-creato da una sorta di start-up che è stato l’apripista di una serie di esperienze come consulente per altre cantine, spaziando dalle strategie di marketing e comunicazione, ma anche commerciali e tecniche di cantina per penetrare determinati mercati. L’attività di Davide si è concentrata soprattutto nel veronese, con un’attenzione particolare alla zona delle Colline Moreniche, tra le sponde del Lago di Garda.
Parallelamente all’attività di consulente è stato fondato un wine-club che contava centinaia di iscrizioni, permettendogli così di creare una rete di collegamenti sia tra appassionati del mondo del vino, sia tra produttori, con lo scopo di promuovere queste terre, purtroppo bistrattate per lo scarso valore del loro vino principe, il già citato Custoza. Oltre alle serate di avvicinamento al vino, le degustazioni, i brevi corsi formativi, è stato creato un format dedicato alla valorizzazione del territorio, con un evento che metteva in contatto i produttori con i clienti finali e, proprio alla fine di una di queste iniziative, è nata quasi per gioco l’idea di produrre un proprio vino.
“Dopo anni che assaggi e bevi vino, fai sempre più fatica a trovare quell’effetto WOW, rimanendo nella media di prodotti fatti bene, ma pochi entusiasmanti. E poi mi ero stancato di raccontare i vini degli altri, questo perché molto probabilmente era arrivato il momento di iniziare a raccontare i miei…”.
Era un giorno di agosto, 2017, al riparo da un caldo torrido sotto ad un salice, quando chiacchierando con alcuni produttori e con qualche calice alla mano, è stata messa sul piatto l’idea di produrre un vino che rappresentasse i gusti di Davide. Un vino che avesse determinate caratteristiche gusto-olfattive, profumato al naso e che abbracciasse tutte le famiglie dei sentori, un palato elegante, beva pulita e leggera, insomma un vino da stappare e desiderare di finire la bottiglia.
Il ricordo va a quel giorno quando ha preso un foglio di carta e ha disegnato il suo vino, accogliendo dapprima qualche risata dei produttori che stavano brindando con lui, per poi trovare una grande disponibilità e aiuto in loro, ricambiando quanto Davide aveva fatto negli anni precedenti, per amicizia e per rapporto consolidato.
Da quel giorno si è girata la chiave per la produzione di un vino che fosse in contrasto con le logiche dell’Amarone, da ricco e pesante a complesso ma finalmente bevibile, dove uno dei protagonisti doveva essere per forza il Rebo, un’uva sempre presente nei racconti dei più anziani, per poi essere completato con la Corvina e un tocco di Marzemino.
“Il legame con il Rebo era quasi viscerale, un’uva sempre sentita dove non ho mai avuto l’opportunità di conoscerla, una varietà che mi ricollega a quello stupore di quando ascoltavo questi “vecchi” quando ero bambino. Forse è da quelle storie che è nata la magia, la mia grande passione verso questo mondo”.
Dalla prima vendemmia 2017 è stato prodotto il primo esperimento, frutto di un pizzico di fretta, dettata dal proporre quel prodotto sul mercato, senza avere il tempo che hanno le aziende vitivinicole di sperimentare per anni, prima di arrivare al prodotto più corretto. È stata fatta la prima massa, rigorosamente in acciaio, con un buon risultato al naso e un palato che era soddisfacente, ma non al 100%, richiamando la necessità di avere una maggior pienezza. Contro la logica dell’enologo a supporto del progetto, che successivamente si è stupito del risultato, si è aggiunta una piccola percentuale di Marzemino passito, così da colmare anche quella sorta di lacuna nel sorso e completare l’opera di questo primo vino.
Vino battezzato con il nome di “Racconto 1”, rappresentando così il primo capitolo di una storia tutta in divenire. Seicentosessanta bottiglie che portano etichette tutte diverse tra di loro, disegnate a mano dallo stesso Davide e dedicate ad un pubblico di clienti privati, così da poter offrire l’unicità di un prodotto con protagoniste le persone e quanto di loro viene rappresentato sulla parte frontale della bottiglia.
