Doppio incontro per scoprire i principali Vigneti di Venezia assieme a Renzo, presidente di Laguna nel bicchiere Massimiliano Luison, responsabile tecnico dell’Azienda Santa Margherita
08 Maggio 2023
Un lunedì pomeriggio alla scoperta dei principali Vigneti di Venezia, con due protagonisti di estrazione totalmente diversa, che hanno sposato una causa in comune e fanno parte della stessa associazione, UVA, Urban Vineyard Association.
L’incontro è a San Francesco della Vigna, a pochi passi dall’ospedale veneziano di San Giovanni e Paolo, dove ad aspettarmi c’è Renzo, presidente dell’associazione La Laguna nel Bicchiere. Ripercorrendo la storia di questa realtà andiamo indietro di qualche decennio, ai tempi in cui Renzo ha affiancato l’amico Flavio Franceschet, entrambi architetti, nella creazione di un progetto di sensibilizzazione riguardo alle attività agricole nelle scuole dove insegnavano. Una delle attività era portare i ragazzini in una vigna di fragolino situata nell’isola di Mazzorbo, per simulare una sorta di vendemmia, con le uve che venivano pigiate con i piedi e lasciate fermentare “alla buona”. “Lo scopo non era fare vino, che tanto a Natale era già aceto, ma far capire alle nuove generazioni che i prodotti che troviamo già belli che confezionati seguono un più o meno lungo processo di trasformazione”.
La creazione dell’associazione è avvenuta nel 2008, quando, alla chiusura del convento di San Michele (nell’omonima isola dove si trova il cimitero di Venezia), all’interno del quale erano rimasti due frati ed un badante, il gruppo di amici ebbe l’opportunità di prendere in gestione uno dei Vigneti di Venezia più storici. Dai progetti con le scuole alla strutturazione di un’associazione per prendere in custodia il patrimonio lasciato dai frati, che altrimenti sarebbe stato abbandonato. Poche centinaia di metri di vigna in cui si trova l’unica cantina di Venezia atta alle vinificazioni, con all’interno botti di legno storiche, giganteschi tini e altri vasi vinari utilizzati al giorno d’oggi da La Laguna nel Bicchiere. Si suppone, vista la grandezza dei contenitori, che la maggior parte delle uve presenti a Venezia e nelle isole limitrofe venissero portate a San Michele per essere vinificate. Negli anni si sono aggiunti anche altri piccoli appezzamenti come quello conventuale di Sant’Elena (il più grande) e quello delle Vignole, di proprietà di un privato (un altro collega architetto).
A San Michele e alle Vignole sono coltivate varietà a bacca bianca, rispettivamente Malvasia, Dorona e Glera, mentre alle Vignole, Verduzzo Dorato e Trebbiano. In questo vigneto lo scorso anno sono state piantate centotrenta nuove barbatelle di uve miste a bacca bianca, un’attività seguita e gestita da un personaggio noto che fa parte dell’associazione, Gigi Miracol. Le vigne di San Michele sono le più vecchie e l’università degli studi di Padova sta portando avanti un percorso di studi per dimostrare che queste piante siano più vecchie di quello che sembrano, a causa del terreno sabbioso in cui vivono.
Il terzo vigneto di Sant’Elena è l’unico ad avere uve a bacca rossa, quali Merlot e Cabernet. Ci sarebbe anche un quarto vigneto presente alla Giudecca, ma, essendo all’interno di una casa di riposo, a causa del covid non è stato più consentito accedervi, decretando un destino non troppo felice per quel piccolo appezzamento. Tra i Vigneti di Venezia qualche anno fa è stato gestito anche un quinto vigneto nell’isola di Malamocco, da cui si produceva il vino Luviana Liberata, avendo curato e liberato la vigna dagli sterpi che la infestavano. Vigna che è stata poi ripresa in gestione dai proprietari.
