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venerdì, 23 Maggio, 2025

Nell’Asolo Prosecco DOCG con Simone di Cantina Martignago, Maser (Treviso)

A pochi passi dal centro di Maser, nell’Asolo Prosecco DOCG per scoprire la Cantina Martignago con uno dei suoi protagonisti, Simone

03 Ferbbraio 2024

Ci troviamo sempre all’interno dell’area dell’Asolo Prosecco DOCG, a pochi passi dal centro di Maser, per scoprire la Cantina Martignago, con uno dei suoi protagonisti, Simone. Siamo all’interno di un’azienda famigliare, giunta alla sua terza generazione (“sperando che me fiol porta avanti la quarta, ma son ancora distante da cedere il lavoro”). L’azienda per come la vediamo oggi ha cominciato la sua storia non proprio nel più felice dei modi, a causa della prematura scomparsa del suocero di Simone, Ilario.
Così nel 2010 è subentrato alla guida di Martignago il protagonista del nostro racconto, il quale ha lasciato il primo lavoro di informatico, per dedicarsi a vigna e campagna. “Sono fidanzato dalla terza media con la mia attuale moglie, quindi di vendemmie ne ho fatte tante e oggi posso dire che il lavoro di prima non mi manca, anzi, faccio quasi fatica a mettermi al computer”.

Agli inizi di questo percorso non si sapeva molto del mestiere, essendoci sempre stato Ilario a dirigere e supervisionare tutti i processi e nel 2010 non c’era nemmeno la cantina, ma solo un progetto per la costruzione, che ha visto la sua concretizzazione nel 2012. Prima di quell’anno la tecnologia era pari a zero, con una cantina ricavata vicino all’agriturismo (sempre in funzione, con le sue dieci camere gestite dalla cognata Francesca Martignago), ricavata nella vecchia stalla, rimpiazzata da vasche in cemento. Oltre ai limiti infrastrutturali si presentarono fin da subito le difficoltà di approccio in vigneto, a causa della conduzione poco convenzionale del suocero, che sembrava portare avanti le attività al contrario di quanto insegnavano alle scuole o corsi di viticoltura. Per lui, per esempio, fare la sfogliatura sul Prosecco era una cosa inaccettabile!
Durante i primi anni si è cominciato a destrutturare le pratiche che venivano effettuate, per poi scoprire che la conduzione di Ilario aveva un significato fondato, frutto dell’esperienza, mescolata ad un determinato ecosistema. Si è passati anche dal biologico, abbandonato nel corso degli anni a causa della flavescenza dorata. Si può affermare che, dal 2018, è stata costruita una visione del vino a partire dalla vigna, tirando le somme di otto anni di sperimentazioni. Piccola parentesi sui vigneti delle varietà a bacca rossa, con cui veniva prodotto quasi esclusivamente solo vino sfuso: sono stati convertiti tutti gli impianti da Sylvot a Cordone Speronato, così da abbassare la quantità di uva prodotta, al fine di ottenere una maggiore qualità e vini adatti all’invecchiamento.

In campagna oggi la gestione è consolidata, viene applicata una conduzione a chimica ridotta, prestando molta attenzione all’aumento della vitalità del sottosuolo, favorendo i vari micro organismi e la nutrizione del substrato attraverso il sovescio. Per quanto riguarda la protezione della pianta si utilizza il protocollo dei vignaioli indipendente trevigiani che mira a valutare quali delle molecole esistenti abbiano i migliori profili tossicologici. Si utilizzano principalmente rame e zolfo, limitandosi a pochi altri prodotti di sintesi per poter portare in cantina un’uva sana.

Gli ettari vitati sono nove, tutti a Maser, nell’arco di due chilometri, in un terreno prettamente argilloso, con terra rossa; anche se si possono contraddistinguere due appezzamenti (dedicati al Colfondo e all’Extra Brut) nei pressi delle chiesette di Sant’Andrea e San Vigilio, dove si è constatato da vecchie mappe che un tempo passava il Fiume Piave e, pertanto, si possono trovare terreni ricchi di sasso e scheletro.

Anche in cantina i processi sono stati stravolti, dato che prima del 2010 le uve venivano tutte macerate, non si utilizzavano lieviti per le fermentazioni, le temperature non erano controllate e non vi era la possibilità di spumantizzare. C’è stato il cosiddetto passaggio alla tecnologia, che ha portato dopo dieci anni di raccolta di informazioni a trovare un’identità nel vino, principalmente sul Prosecco e sul Colfondo IGT, sempre a base Glera, grazie anche all’aiuto dell’associazione Colfondo Agricolo, che ha permesso di riportare in auge questa metodologia che richiamava il vino di una volta.

