Sciara Etna, un mix di culture ed influenze nell’azienda di Randazzo (Catania)

Sciara Etna: un blend di California, Hong Kong, DNA per un quarto giapponese, esperienza francese grazie al suo protagonista e fondatore Stef Yim

08 Marzo 2025

Colazione a Passopisciaro, in compagnia di Stef Yim, il fondatore dell’azienda Sciara Etna, prima tappa di un incontro lungo sei ore per scoprire ogni sfaccettatura del suo produttore e della realtà che ha fondato ormai dieci anni fa.

Si evince subito che Stef non è proprio il tipico siciliano, visti i suoi tratti somatici acquisiti dal padre di Hong Kong e dalla madre metà giapponese, oltre al suo slang americano, grazie al trasferimento a Los Angeles, da Hong Kong, quando ancora non era adolescente.

Alla domanda come mai sei finito sull’Etna, la risposta è stata semplice ed immediata: “una sera mi sono ubriacato e mi sono risvegliato in Sicilia”.

Battute a parte, il primo aspetto affascinante della storia di questa realtà è la coincidenza, motivo per cui si è cominciato a produrre vino. Facciamo un passo indietro, quando Stef poco più che ventenne ha deciso di abbandonare il college per seguire la strada di sommelier (diplomandosi nel corso degli anni WSET di terzo livello e facendo parte della Court of Master of Wine) in un ristorante di Pasadena. La sua professione lo ha portato a partecipare a diversi eventi di degustazione, uno su tutti, nel 2007, dedicato ad un target di circa duecento produttori di piccole aziende famigliari della California.
Dopo aver assaggiato un buon numero di referenze si soffermò in mezzo al padiglione, attratto da uno stand con una sola referenza, senza etichetta, se non con la scritta 3000. La battuta iniziale per approcciare la persona allo stand è stata quella che c’era uno zero in più rispetto al titolo del film di Zack Snyder, 300. L’assaggio di questo vino, un Syrah in purezza, sbalordì moltissimo Stef, che non trovò nessuna analogia con alcun vino della California scoprendo che in realtà il numero 3000 rappresentava i piedi d’altezza in cui si trovava la vigna con cui era prodotto quel vino. Presentandosi con il suo ruolo di sommelier e buyer ordinò subito cinque cartoni di quel vino per il “suo” ristorante, offrendosi di pagare, in via eccezionale, in anticipo.
Dopo un mese di attesa questo vino non era arrivato ancora a destinazione e, contattando il referente conosciuto alla fiera, la risposta è stata che il quantitativo era troppo poco ed avevano un ritardo nella soddisfazione della richiesta, ma che non c’erano problemi con la fornitura.
Dopo altri tre mesi non arrivò nessuna fattura proforma né tantomeno il vino, così da rinunciare all’acquisto, facendo, inoltre, una brutta figura con il titolare del ristorante.

Circa un anno dopo, è stata organizzata la stessa manifestazione a Pasadena e, tra una faccia famigliare e l’altra, mentre stava lasciando la fiera, un produttore alla fine del padiglione lo invitò ad assaggiare il proprio vino. Sia dal profumo, che dal primo sorso, la mente del giovane fu riportata all’anno precedente e a quel Syrah tanto particolare ed equilibrato che si discostava dalla media.
Parlando con l’espositore di quel vino entusiasmante assaggiato lo scorso anno e della mancata consegna, questo batté le mani sul banchetto esclamando qualche tipo di imprecazione. Si trattava delle stesse uve, acquistate da un commerciante (colui che avrebbe dovuto soddisfare l’ordine di Stef), che lasciò qualche conto in sospeso con il proprietario, il quale si prodigò quell’anno a vinificare per conto proprio e di partecipare alla piccola fiera.

I due sono stati almeno un paio d’ore a parlare, fino all’invito di toccare con mano quella vigna a circa novecento metri di altezza, a nord della California. Stef si recò qualche mese dopo in quella vigna basata su terreni vulcanici e, innamorato del posto, venne convinto dal titolare di prendere in carico la vinificazione della produzione di circa tremila chili d’uva.
A quell’epoca non aveva alcuna esperienza tecnica nella trasformazione delle uve, ma venne supportato da un amico del proprietario, una sorta di filantropo che ha messo a disposizione una minima parte del suo ingente patrimonio, per la realizzazione di questo progetto a cui egli stesso credeva molto.
Così nel 2008, guidato da tanta passione e da quell’opportunità “che non si poteva rifiutare”, ci fu il primo anno di vendemmia e trasformazione delle uve in vino, caratterizzato da una grande freschezza e spalla acida, grazie al particolare terroir di montagna e suolo vulcanico. Un’avventura durata un paio di stagioni, ma la volontà del giovane era quella di non voler passare tutta la vita in California.

