In compagnia di Mike Dalto, per esplorare i due volti della sua omonima realtà, che spazia dalla Glera al Bronner rifermentati in bottiglia
02 Novembre 2024
Ci troviamo a Follina, paese poco più a nord di Pieve di Soligo, dove è stata creata la cantina e quartier generale dell’azienda Mike Dalto. Salutato il suo fondatore Michele Dalto, la prima cosa che notiamo è una lunga fila di piante in vaso, che scopriamo essere mirtilli. I mirtilli sono una passione di Mike, i quali hanno preso il posto di una vite americana e sono oggi novantanove piante che producono circa due chili di frutti ciascuna, da giugno ad agosto. Una breve parentesi su questa varietà, poiché i mirtilli godono di un’ottima resistenza e non hanno bisogno di trattamenti, se non di una buona osservazione e monitoraggio per arrivare alla raccolta del frutto maturo, una filosofia che andremo a scoprire che si applica anche in vigna.
Spostiamo il focus sul macrotema della giornata, la viticoltura, approfondendo le aree vitate dell’azienda Mike Dalto, di cui la prima si trova nei pressi di Pieve di Soligo, a Pedeguarda, un ettaro circa a duecentottanta metri sul livello del mare. Qui troviamo un’area circondata dal bosco, con pendenze che arrivano anche al 50% e 60%, dove a farla da padrone sono conglomerati provenienti dalla seconda glaciazione, che hanno lasciato una forte presenza di roccia, come dimostra la traccia di un sito per l’estrazione delle pietre da macina, risalente all’epoca romana. Oggi la protagonista principale è la vigna, ma un tempo la cultura principale era quella dell’olivo, che si espandeva in tutta l’odierna DOCG del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, testimoni anche i due frantoi sorti alle estremità di quest’area.
Il vigneto ha circa trent’anni e per lo più è allevato a Glera, con qualche rimpiazzo fatto con le autoctone Bianchetta e Perera, per rispettare lo storico taglio del “Vin Colfondo”.
Scavando nelle origini dell’azienda Mike Dalto, facciamo un balzo indietro di qualche anno, scoprendo che Michele, all’età di quindici anni ha lasciato gli studi di ragioneria per lavorare in fabbrica, ma, pur guadagnando molto è tornato sui libri, concludendo la scuola come elettricista. Dopo le superiori, la decisione di ripercorrere i suoi passi originari, laureandosi in economia. Durante l’esperienza universitaria c’è stata anche la possibilità di effettuare un Erasmus in Germania, dove nel 2000, 2001 iniziò a coltivare la passione per il mondo del vino e la voglia di tornare in Italia con l’obiettivo di aprire un’enoteca. Nel 2003 l’idea dell’enoteca si è concretizzata in maniera un po’ differente, trasformata nella volontà di fondare un’azienda dedicata alla produzione di Spumanti di qualità, inizialmente con Metodo Martinotti. Una curiosità è che la tesi di laurea di Michele è stata incentrata proprio sull’apertura della sua azienda vitivinicola, dedicando così, oltre la pratica, anche una parte teorica al progetto.
L’inizio di questa avventura è stato a più mani, con il supporto dei fratelli maggiori Luciano e Desiderio, creando la cantina nello spazio che vediamo oggi, dedicato in precedenza ad altro. Un’ottima spinta è stata data anche dai bandi legati a fondi europei, così da agevolare l’acquisto delle varie vasche, autoclavi, pressa dando così vita all’azienda, che un tempo prendeva il nome di Abbazia di Follina (fino al 2023, quando è stata trasformata in Mike Dalto, essendo oggi Michele l’unico protagonista del progetto).
Per dieci anni si è prodotto lo Spumante nella modalità più moderna, con l’uso delle autoclavi, ma nel 2013 c’è stato un radicale cambio di mentalità, pensionando il Metodo Martinotti, per dedicarsi alla sola produzione di vino Rifermentato in Bottiglia. Il pensiero di Michele è stato quello di non voler essere un numero tra i tanti produttori di Prosecco “standard”, ma quello di voler ottimizzare il suo lavoro in vigna per trasferirlo poi in bottiglia, in un vino che potesse essere il testimone del territorio e di una precisa annata.
Un’altra tappa importante di questa piccola realtà è stata segnata nel 2018, quando si sono voluti ampliare gli orizzonti ed investire in una seconda area vitata, nel paese di Sedico, ai piedi delle Dolomiti, dove si trova un terreno ricco di dolomia e pietra focaia, lascito dello scioglimento del ghiacciaio che imperava qualche centinaio di migliaia di anni fa. Michele si è innamorato di quella zona, in cui, prima del suo acquisto non c’era pressoché nulla, se non una casetta di legno circondata dal bosco e un’ottima esposizione, scoprendo solo in seguito che la località dove è sorto questo impianto di circa due ettari, si chiama Col Del Vin, testimoniando la coltivazione della vigna nel corso dei decenni precedenti.