Oggi Martignago produce tre Prosecchi tutti Asolo DOCG: un Brut, il prodotto più commerciale e classico; Extra Brut, zero zuccheri e l’Extra Dry, la bollicina Metodo Martinotti che ha subito un maggior cambiamento nella rivoluzione aziendale. Un vino definito demodè, su cui si è lavorato molto per far emergere il territorio di Asolo, senza intestardirsi sui sentori di frutta, ma per far risaltare anche in un prodotto con un più alto residuo zuccherino le note salate di questa zona. “Per me Asolo è Sale” e il motto dell’azienda Martignago è diventato quello dei vignaioli alla scoperta del Prosecco Salato.
Tra i cambiamenti c’è anche stata la scelta di utilizzare lieviti selezionati per le fermentazioni e ridurre i travasi, tra uno e due, scegliendo inoltre di far sostare il vino in autoclave tra i sessanta e i novanta giorni dell’Extra Brut.

Dopo i tre Prosecchi e il Colfondo IGT c’è quello che Simone definisce “il mondo dei vini giocattolo”: il Montello Rosso, a base di 70% Cabernet e 30% Merlot che affinano un anno in barrique; un Merlot in purezza che riposa due anni in legno; Cabernet Sauvignon vinificato ed affinato in solo acciaio; il “Teribie”, bianco fermo con uve Malvasia Istriana per il 50%, parti uguali di Riesling Renano e Incrocio Manzoni, oltre ad un 5% di Moscato. Questo vino esprime secondo l’azienda il concetto di Vignaioli Indipendenti, avendo piantato ogni varietà in diverse zone con terreni ed esposizioni valutate per quella tipologia di uva, al fine di ottenere un blend che viene vinificato assieme in cantina, per poi essere imbottigliato. Un progetto dalla vigna alla cantina, riassumendo la mentalità aziendale e il territorio in cui ci si trova.  Infine due vini rosati: un Metodo Classico a base di Prior, varietà resistente PiWi e un secondo rosato Metodo Martinotti 50% Cabernet Sauvignon e 50% Prior.

Parlando dello storico agriturismo, questo è dedicato ad un turismo infrasettimanale prettamente legato al mondo del lavoro, il quale si trasforma nel weekend con turisti per lo più italiani, dopo la pandemia, che ha fatto calare l’afflusso dei numerosi tedeschi e austriaci. Pernotto e colazione in un punto strategico sia per raggiungere Asolo, ma anche per la vicina Valdobbiadene o per esplorare le Ville Venete.

Dopo uno sguardo alla vigna a corpo in compagnia del cane Gigi e uno sguardo alla moderna cantina, ci accomodiamo al banco della sala degustazioni per assaggiare qualcuna delle circa sessantamila bottiglie prodotte per anno.

Cominciamo con il Colfondo 2021, che esprime sentori di lievito, crosta di pane, frutta secca, mandorla, leggere note di erba bagnata e un sottofondo iodato. In bocca entra verticale, con una bolla fine, buona spalla acida e sapidità, per una buona persistenza.

Dopo aver citato il grosso lavoro sull’Asolo Prosecco DOCG Extra Dry, che presenta un dosaggio tra i quattordici e quindici grammi non potevamo che sorseggiare l’ultimo nato, il 2023. Al naso esprime note delicate, non troppo spinte verso la frutta, con sentori di pesca bianca, un tocco gessoso, spunto di gelsomino. In bocca il residuo zuccherino si percepisce bene, ma viene abbastanza bilanciato da una discreta acidità e ricca sapidità, per una discreta persistenza.

Conclusione con un “non Prosecco”, il blend di uve a bacca bianca Colli Trevigiani Bianco IGT, che si presenta subito con un tocco agrumato, note erbacee, erbe officinali, tè verde, salvia e leggera zagara in sottofondo. Al palato entra sapido, con un discreto corpo, ottima beva e freschezza, discreta spalla acida e persistenza, che lascia il palato decisamente sapido. Il suo nome è “Teribie” e la prima bottiglie è stata prodotta nel 2013, in una prima versione dove l’Incrocio Manzoni è stato chiesto ad un ex compagno di classe di Simone, il quale conferiva alla cantina sociale. Il papà dell’amico di Simone era il compare di Ilario e ogni volta che il primo arrivava in cantina veniva accolto dalla frase “Xe rivà el Teribie”, dato il carattere particolare del secondo.

Una bottiglia che può regalare emozioni anche dopo qualche anno; curiosi di provare il 2018 lasciato da Simone, che ha meritato la maglietta numero 306.

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