Il desiderio principale era quello di raggiungere la Francia e, magari in Borgogna, ma, non sapendo la lingua e ricevendo proposte solo come vendemmiatore, il progetto si arenò in prima battuta. Grazie alla conoscenza con un distributore di vino, emerse l’opportunità di raggiungere un’azienda al sud della Francia, precisamente nella zona del Madiran, adiacente alla più famosa area di produzione dell’Armagnac. Qui Stef ha imparato i diversi lavori di vigna e cantina, a stretto contatto con il proprietario dell’azienda, formandosi nella trasformazione delle uve, con il Tannat che svolgeva il ruolo da protagonista. L’approccio che si è acquisito in quegli anni è stato di stampo sicuramente sostenibile sia nella conduzione della vigna, sia nelle vinificazioni, forgiando la mentalità di produttore amante delle sperimentazioni e della preservazione del patrimonio vitato che si può individuare nelle diverse aree produttive.

Il periodo francese è durato quattro vendemmie e l’attrazione per i terreni vulcanici, sommata alla volontà di costruire un’azienda propria, orientò Stef a fare alcuni viaggi, sia sull’Isola di Tenerife, sia in Sicilia, più precisamente sull’Etna. Sull’Isola spagnola ricevette anche un’offerta da parte di un amico di poter coltivare la vigna che apparteneva alla sua famiglia e vinificarne le uve, ma, a causa dell’altitudine poco elevata, il numero di appezzamenti limitato e la prospettiva di un turismo ed enoturismo non così popolare, venne abbandonato il progetto.

Nel 2014 i viaggi sull’Etna si sono intensificati, chiedendo di pari passo alle persone del posto se c’era qualche vigna in vendita, principalmente a quote elevate. Così ad inizio 2015, avendo individuato il primo appezzamento a novecento ottanta metri sul livello del mare, venne dato vita il progetto Sciara Etna, con lo scopo di fare vini da vigneti basati su terreno vulcanico, a quote elevate.

Le ragioni per cui è stato scelto l’Etna sono principalmente tre: l’innamoramento nei confronti dei terreni vulcanici (su questo aspetto rimarrà per sempre indelebile un’esperienza di degustazione alla cieca quando era a Tenerife, assaggiando un vino che sembrava un Barolo, ma che in realtà si trattava di un Etna Rosso); l’altitudine in cui si sviluppano le vigne e il loro potenziale di raggiungere sempre quote maggiori ed infine la presenza di vecchi vigneti a piede franco.

Tra le chiacchiere, la nostra esplorazione tra i vigneti comincia con i settemila metri di Feudo di Mezzo, a seicentotrenta/seicentocinquanta metri, dove troviamo uno dei vigneti più vecchi acquistati da Stef, con un 80% di piante centenarie, a piede franco, che sembrano essere tante persone, ognuna diversa dall’altra, più alte o più basse, più grosse o più fini, più dritte o più storte. Qui a farla da padrone è il Nerello Mascalese per il 75%, ma sono presenti anche piante di Nerello Cappuccio, Garganega, Carricante, Minnella Bianca, Minellone.
Oltre al corpo principale disposto in diversi terrazzamenti, è presente anche una piccola area vitata al di là di una zona dove ha preso il sopravvento l’imboschimento, la quale un tempo era di certo un’area vitata. La caratteristica principale di questi terreni è la grande presenza di pietre vulcaniche, di origine ellittica.

Qui scopriamo anche quella che è la filosofia nelle lavorazioni da parte di Stef, che ritiene ci siano già tutte le sostanze necessarie all’interno del suolo lavico, sia per la protezione della pianta, sia per la sua fertilizzazione. Il suo scopo è quello di preservare l’eredità vitata lasciata nel corso degli anni, senza effettuare inutili trattamenti e ripiantando pian piano i vigneti, dove ci sono fallanze, esclusivamente con piante frutto di selezioni massali. I terreni vengono lavorati tutti a mano, o a zappa, se necessario, piantando in alcune annate favino o camomilla per favorire maggiormente il benessere del terreno.
In vigna sono presenti due diversi team di collaboratori, che si occupano in squadre di tre persone di tutti gli appezzamenti. Stef sottolinea che vuole essere presente e occuparsi in prima persona delle piante più vecchie.
Nel 2025 si completerà anche ufficialmente la certificazione Bio, ma ciò che è importante è che “sarebbe stupido intervenire dove c’è già la giusta sostanza”, come hanno sempre suggerito al produttore gli anziani del posto. Si interviene con un minimo di protezione solo nei nuovi vigneti, per preservare e proteggere le piccole piante.