La filosofia dell’associazione è quella di impattare il meno possibile in vigna e cantina, usando solo rame e zolfo se necessario e nessun agente in cantina, con fermentazioni spontanee che si innescano con lieviti presenti ormai da cinquecento anni e neanche un milligrammo di solforosa. Ad occuparsi di questi processi c’è Simone Salin, titolare dell’Osteria al Cicchetto, di Venezia. Le vinificazioni seguono la quantità delle uve, che se è sufficiente viene utilizzata l’anfora o la barrique, mentre se la produzione è scarsa si utilizza l’acciaio.
I vini prodotti sono principalmente tre, tutti blend di vigna: il “San Michele”, “Sant’è”, con uve di Sant’Elena e “Le Turgide Vignole al Vento”, nome attribuito per la posizione della vigna in una zona ventosa sulle bocche di porto. Talvolta si produce un quarto vino, il “Laguna Nord”, blend delle uve di San Michele con quelle delle Vignole. Un quinto vino è il “Bacò della Strega”, nome attribuito dall’omonima pizzeria Alla Strega, la cui pergola esterna è ricoperta da una vigna di Bacò. Quando si ha il tempo di vendemmiare queste uve, prima che inizino a cadere e sporcare i tavoli del plateatico, si riescono ad avere quaranta/cinquanta bottiglie di tale vino.
In generale i quantitativi sono molto limitati con annate record come il 2018 in cui si sono prodotte millequattrocento bottiglie e annate scarse come la 2020 in cui la produzione è stata di sole seicento bottiglie. Vino che non viene venduto, ma consumato dai soci, fatto assaggiare ai visitatori o portato in alcune piccole fiere di settore per presentare il progetto e far degustare tale lavoro.
Oggi i soci di Laguna nel Bicchiere arrivano circa a trecento a fine anno di cui uno zoccolo duro è rappresentato da una cinquantina di persone che puntualmente si adopera per le varie lavorazioni. Di anno in anno il numero degli associati varia, poiché per visitare le vigne e passare una giornata in questo ecosistema è necessario associarsi versando la quota di venti euro, che rappresenta la principale fonte di sostentamento del gruppo. “Venti euro per la visita e un’ombra de vin in compagnia”.
Lo scopo educativo è rimasto e “il vino è solo un pretesto”, poiché Laguna nel Bicchiere continua a promuovere progetti con istituti scolastici, dalle scuole materne, alle elementari e medie. Un interessante iniziativa è stata creata a partire da qualche anno fa, con un progetto quinquennale dedicato ai bambini di istituti elementari che nel primo anno si sono dedicati alla coltivazione di fiori, donati agli anziani delle case di riposo; il secondo anno alla produzione di pane e pizza con grani antichi (grazie ad un socio fornaio); il terzo anno le erbe aromatiche; in quarta al processo di produzione del vino ed in quinta dell’olio. L’associazione produce anche qualche litro d’olio, una trentina di litri se l’annata è favorevole, con gli ulivi di San Servolo, Giardini, Sant’Elena e un unico ulivo di San Michele, con i vari processi supportati e supervisionati da un’altra vecchia conoscenza, Gabriele Perenzin.
Cambiamo volto ed interlocutori, ma non lo scopo e la filosofia di salvaguardare i Vigneti di Venezia, con il team del gruppo Santa Margherita, iconica casa vinicola che affonda le proprie radici proprio in provincia di Venezia, a Portogruaro; addentrandoci alla scoperta del vigneto di San Francesco della Vigna. Un vigneto che sorge all’interno del contesto del convento di San Francesco, nato nel nono secolo da una piccola cappella che fino alla costruzione della Basilica di San Marco, è stato il luogo di custodia delle spoglie di San Marco, riportate dai Veneziani in patria, nascoste intelligentemente sotto le carcasse di alcuni maiali, animale nemmeno sfiorabile dal popolo mussulmano. Nei primi anni San Francesco della Vigna era accessibile solo dal doge e dal senato e grazie alle donazioni dei devoti e con il continuo ampliamento del culto, si ampliò la struttura, fino alla sua fondazione ufficiale nel 1254. Fin dal principio vigneto, orto e ulivi sono stati i protagonisti e nel sedicesimo secolo fu rinnovata tutta l’area, con la costruzione della chiesa, la cui facciata è stata completata da Palladio e al cui interno si trovano opere di diversi artisti, tra i quali Paolo Veronese. Nel corso dei secoli il convento francescano ha avuto solo un momento di stop, in epoca napoleonica, con le soppressioni che hanno cancellato tutti gli ordini religiosi ad eccezione dei vescovadi e del clero secolare. In questo periodo il convento è diventato un magazzino militare e si può ben dedurre che la vigna non era la priorità.