“Anche per questo motivo ho battezzato il progetto La Cantina dei Racconti, così da lanciare un messaggio su un’etichetta che vendo a chi mi fa piacere e che può essere condivisa con gli amici, così da non interrompere mai il racconto e darne continuità”. “Una delle cose più preziose che abbiamo è il tempo e dedicando un momento esclusivamente al consumatore che sta acquistando il mio vino è qualcosa che lo rende protagonista. Come nei doni, il vero regalo è il biglietto”.
Con il cliente si cerca di creare un rapporto che vada oltre alla mera compravendita, dedicando dei momenti di aggregazione che si trasformano in occasioni di assaggio delle nuove annate prima dell’uscita dei vini nel mercato, ma anche eventi in occasione del Natale o la possibilità di fare degustazioni private. Una sorta di ringraziamento per la fiducia che il consumatore ha riposto e ripone nel lavoro di Davide, creando così anche una fidelizzazione che continua negli anni, sfociando, talvolta, in rapporti di amicizia.
La Cantina dei Racconti oggi trova uno dei cuori pulsanti a Vigonovo, dove a maggio 2024 è stata aperta una sala degustazioni, con punto vendita, ospitando serate ed eventi, sia per far conoscere il progetto, ma anche con l’idea di avere una sede per accogliere l’appassionato del vino in serate di confronto anche con vini di altri produttori e questo per accrescere la curiosità e per far conoscere questo mondo, in un luogo dove non ci sono né vigneti, nè tantomeno la produzione. Parlando proprio di produzione, Davide possiede alcuni terreni nella zona di Castelnuovo del Garda, vinificando una parte delle sue uve e acquistandone delle altre da produttori, amici, terzi. “Faccio i vini che piacciono a me, senza l’obbligo di utilizzare solo la mia produzione, ma avendo la possibilità di scegliere, anche in base all’annata”.
Tutte le uve sono biologiche, pur non esibendo il simbolo in bottiglia, a causa dei costi e della burocrazia che una piccola realtà come questa non può permettersi. Il processo produttivo è affiancato e seguito da una cantina amica che si è resa subito disponibile ad aiutarlo in questo progetto, un aiuto ma anche una condivisione di valori che non vedere di buon occhio gli “aiuti” che si possono utilizzare in fare di vinificazione. Perché, come dice Davide, se ricerchi il massimo della qualità sia dall’uva che dalla lavorazione non hai la necessità di utilizzare altro. In questo mondo non mi potevo improvvisare e procedere a tentativi, ma ricercando l’eccellenza non potevo che circondarmi di persone di grande professionalità.
“Come narra la “C miniata” del “C’era una volta” nella parte superiore delle etichette, si inizia il racconto con uno spunto dalle grandi storie. Il C’era una volta non è un rimando al passato e alle tradizioni alle quali non mi voglio legare, ma è semplicemente l’inizio di una storia. Il racconto del mio vino, della mia visione dove la meraviglia sta anche nelle variazioni narrative aggiunte dal cliente quando racconterà qualcosa di quel vino che ha comprato e che sta condividendo con gli amici. Mi affido certo alle conoscenze del passato ma utilizzando la modernità e la tecnologia di oggi che consente di produrre vino di alta qualità. Una qualità che parte dall’uva, così da non impattare con lavorazioni o aggiunte di prodotti in cantina, seguendo in maniera puntigliosa la massa, che inizia e finisce il suo percorso in contenitori di acciaio. Ripudio contenitori che possano aggiungere sentori al vino o creare degli stili”.
L’obiettivo del lavoro in vigna è quello di avere uva sana, con bucce spesse, per estrarre i sentori principali di quella varietà, senza mai esagerare, giocando con le temperature in cantina, sperimentando di anno in anno quella che può essere la più corretta tecnica, talvolta anche senza basi scientifiche.