Con le uve raccolte dai vigneti di Feudo di Mezzo si produce, solo nelle annate migliori il vino “Centenario”, che scopriremo successivamente.

Per scoprire un altro appezzamento acquistato nel corso degli anni da Stef, ci spostiamo in Contrada Nave, tra i monti Spagnolo e Maletto, all’interno della quale troviamo circa un ettaro a circa milleduecento metri sul livello del mare, costeggiando una colata lavica del 1981. Dopo aver chiesto a diverse persone del posto se ci fossero vigneti ad altitudini elevate sulle pendici dell’Etna, il produttore si è cimentato in diverse passeggiate e trekking esplorativi, fintanto che ha scorto i “cimeli” di un vecchio impianto, abbandonato ormai da diversi anni. Si è deciso di acquistare quest’area nel 2018, con lo scopo di ripristinare le vecchie vigne e riportarle alla vita. Le vecchie piante contano un’età di cento/centovent’anni e la varietà predominante è il Grenache.
I lavori di ripristino sono durati per mesi e non si è ancora portata a termine l’opera di recupero di quest’area, continuando a rimpiazzare le fallanze con nuove barbatelle, frutto della selezione massale delle vecchie vigne. Questo vigneto, vista la sua altitudine, è forse il vigneto a bacca rossa più alto d’Italia.
Qui, grazie anche al meteo, che alterna un velo di nebbia e qualche raggio di timido sole, si può vivere un ecosistema unico, di totale pace e spensieratezza. Tra i vigneti sono presenti anche delle vecchie casette in pietra, utili sia come ricovero attrezzi, sia come location per qualche siesta tra un lavoro di campagna e l’altro. In quest’aera sono presenti suoli più sabbiosi, che si arricchiscono dei lapilli ricchi di sostanze minerali, che regala il Vulcano nelle sue eruzioni.
Al lato di una delle vigne, nell’area più alta della proprietà, scopriamo anche il luogo segreto dove viene fatta affinare una parte di Grenache. Coperte da una porta appoggiata sul suolo, si nascondono due anfore di lava e argilla da duecentocinquanta litri. Spostata la porta si possono incontrare anche due segnali del risveglio della primavera, ma anche della qualità dell’ecosistema aziendale: un calabrone ed una coccinella.

L’azienda Sciara Etna conta ad oggi un totale di dieci ettari, i quali si trovano anche nelle Contrade, non esplorate, di: Barbabecchi/Rampante, tra gli ottocento sessanta e i novecento novanta metri (settemila metri vitati); Monte Dolce a novecento metri (con un ettaro e mille metri); Sciaranuova, a settecento settanta metri (un ettaro e mille metri); Carrana, a novecento ottanta metri (un ettaro); Tartaraci, a novecento venti metri (mezzo ettaro). Nel 2020 ci si è spinti ancora più in alto, acquistando un’area di poco più di un ettaro, dove un tempo erano presenti solo susine e meli, ad un’altitudine di millecinquecento venti metri. Ci troviamo sul versante sud dell’Etna in Contrada Cielo, dove è stato creato un impianto ex novo da Stef, che, assieme a due aiutanti del posto, ha piantato a mano le barbatelle sui su questi suoli caratterizzati da sabbie nere e marroni.

L’ultima tappa della nostra escursione tra le vigne dell’Etna è in Contrada Taccione, dove si trova il corpo principale dell’azienda, circa quattro ettari disposti in diversi appezzamenti, ad un’altitudine che di media è attorno ai settecento sessanta metri. Quest’area è stata acquistata nel 2017, trovando impianti per lo più a cordone speronato, di circa quarant’anni, oltre ad una struttura che conta sette camere, dedicate all’accoglienza, in modalità bed and breakfast.

Il substrato è principalmente roccioso, con una maggior o minore abbondanza di pietre a seconda del vigneto. La parte più bassa è quella più nuova, con impianti ad alberello, principalmente di due cloni diversi di Nerello Mascalese, così da poter vedere le differenze in termini di vinificazione, grazie ad una varietà leggermente più corposa ed opulenta, mentre l’altra più fine e delicata, che sprigiona più sentori di frutta.
Non mancano anche altri alberi, come un’ottantina di ulivi, castagni, fichi d’india, piante di rosmarino, avendo creato un ambiente ideale per le api nere, che producono una moderata quantità di miele.

All’interno della struttura si può vedere anche la cantina, un ambiente essenziale dove si trovano vasche in acciaio per le fermentazioni, tutte svolte spontaneamente, anfore di diversa misura e materiale, oltre a barrique e tonneau.

