Jean Marc Seleque, un giovane vignaiolo che ha ripreso la tradizione di famiglia, riadattandola ad un lavoro centrato sulla sostenibilità in vigna e cantina
22 Aprile 2022
In compagnia di un altro giovane vignaiolo della Champagne, Jean Marc Seleque, questa volta a Pierry, poco più a sud di Epernay, tra la Vallée de la Marne e la Côte des Blancs, in uno dei più rappresentativi territori della zona. Le uve coltivate sono in parte maggiore, circa un 50%, Pinot Meunier, un 35% di Chardonnay e un 10/15% di Pinot Nero, la meno rappresentativa.
La cittadina di Pierry si contraddistingue per essere stata nella storia quella con il maggior numero di possessori terrieri dalle grandi case e con una buona ricchezza media. Negli anni si sono spinti principalmente i grandi brand e a farla da padrona come ettari vitati, circa cento, è la famosa maison Taittinger. L’ultimo decennio o poco più ha visto un’inversione di tendenza rispetto al predominio dei grandi marchi, con la nascita o rivalutazione di piccole aziende che hanno orientato la filosofia alla promozione del proprio stile vinicolo e la valorizzazione del proprio village di appartenenza. Questo è il caso del giovane Jean Marc Seleque che dal 2008 ha preso le redini dell’azienda di famiglia. Un’azienda che trae le sue origini dal bisnonno, sindaco del paese e vignaiolo, fondatore della cooperativa. Lui ebbe tre figlie e una di queste si sposò con il nonno di Jean Marc, Henri, recatosi in Francia, dalla Polonia, per cercare una nuova vita lavorativa nel campo dell’agricoltura ed allevamento. Più che per i lavori di vigna il nonno era legato alle campagne e all’allevamento di bestiame, vendendo tutta la produzione delle uve alle grandi maison.
Negli anni ‘70/’80 si cominciò a spostare lo sguardo alle vinificazioni ed imbottigliamenti con papà Richard, entrato in azienda nel 1976, che si appassionò al mondo della viticoltura, in quegli anni di boom economico, con una conduzione pressocchè “convenzionale” e legata a pratiche oggi abbandonate quasi nella totalità. L’eredità vide al timone della cantina Richard, mentre il fratello seguì più la parte legata alla fattoria, tracciando la strada per l’ingresso in azienda di Jean Marc, nel 2008, dopo gli studi in agronomia ed alcune esperienze internazionali. La filosofia portata fin da subito dal giovane vignaiolo si è scontrata con le tradizioni e le metodologie applicate da padre fino a quegli anni, non capendo perché il figlio volesse ottenere meno uva, spendendo più soldi e lavorando molto di più, tutto questo condito anche dall’eliminazione di erbicidi e prodotti di sintesi per i trattamenti.
Una filosofia orientata al lavoro in vigna, preservando e favorendo il ciclo vitale della pianta, che si adatta alla natura e all’annata, con il fine di ottenere un vino che sia il più salutare possibile, senza avere una ricetta univoca standard o un’unica via per ottenere sempre lo stesso risultato.
L’azienda Jean Marc Seleque conta oggi nove ettari vitati in quarantacinque particelle tra i paesi di Pierry, Moussy, Epernay, Dizy, Mardeuil, Boursault e Vertus. I terreni sono caratterizzati per lo più da un primo strato di terra che nasconde sottosuoli misti che più o meno gradualmente portano ad incontrare il gesso ed in alcuni punti calcare.
Il focus, come anticipato, è orientato alla presenza in vigneto, dove la maggior parte dei lavori è svolta manualmente. Jean Marc utilizza i cavalli per un terzo dei lavori, oltre alle pecore in un’ottica di ecopastoraggio, solo per i vigneti vicino alla cantina, così da non sprecare tempo in spostamenti.
I trattamenti dipendono molto dalla posizione delle parcelle e dalle annate, con il trait d’union di essere meno impattanti possibili. Le annate 2012, 2016 e 2021 hanno messo a dura prova i limiti del biologico, non impedendosi di trattare in maniera sistemica in alcune zone, al fine di salvaguardare la produzione. “Se dobbiamo salvare, salviamo”. Non ci si vuole nemmeno cristallizzare sui paradigmi del biologico poiché anche rame e zolfo irritano sia le piante sia il terreno, pertanto si cerca di ridurre sempre maggiormente anche queste due sostanze.
