Alla scoperta del mondo di Marco Buvoli e il suo Opificio del Pinot Nero, un vigneron vicentino, dalle sfumature francesi
05 Aprile 2024
Ci troviamo a nord-ovest di Vicenza, alla fine di una stradina collinare in località Gambugliano, dove sorge il cuore dell’azienda fondata da Marco Buvoli, Opificio del Pinot Nero.
Seduti nel porticato esterno della piccola sala degustazioni ci immergiamo subito nella storia di Marco e della sua realtà, relativamente nuova, ma con un fil rouge legato al DNA di famiglia.
Negli anni settanta, ai tempi del rinascimento del vino, papà Nevio è stato uno dei primi sommelier di Vicenza e per molti anni ha organizzato corsi sia per persone locali sia per stranieri. Marco assieme ai fratelli, per racimolare “la paghetta dello studente”, supportava il padre nel servire il vino, portare le pietanze, lavare i bicchieri, pur nessuno di loro fosse interessato a questo mondo, vista anche la giovane età.
Nevio non insisteva mai nel far assaggiare il vino ai figli, se non quando venivano stappate grandi bottiglie. In quelle occasioni un sorso era d’obbligo, con tanto di spiegazione della storia di quel vino, dell’azienda e del territorio, convinto che quella materia, un giorno, potesse tornargli utile. Sicuramente grazie a quelle esperienze si è acquisita qualche nozione per simbiosi e tutti i fratelli nel corso degli anni sono diventati bevitori dal palato fine.
L’interesse per il vino è arrivato all’età di venticinque/ventisei anni quando Marco si occupava di commerciale nel settore automotive. Un lavoro che lo ha portato a servire grandi industrie nel mondo e, durante i periodi di trasferta, gli capitava di frequentare zone dove si produce il vino, così da poterle esplorare nei weekend. Tra i paesi e le aree vitivinicole visitate si contano Sud Africa, California, Cile, Brasile, Stati Uniti, Argentina, ma è quando ha iniziato a lavorare con un grande cliente francese che è scattata la scintilla.
Negli anni ’90 sono cominciati i viaggi verso il sud di Parigi e, invece di prendere l’aereo, le trasferte venivano fatte in auto, così da avere la possibilità di sostare in Borgogna o fare una piccola deviazione e fermarsi in Champagne. Parallelamente è stato svolto anche un corso sui vini di Borgogna, presso un ristorante in provincia di Vicenza, approfondendo i vitigni principi della zona, Pinot Nero e Chardonnay, innamorandosi sempre più di queste varietà.
Cominciando a visitare qualche cantina, Marco si accorse che anche i più grandi nomi della Borgogna (ad eccezione di qualche realtà) non avevano cantine enormi o frutto di particolari opere architettoniche, ma il più delle volte si trovava davanti a strutture con infiltrazioni d’acqua, muffe, senza pavimentazione o piastrelle. Tutti i vignaioli prestavano, però, una grande attenzione nel percorso di degustazione, facendo assaggiare prima il vino nelle diverse botti, per poi passare al prodotto finale, frutto dell’elevazione anche in bottiglia.
Sempre più innamorato del Pinot Nero iniziò a frequentare assiduamente anche la zona della Champagne, dove, nel suo immaginario, potevano contarsi forse un centinaio di aziende. La prima volta che si fermò in quell’area, nella camera d’albergo, trovò un libro che elencava almeno milleduecento realtà produttrici, facendo così scoprire un nuovo mondo, che andava dalle grandi Maison ai piccoli vignaioli. Iniziò così a visitare anche le cantine della Champagne, “una volta bastava suonare il campanello”.
In quegli anni stava nascendo in Marco Buvoli il sogno di poter produrre il vino.
Nel 1997 è stato acquistato sulle colline a nord di Vicenza il casolare di fine 1800 dove oggi sorge l’abitazione e l’azienda di Marco. Il proprietario, che allevava la vigna circostante, lasciò “in dote” anche l’attrezzatura per la produzione del vino: torchio, diraspatrice, vasche in vetroresina. Iniziando i lavori di ristrutturazione, si iniziò anche ad esplorare l’area circostante, accorgendosi di una grande tenuta vitivinicola, nei pressi della vicina località di Costabissara. Tra gli appezzamenti, un ettaro e mezzo era piantato a Pinot Nero, notando ancora la targhetta sulla barbatella. Questo vigneto era stato piantato da una contessa che, poco prima di morire, lasciò i possedimenti in eredità ad una cooperativa sociale.