Ogni annata prevede un processo di vinificazione a sé, ne è un esempio il “Racconto 1” che nel 2019 ha visto una quantità maggiore di Marzemino passito, rispetto all’anno successivo 2020, all’interno del quale c’era già un buon corpo e rotondità.
La Cantina dei Racconti negli anni si è evoluta ed è cresciuta anche in termine di referenze, introducendo altre cinque etichette e, da buon amante delle bollicine, Davide non poteva che puntare in quella direzione.
Possiamo trovare quattro Metodo Classico e un Rifermentato in Bottiglia con Metodo Ancestrale, di cui il “Racconto 2” (oggi quasi terminato e fuori produzione), è un Pinot Nero che riposa sui lieviti per ventiquattro mesi. La prima bollicina di Davide, proposta con un po’ di timore sia per la potenziale chiusura del vino, motivo dei non eccessivi mesi sui lieviti, sia per l’aspettativa che crea sempre questo vitigno, stemperata dal disegno in etichetta di un robottino. “Stai tranquillo, bevi e divertiti!”.
Un Pinot Nero che è cresciuto nel “Racconto 5”, affinato quarantotto mesi sui lieviti, raddoppiando, oltre che i mesi di riposo anche i robottini in etichetta. Il “Racconto 5” ha preso il posto del primo Pinot Nero, grazie al risultato ottenuto in termini di finezza e delicatezza, rendendo protagonista quest’uva tanto ostica sia in pianta sia in vinificazione.
Non solo Pinot Nero, ma con il “Racconto 3.2” (seconda versione del “Racconto 3”) si vuole proporre sul mercato anche un Blanc De Blanc trentasei mesi sui lieviti, con un’uva volutamente non dichiarata, così da comunicare non la valorizzazione di un vitigno, bensì quella di un territorio, quello delle colline moreniche, riportate anche in etichetta. Il lascito del Lago di Garda che un tempo era un ghiacciaio, rappresentato da quest’uva misteriosa, tanto ottima per reggere la produzione in Metodo Classico, quanto in grado di non mascherare ed enfatizzare la mineralità che viene infusa da quel territorio. Sappiamo solo che il vigneto ha quarantacinque anni e che un giorno ne verrà svelata la varietà!
Lo scopo è stato anche quello di valorizzare la zona del Custoza, che consente nel suo blend undici diverse varietà, nessuna autoctona, e che, come anticipato, ha la brutta nomea di essere un territorio a basso costo. Cercare, attraverso l’espressività di un vino di innalzare il percepito che un territorio così meraviglioso riesce a dare, a volte non puoi continuare un percorso ma devi inserire un punto di rottura, se vuoi realmente cambiare le cose.
A braccetto con questo vino il “Racconto 6”, che affina quarantotto mesi; ed è bello vedere come il vino sia totalmente differente cambiando solo annata e permanenza sui lieviti. In etichetta si aggiunge una vista più ampia del Lago di Garda e delle colline che lo circondano e un simbolo facilmente riconoscibile dagli abitanti locali, il monte definito “Naso di Napoleone”, per le sue sembianze al naso dell’imperatore.
Tutte le bollicine Metodo Classico sono Brut Nature, colmati dopo la sboccatura con lo stesso vino e sono il frutto di un affinamento della massa per un anno in acciaio, per poi procedere all’imbottigliamento con l’aggiunta esclusivamente del mosto, per dar vita alla seconda fermentazione.
Piccolo spoiler: il sogno, a tendere, è quello di avere una liqueur d’expedition che possa essere il risultato di tutte le annate di produzione de La Cantina dei Racconti, così da racchiudere in ogni vino una goccia della storia di questo progetto.