Dopo un po’ di storia e filosofia di conduzione delle vigne passiamo a toccare con mano la cantina, nella moderna costruzione del 2015, all’interno della quale arrivano le uve negli appositi cassoni adatti a non danneggiare i grappoli.
A quattro metri sotto terra si trova la pressa dove l’uva, di quattromila in quattromila chili, viene pressata per ottenere il mosto da far fermentare, dipendentemente dall’anno, in maniera spontanea o meno.
Tra le varie stanze è situata anche la barricaia ad una temperatura che resta costante tra estate ed inverno, con una media che spazia dai nove ai quindici gradi. Qui assaggiamo due Chardonnay, che andranno a comporre il blend dell’etichetta di Seleque, “Solessence”, prelevati rispettivamente da una vasca in acciaio e da una botte. Il primo sprigiona note più fresche, agrumate, tropicali, con una buona verticalità, ricca spalla acida e mineralità, mentre il secondo più “grasso”, pieno, con note burrose, una leggera spezia e un corpo maggiore.
Tornati alla sala degustazioni, alla luce del sole, un assaggio di Solessence, questa volta dalla bottiglia, che affina almeno diciotto mesi sui lieviti e rappresenta circa il 60% della produzione dei vini di Jean Marc Seleque. Blend di tutti i vigneti di Chardonnay, con un 40% di Meunier e 10% di Pinot Nero (a seconda delle annate), con vini base che affinano per metà in barrique e per metà in acciaio. Un vino dai sentori di mela matura, agrume, note di pasticceria, frutta secca, per un palato ben equilibrato, buona acidità e mineralità, oltre ad una bolla fine.
Lo stesso blend si ritrova anche nel Solessence Nature, che a differenza del precedente vino resta cinque anni sui lieviti e non viene dosato. Vino più fresco sia al naso sia in bocca, con note di frutta, crema pasticcera, miele, spunti burrosi; verticale, fine, con una buona acidità e ben persistente.
Le bottiglie prodotte da Jean Marc Seleque sono circa novanta/novantacinque mila per anno e si dividono in nove Cuvée e due Coteaux Champenois.
Passiamo ad un Rosè, che presenta la stessa base con un’aggiunta di un ulteriore 5% di Pinot Nero vinificato in rosso. Dal colore rosa non troppo sgargiante al naso emergono note di piccoli frutti rossi, spunti ematici, sentori floreali ed una ciliegia che ritorna in bocca, a coccolare il palato, nel quale entra pieno e delicato, con le piacevoli caratteristiche trovate nei vini precedenti.
Tornando ai bianchi il quarto vino assaggiato è il Quintette Extra Brut, ottenuto da uve 100% Chardonnay, provenienti da cinque diversi territori. Una base di vino del 2018 con l’aggiunta di un 20% di vino riserva, affinato per almeno quarantotto mesi sui lieviti. Al naso le note fresche, ma piene, dello Chardonnay, con spunti di ananas, frutta secca, mela gialla, note erbacee, spezia, per un palato generoso, delicato, con buona mineralità e un sottofondo gessoso.
La conclusione con la punta di diamante dell’azienda, ottenuta dalle stesse uve di Chardonnay del precedente vino che trovano l’aggiunta di Pinot Nero e Pinot Meunier in eguale quantità. Lo Champagne Partition Extra Brut è un millesimato, in questo caso 2015, il cui vino base viene affinato nelle migliori barrique e dopo essere messo in bottiglia, resta a riposo almeno quarantotto mesi. Al naso emergono note di frutta secca, sentori tostati, ma anche agrumi ben maturi, crema pasticcera e crosta di pane. In bocca ha un buon corpo, con acidità e mineralità che si contraddistinguono, in un corretto equilibrio e buona persistenza. In etichetta uno spartito musicale; musica di cui sono appassionati sia Jean Marc, sia il papà Richard e anche nonno Henri.
Anche in questo caso un’esperienza a trecentosessanta gradi grazie al giovane Recoltant Manipulant Jean Marc Seleque!