Preso dall’entusiasmo e dall’euforia Marco si informò su come poter affittare quella vigna e cominciare a produrre i due vini che tanto amava, una bollicina di Pinot Nero e un rosso a base delle stesse uve.
Così, assieme ad alcuni amici, nel 2001, hanno vendemmiato le uve di quel vigneto, iniziando a vinificare nella stanzetta che oggi ha preso le vesti della sala degustazioni. La riflessione di fondo era quella che in Italia non è che mancassero i Metodo Classico, ma che non ci fossero così tanti spumanti “fatti alla francese”, o meglio prodotti grazie agli assemblaggi di più annate, Cuvée, o con vini riserva.
“Volevo fare quelle bolle li”.
Per ottenere questi risultati era necessario produrre il vino e quasi dimenticarlo in cantina, avendo la pazienza di attendere qualche anno prima di poter assaggiare il frutto del proprio lavoro. Uno scoglio che fece perdere l’entusiasmo agli amici, abbandonando il progetto, ma al contempo fece acquistare in Marco Buvoli la consapevolezza di voler fare il vigneron a tempo pieno.
Finito il restauro dell’abitazione, venne progettata e costruita anche la cantina e così iniziò questa avventura solitaria nella produzione del vino, pur mantenendo il lavoro principale di commerciale, che finanziava il progetto. Invece di andare in ferie ad agosto si pensava a vendemmiare e far fermentare le uve, mentre le altre lavorazioni di cantina venivano svolte nei weekend, poiché il lavoro più importante nella spumantizzazione sono gli assemblaggi dei vari vini base (vins claire, in francese) per la creazione della cuvée.
Nel 2004 è stata pensata la prima Cuvée, mille bottiglie lasciate sui lieviti per sette anni, e altre duemila sboccate l’anno successivo, con un anno in più di affinamento. Fin da subito ci si accorse che quei vini non erano pensati per essere serviti come aperitivo, ma si trattava di bollicine gastronomiche, con cui pasteggiare e da abbinare. Una caratteristica riscontrata da molti ristoratori della zona e non solo, che hanno apprezzato immediatamente il progetto, incoraggiando il produttore e inserendo queste bolle in carta, trovando spazio anche in diversi ristoranti stellati.
Qualche anno più tardi, nel 2015, è stato lasciato il primo lavoro, per dedicarsi completamente alla produzione di vino.
Anche nelle fasi iniziali non ci si è rivolti ad un enologo, non per bravura o per competenza, ma per la volontà di poter dare il proprio imprinting al vino, senza l’influenza di persone terze, magari provenienti da altre zone italiane famose per la spumantistica, che, potenzialmente, avrebbero potuto uniformare il prodotto finale.
Pur partendo con molti dubbi e domande e con la consapevolezza che gli errori non sarebbero mancati, forte dei confronti con gli amici champagnisti, la posizione di Marco è rimasta ferma.
Nel corso degli anni duemila è stato anche attribuito un nome a questo progetto e all’azienda: Opificio del Pinot Nero, “poichè quello vinificavo”.
Nel 2007, iniziò anche la produzione di Pinot Nero in rosso, dedicando tre filari del vigneto vicino alla struttura. Un percorso diverso, con maggior cura della vigna, maggiori defogliazioni, rese più basse, che portarono il primo e il secondo anno ad ottenere due barrique. “Per la produzione di questo vino è necessario essere consapevoli che se si commette un errore nelle prime fasi non è più recuperabile, a differenza della produzione dello spumante dove puoi permetterti di giocare con gli assemblaggi”.
Man mano che la passione cresceva era necessario individuare altri vigneti o trovare aree dove creare nuovi impianti. Non trovando zone vocate vicino all’azienda, con esposizione ad est o nord-est (ottimali per godere dei venti di tramontana e proteggere il Pinot Nero dal sole pomeridiano, che uccide gli aromi) ci si è spostati nei Colli Berici. Qui, oltre all’esposizione, è stato individuato un sottosuolo perfetto per il Pinot Nero, essendo i Colli nati grazie al sollevamento del fondo marino e quello che c’era in fondo al mare lo si trova ora in cima alle colline. Da una carrellata di foto si possono vedere le diverse aree dove incontriamo più o meno argilla in superficie per poi individuare stratificazioni di calcare, composto da carbonato di calcio, ma anche gesso. Nei vari appezzamenti si trovano sfumature diverse con rocce più compatte o più ciottolose e argille di colori che possono tendere al rosso o nero, oltre che ad una materia più giallastra.