Manca all’appello il “Racconto 4”, l’unico vino frizzante rifermentato in bottiglia a base di Corvina, raffigurando in etichetta un razzo e la scritta “non ho mai smesso di sognare”. Pur non essendo amante di questa tecnica di produzione, il Rifermentato è stato una sorta di coronamento di un sogno per Davide, felice di aver ottenuto, dopo un paio di annate sperimentali, un prodotto pulito e di beva, con un corretto equilibrio. Questo vino rappresenta le origini delle bollicine e la sua tecnica di produzione è una delle più difficili poiché, una volta che si imbottiglia, il produttore non ci mette più mano; pertanto, la vera abilità è quella di partire da una massa eccellente, che è il risultato di un puntiglioso lavoro in vigna. La navicella spaziale è ovviamente il simbolo del Davide bambino che intraprende il suo volo di fantasia.
Oggi La Cantina dei Racconti è arrivata ad una produzione che si attesta a poco più di quindicimila bottiglia, la maggior parte di Rifermentato, per poi passare alle altre bollicine, e le seicentosessanta di rosso, con una potenzialità di circa novecento per anno.
Dopo una lunga chiacchierata cominciamo con qualche assaggio, partendo proprio dal “Racconto 4”; un vino dai sentori agrumati, di pompelmo rosa, balsamici verdi, floreale che si riempie girando sottosopra la bottiglia con il lievito che emerge e le sue note di pasticceria, l’agrume diventa quasi un’arancia candita, un accenno di liquirizia; sentori tutti delicati, puliti e ben integrati. Al palato una buona spalla acida, tocco minerale, si ammorbidisce con i lieviti, diventando più tondo, la bolla è ben presente, come il suo corpo ben bilanciato e una discreta persistenza.
Ci concentriamo successivamente sul Pinot Nero del “Racconto 2” e “Racconto 5”, dove troviamo nel primo vino, “bloccato in gioventù” una nota ancora scalpitante di frutti rossi, un leggero agrume, per un sorso più ricco e spostato sulle note fresche, con una buona mineralità, spalla acida e discreta persistenza.
Nel quarantotto mesi, si denota subito la sua evoluzione ed eleganza, partendo dal naso, con sentori più integrati, di pasticceria delicata, confetto, leggermente salmastro, una nota balsamica, per una più puntigliosa acidità, bolla fine, dritto, elegante, con una buona mineralità, discreta sapidità e maggior persistenza.
Continuiamo con le altre due bolle Metodo Classico, questa volta Blanc de Blancs, di cui il “Racconto 3.2” si presenta al naso un po’ più timido e delicato, con una spinta minerale che tende alla pietra bagnata, note iodate, salmastre, un accenno di frutti rossi, con una fragola che ritorna ad un primo sorso, per lasciare spazio ad un principio di nota fumè. In bocca è comunque abbastanza ricco, con un corpo ben bilanciato, minerale, abbastanza sapido, caratterizzato da una bolla fine e buona persistenza.
Il fratello maggiore “Racconto 6” è un’esplosione di sentori più marcati, che evidenziano una nota molto minerale, con note fumè, di cerino, micetta, che si alternano alle erbe aromatiche come la salvia e il timo, ma anche una parte balsamica e mentolata. In bocca l’acidità è protagonista assieme alla mineralità, con un ottimo corpo, discreta sapidità e buona persistenza.
Concludiamo gli assaggi con il “Racconto 1”, il vino da dove tutto ha preso vita, che ci regala un’esplosione di frutta rossa, con un tocco di frutti di bosco, fiori rossi, petalo di rosa, ma anche note terziarie, date da quella maturità del chicco e lo spessore della sua buccia, tra cui cioccolato, noce moscata, liquirizia, note ferrose e ancora una buona balsamicità, con l’eucalipto in sottofondo. Al palato si denota la sua ricca acidità, comunque ben bilanciata da un buon corpo, buona mineralità, un sorso fresco e delicato, ben equilibrato, che resta per decine di secondi.
Un ringraziamento a Davide e a La Cantina dei Racconti, rimanendo in attesa di scoprire quali saranno i successivi Racconti, ma intanto per lui maglietta numero 358!