Parlando di conduzione, Michele sottolinea il costante presidio nei vigneti, cercando di trovare il corretto equilibrio tra la produzione e la qualità dell’uva, coerentemente con le piante di mirtilli che abbiamo incontrato appena arrivati, le quali hanno il quasi esclusivo bisogno di essere potate, così da moderare la loro spinta produttiva generosa e ottenere frutti di qualità. Nell’ottica di “fare meno, ma meglio” si trattano anche le vigne, principalmente quella di Bronner, che tende a spingere molto in termini produttivi, gestendo così il corretto bilanciamento vegeto-produttivo. Per quanto riguarda i trattamenti si cerca di arginare il più possibile le malattie e gli insetti dannosi, come la cicalina che porta alla flavescenza dorata, il vero male di questi anni nella zona del Prosecco. Per fare questo ci si avvale di alcuni insetticidi che eliminano gli insetti in maniera mirata, pur osservando, per il resto, trattamenti consentiti dal biologico. Il proliferare di questi insetti, che possono arrivare a fare anche quattro chilometri in una sola notte, è un grosso problema per la viticoltura e, paradossalmente, il prodotto permesso dal Bio non è selettivo, così da costringere l’azienda, come molte altre, a prendere scelte alternative e forse meno impattanti sull’ambiente.
Oggi la produzione si attesta sulle quindicimila bottiglie, con due etichette, pur essendoci una novità, che scopriamo in anteprima, dando uno sguardo alla cantina. La cantina, all’interno dello stabile, dietro alla sala degustazioni, è un ambiente tecnico e tenuto in maniera maniacale in termini di pulizia, “ci si deve mangiare per terra”, pur “perdendo un po’ di magia e poesia”. Qui troviamo le autoclavi in pensione, utilizzate comunque come contenitori per il vino, oltre alle vasche d’acciaio, la pressa e gli spazi di stoccaggio ed etichettatura, che avviene tutta in maniera manuale.
Un piccolo furto da una vasca ci permette di assaggiare, in anteprima, il primo bianco fermo dell’azienda, a base di Bronner, con uve vendemmiate qualche giorno dopo la base del Rifermentato. Troviamo un vino che si presenta con sentori aromatici, di frutta, tra cui pera, litchi, mela, ananas, pesca bianca, una nota ancora verde, un tocco di mandorla per un sorso verticale, buona spalla acida, dall’ottima sapidità, minerale, corpo discreto e buona persistenza. Sarà sicuramente interessante capire il suo decorso e successivo affinamento in bottiglia. Il suo nome è ancora ignoto, poiché i vini vengono battezzati solo dopo essere stati imbottigliati ed assaggiati!
Dalla vasca vicina preleviamo anche un altro assaggio, questa volta della base del Rifermentato, annata 2024, che prende il nome di “Madresal”, vista la sua ricca sapidità, infusa dal terreno dei vigneti di Sedico e la parola “Madre” a sottolineare la vicinanza delle Dolomiti, da dove sorge l’acqua, fonte di vita, metaforicamente madre delle adiacenti colline e pianure.
Un vino che si presenta con note più citriche al naso, ma anche meno esplosive e più timide, dove emerge sicuramente un agrume fresco, ma anche un melone giallo, con un costante sottofondo di frutta secca e note verdi. Al palato mantiene molta freschezza, aumenta in acidità e verticalità, con una discreta persistenza, sempre abbondante in sapidità e con una buona mineralità.
Dopo l’assaggio dalla vasca un assaggio anche dalla bottiglia di “Madresal”, che vediamo essere vestita da un disegno dell’artista poliedrica (poeta, scultrice, pittrice) Sara Andrich, di origine tedesca, ma residente a Sedico. Da questa collaborazione è nata un’opera d’arte scultorea, esposta nella sala degustazioni, che si è trasformata in un disegno, protagonista dell’etichetta di questo Rifermentato.
Troviamo una donna coricata di profilo, volendo metaforicamente rappresentare il profilo delle Dolomiti, con alle spalle il sole che nasce. Un’etichetta che avvolge quasi tutta la bottiglia, così da svolgere anche un ruolo funzionale, ovvero quello di mescolare i lieviti, depositati sul fondo, osservandola prima di essere stappata.
In questo vino la fermentazione è spontanea, partendo da una base di uva pigiata a 0,9 bar e un affinamento in solo acciaio, in riduzione e saturazione delle vasche con l’azoto, per poi imbottigliare e lasciar lavorare gli stessi lieviti e una minima parte di mosto aggiunto, per la rifermentazione.
Nell’annata 2023 troviamo un vino molto fresco e scalpitante, con sentori di pompelmo, pera, una nota incensata, tocco sulfureo, ma anche uno spunto di pasticceria, una parte resinosa e sottofondo di frutta secca. In bocca entra dritto, ricco in acidità, con una ricca sapidità, minerale, un buon corpo e persistenza.
Per completezza, il secondo Rifermentato, a base Glera, prende il nome di “Svelato d’Artista”, dal 2019, precedentemente battezzato con il solo nome di “Velato”, termine tecnico per definire i vini torbidi. Nel 2018 Michele ha conosciuto l’artista torinese Raffaele Ianzano, il quale dipinge con i piedi e, innamorato del progetto del piccolo produttore, ha deciso di dedicargli un’etichetta, che ha iniziato a vestire questo vino e ne ha anche cambiato il nome.
Maglietta numero 362 per Mike Dalto, in attesa di stappare lo “Svelato d’Artista” e ritrovarci per una scorpacciata di mirtilli!