Nell’ultimo appezzamento vitato un tempo si trovavano alcune terrazze che, per volontà del comune, andavano ripristinate. Iniziando gli scavi per il ripristino dell’area ci si accorse che il substrato era quasi interamente gessoso. Un cambio di programma rispetto all’idea iniziale di piantare Pinot Nero, sostituito in corsa, ordinando barbatelle di Chardonnay.
Oggi l’azienda conta cinque ettari in produzione, mentre due e mezzo lo andranno quest’anno. I vigneti si trovano tra i Colli Berici, ma si conta anche una vigna sui Colli Euganei, sopra a Torreglia, dove a farla da padrone è il calcare bianco in superficie per poi lasciare spazio alla trachite vulcanica. A corpo, di fianco all’abitazione, è presente anche una vigna di Syrah, con alcuni vecchi filari di Merlot, in un substrato di argilla e tufo. “Nelle nostre zone sembra strano avere appezzamenti così dislocati, ma in Champagne è la normalità”. Recentemente si è deciso anche di vinificare una piccola quantità di Cabernet Franc, proveniente da un vigneto sito sui Colli Berici, di proprietà di un amico. Poco più di mille bottiglie all’anno, ispirate al Cabernet Franc prodotto in Loira.
I trattamenti in vigna sono a base di rame e zolfo, utilizzandone moderate quantità, avendo alla base scelto territori con esposizioni ventilate e adatte a far ambientare la vigna, senza il bisogno di eccedere con aiuti esterni. Nel 2005 è stato svolto anche un corso di biodinamica, da cui si sono acquisiti diversi concetti, applicandola in senso stretto per anni, utilizzando per esempio il corno letame o potando a zero le vigne il secondo anno per poter spingere a fondo l’apparato radicale. Credendo di più nell’approccio scientifico che in quello, spesso, un po’ “esoterico” e “spirituale” tipico della Biodinamica, dopo una decina d’anni si è abbandonata una parte di questa filosofia, mantenendo però il principio di massimo rispetto per le vigne e il minimo utilizzo di fitofarmaci.
Da un breve giro in vigna, da cui si scorge Montecchio Maggiore e i castelli di Giulietta e Romeo, si può notare il cumulo di letame, oltre ai vari scarti delle lavorazioni, il quale viene fatto maturare per poi essere utilizzato al bisogno. Un vigneto che, data la sua posizione impervia, viene condotto esclusivamente a mano.
Spostando lo sguardo alla cantina, costruita nel 2002 con lo scopo di vinificare quell’ettaro e mezzo in affitto e oggi sottodimensionata per la produzione, possiamo notare due grandi tini troncoconici, utilizzati per la macerazione dei vini rossi, con uve che vengono diraspate a inserite nelle vasche grazie ad uno scivolo orizzontale posto nella parte superiore, così da mantenere l’integrità del frutto e di conseguenza i suoi aromi.
La barricaia, ha preso il posto dell’area dello stoccaggio delle bottiglie, oggi conservate in un magazzino a temperatura costante in pianura, all’interno del quale vengono fatti anche gli imbottigliamenti, con linea mobile, ed etichettature. Barrique e tonneau, esclusivamente francesi, di primo passaggio vengono parzialmente utilizzate solo per i vini rossi, mentre le basi spumante affinano in botti usate. La base più vecchia che si trova in cantina è dell’annata 2018, oltre ovviamente al Solera di Pinot Nero in bianco che conta ventitrè annate diverse, con vino a partire dal 2001.
Ogni centimetro della cantina viene utilizzato per le vinificazioni e gli affinamenti, con il progetto già in essere di ampliare l’area dedicata alle botti, anche in previsione della produzione delle basi spumante di Chardonnay, per un Blanc de Blanc.
Le bottiglie prodotte ad oggi sono circa ventimila per anno, che cresceranno fino a circa ventottomila, grazie ai Blanc de Blanc. Per quanto riguarda gli spumanti le basi fermentano in acciaio, grazie ad un unico pied de cuve, frutto di una massa ottenuta tre giorni prima della vendemmia. Il vero scopo del vigneron è quello di effettuare i corretti assemblaggi coerentemente alle caratteristiche di una determinata annata e di conseguenza della base ottenuta dall’uva. Solitamente si utilizza circa il 60%-65% di base dell’ultima vendemmia, che affina per circa nove/dieci mesi in legno, la quale viene aggiunta alle altre annate per ottenere il più corretto blend, secondo il giudizio di Marco Buvoli.