Le bottiglie ad oggi prodotte da Sciara Etna sono circa quindicimila per anno, nelle annate favorevoli, volendo raggiungere le venti/ventidue mila in un paio di anni, senza voler fare il passo più lungo della gamba.
Le referenze si dividono in sei/sette etichette, dipendentemente dall’annata, tra cui troviamo un solo vino bianco a base di Carricante e altre varietà a bacca bianca presenti tra le vigne situate nelle Contrade Carrana, Barbabecchi e Monte Dolce.

Il suo nome cambia ogni anno, mentre la vinificazione prevede un periodo di macerazione tra i trenta e i quaranta giorni, in diversi vasi vinari.
Soltanto nel primo anno di attività, il 2015, è stato prodotto il “750”, in una particolare bottiglia dorata, interrotto poi per la produzione del “760”. Questo vino è un 100% Nerello Mascalese, con uve provenienti dalle Contrade Sciaranuova e Taccione, ottenuto da una fermentazione spontanea per poi trasferire il vino ottenuto in botti di legno per metà usate e per il restante 50% nuove, di diverso formato, oltre a qualche contenitore di vetro, per circa diciannove mesi.
Un secondo vino rosso è il “980”, ottenuto dalle uve di Nerello Mascalese che crescono ad un’altitudine simile, tra le Contrade Carrana, Barbabecchi e Monte Dolce. In questo caso dopo la trasformazione alcolica il vino riposa per diciannove mesi in botti di legno di diverso formato e passaggio, ma anche in vetro e anfore di ceramica.
Dal 2020 si produce una piccola quantità di “1200” (poco più di mille bottiglie), Grenache in purezza, ottenuto dal secondo vigneto, in Contrada Nave, esplorato durante il nostro incontro. In questo caso l’affinamento avviene per un tempo simile ai precedenti vini, in anfore di diverso formato e materiale.
Per celebrare le vigne centenarie ed oltre dell’appezzamento di Contrada Feudo di Mezzo è stato proposto sul mercato il “Centenario”. Oltre al Nerello Mascalese, qui si trovano anche altre varietà, tra cui Nerello Cappuccio, Minnella, Minellone, essendo un tempo gli impianti misti. Anche nel caso dell’affinamento di questo vino si sono scelte diverse anfore e contenitori di vetroresina.
Solo nel 2021 sono state prodotte sole novanta bottiglie dal nuovo impianto di Contrada Cielo, battezzando il vino “1520”. Un vino che sarà riproposto nel corso dei prossimi anni, quando la produzione sarà più a regime.

Per fare qualche assaggio ci accomodiamo all’interno della sala degustazioni, adiacente alla struttura ricettiva, scoprendo anche la passione di Stef per la creazione di braccialetti, con pietre e amuleti acquistati nei suoi numerosi viaggi per lo più verso oriente.
Cominciamo con l’autoreferenziale “Ubriaco sulla Luna”, il bianco che cambia nome tutti gli anni (l’annata precedente, 2020, nel primo anno di vinificazione, prendeva il nome di “Ululando alla Luna, viste le numerose nottate spese dal produttore a lume di luna sull’Etna), vendemmia 2022. 65% Carricante e 25% Catarratto oltre ad un 5% di varietà a bacca bianca quali Minella Bianca, Minellone e Garganega che effettuano una macerazione di circa trenta/trentadue giorni, sia in acciaio, ma anche in anfore di ceramica e contenitori di vetroresina, per poi affinare circa venti mesi nei tre diversi vasi vinari ed essere assemblato ed imbottigliato dopo circa sei settimane.
Al naso sprigiona note di macchia mediterranea, spunto di miele delicato, cedro candito, note agrumate intense, origano e un tocco sulfureo e speziato. In bocca un’ottima beva, freschezza, spalla acida ben bilanciata, buona mineralità, sapidità, per un sorso ricco, con una discreta persistenza e un leggero tannino sul finale.

Il secondo assaggio è di “980”, annata 2022, 100% Nerello Mascalese, blend di più vigneti che si trovano ad un’altitudine media che supera i novecento metri, questo per avere un riassunto di diverse aree, che possano apportare delle caratteristiche tra loro complementari. Stef, infatti, ritiene che sull’Etna sia meglio creare dei blend, piuttosto che proporre i singoli Cru, così da avere una maggior completezza e armonia nel prodotto finale.
Un vino ancora giovane e scalpitante che si presenta con note di ciliegia, melograno, piccoli frutti rossi, sentori ematici e ferrosi, per un sorso fresco, di beva, con una buona spalla acida, mineralità, discreta sapidità, comunque ricco, con un discreto tannino e buona persistenza.

Un’immersione nel mondo di Stef Yim e nella sua azienda Sciara Etna, che non può che rievocare la maestosità del Vulcano e delle sue eruzioni, che donando questo terroir unico nel suo genere.

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