Per esempio nel 2023 l’annata è stata molto piovosa e la base si presentava più leggera e di beva, così sono state aggiunte basi con caratteristiche più concentrate, per dargli una maggior spinta; il contrario nell’annata 2022, dove si è ottenuto un vino più concentrato, a causa dell’annata torrida.
La sosta sui lieviti parte da un minimo di tre anni, per arrivare, ad oggi, ad un massimo di tredici anni, per poi passare alla sboccatura e ad un ulteriore riposo in bottiglia.
Tutti gli spumanti prodotti sono Extra Brut e vengono colmati con il Solera, tranne l’unico Pas Dosè, che alla sboccatura viene rabboccato con alcune delle stesse bottiglie.
Oltre a questi viene prodotta anche un’altra etichetta che conta il 25% di Solera, denominata proprio Solera e un Rosè, sempre a base Pinot Nero, con uve che restano a contatto delle bucce per circa tre/quattro ore.
I nomi in etichetta sono di immediata comprensione e riportano gli anni di sosta sui lieviti. Le bottiglie non sono sempre disponibili e vengono messe in vendita quando raggiungono la loro massima espressività. Per esempio il “Dieci” è terminato a novembre del 2022 e sarà riproposto sul mercato, nella nuova Cuvée nel novembre del 2024, dopo almeno nove mesi dalla sboccatura.
Non solo spumanti in casa Buvoli, ma anche vini rossi, come Pinot Nero, Cabernet Franc e Syrah. La produzione maggiore è della prima varietà, circa quattromila bottiglie, contando tra le cinquecento e le mille bottiglie per ognuna delle altre due, in annate favorevoli. Anche il Pinot Nero vinificato in rosso presenta uno stile francese, con una macerazione delle uve (una parte anche con raspo) in tini troncoconici sospesi e fermentazioni spontanee, regolando la temperatura per mantenere il più possibile integra la componente aromatica.
Se l’annata non è favorevole, oltre a non produrre Syrah e Cabernet Franc le uve di Pinot Nero vengono destinate alla bollicina Rosè. Oggi sul mercato si trova il Pinot Nero 2019, in un’unica etichetta, ma dalla vendemmia 2020 (in uscita nel 2024) quest’uva è stata vinificata separatamente, valorizzando i due diversi Cru, i quali riporteranno in etichetta l’iniziale del nome dell’appezzamento “S” per Sarego e “P” per Pianezze.
Da un piccolo vigneto di Chardonnay si sono iniziate, lo scorso anno, alcune sperimentazioni di un futuro Blanc de Blanc. Proprio il giorno antecedente al nostro incontro si sono fatti i primi assemblaggi e, a causa dell’utilizzo di una tonneau nuova, la massa finale non ha convinto Marco, decidendo di utilizzare quel vino come vino riserva.
In compagnia dei cani Chardy e Pongo, nella saletta degustazioni adornata di decine di etichette principalmente di Borgogna e Champagne, iniziamo ad assaggiare i vini di Marco Buvoli.
Partiamo dalla bollicina Blanc De Noir Pas Dosè, “CINQUE”, l’unica senza dosaggio, con la percentuale maggiore di vino della vendemmia 2017 e basi che arrivano al 2012, oltre ad una piccola aggiunta di Solera. Nella retro-etichetta sono riportati alcuni dettagli, quali: “Questo spumante nasce da un assemblaggio di vini diversi, in parte affinati in legno con il metodo Solera, e ha riposato sui lieviti per molti anni. Non ha subito chiarifiche e non è stato filtrato, al fine di preservare l’autenticità e naturalità”.
Un vino che sprigiona sentori di agrume maturo, frutta secca, note sulfuree, un leggero tocco di ostrica, una nota salmastra e una piacevole ossidazione che tiene assieme i profumi. In bocca spicca un’ottima acidità, la bolla è fine, per un vino sapido e minerale, che si può definire tagliente e dritto, con un buon corpo e persistenza.
Dopo un assaggio di due prelievi dalle botti, dei due saranno Pinot Nero “S” e “P”, ci concentriamo sul Pinot Nero 2019. La frutta fresca percepita prima nei due campioni si trasforma in frutta matura, sentori più speziati, note di rabarbaro, leggero sottobosco, un tocco di vaniglia e un sottofondo balsamico. In bocca una beva armoniosa, non manca la spalla acida, una buona sapidità, discreta mineralità, tannino presente ma delicato e una buona persistenza,
Un tuffo a trecentosessanta gradi alla scoperta del vigneron vicentino dallo spirito francese, Marco Buvoli, che merita la maglia 322!