Passato lo stop napoleonico l’ordine francescano si riprese, godendo di momenti di vita florida con una media di duecento frati che vivevano e abitavano la struttura, occupandosi delle attività che fin dall’inizio della loro storia li hanno caratterizzati, come la produzione di ortaggi, grani, olio, vino, in un magazzino/cantina facente parte il monastero.
Balzando ai giorni nostri i frati si sono decimati, rimanendo meno di una decina e il vigneto, affidato a terzi negli ultimi lustri, ospitava Refosco e Teroldego (non proprio le più tipiche varietà lagunari), fino all’avvento del Gruppo Santa Margherita, che ha preso a cuore sia il vecchio Clos, sia la cappella di San Marco, iniziando un’opera di ripristino di entrambi.
Passati i due chiostri, rispettivamente del Pozzo e di San Francesco, si può trovare una porticina con la scritta “clausura”, dalla quale si può accedere alla vigna rinnovata nel 2019, allevata con alcune varietà di Glera e Malvasia.
Non una scelta casuale, né tantomeno dettata dal mercato, ma ritrovando quest’uva in un diario che i frati tengono dalla creazione del convento, il quale riporta tutti i fatti e le attività quotidiane. Grazie a Santa Margherita, che a Refrontolo ha creato, addirittura, un museo di uve Glera presente a Conegliano Valdobbiadene, con un’età superiore ai sessant’anni, sono state selezionate alcune delle varietà più resistenti e innestate con la tecnica di innesto “a doppio spacco”.
L’idea di fondo è stata quella di riprodurre un giardino vitato, con ogni singola vigna sorretta da un palo in castagno (proveniente dai boschi di Asiago), vigne allacciate ai pali con il venco, tralcio di salice utilizzato fino a qualche decina di anni fa per tale operazione. La particolare forma di allevamento che ne deriva viene detta a “vincastro” o “pastorale”, ricordando la forma del tipico bastone vescovile. L’impianto a quinconce si sviluppa in cinque micro-aree, dove sono state seminate quindici essenze di fiori tipici e selvatici che per ogni zona o annata attecchiscono in maniera diversa.
Il terreno è prevalentemente limoso e sabbioso, senza materia argillosa, e, vista la sua scarsa uniformità, alcune parti sono più alte ed altre più basse, motivo per cui, a causa dell’ “acqua granda” del 2019, alcune barbatelle non hanno attecchito, essendo rimaste “affogate” per quasi un mese.
Le lavorazioni agronomiche sono gestite da Massimiliano Luison, con l’idea di lavorare in ottica biologica e impattare quanto meno possibile sulle piante, “anche perché i frati pranzano e cenano nel cortile esterno e vivono a stretto contatto con questo ambiente”. Quest’area è comunque favorita da un clima unico, dove d’estate non è mai troppo caldo, si gode di una buona ventilazione e gli inverni non sono mai estremamente rigidi.
Le prime uve si sono raccolte nel 2022 (subito dopo la metà di agosto) e sono state trasportate via acqua, grazie alla tipica cavana che dal vigneto fa accedere direttamente alla Laguna, in terraferma, per poterle vinificare all’interno delle cantine di Santa Margherita, a Portogruaro. Oggi la base vino che si è ottenuto è in autoclave, per la precisione un innovativo sistema di autoclave che non ha un agitatore che mescola la massa, ma l’intero contenitore gira su sé stesso.
Le circa novecento bottiglie di Charmat Lungo che si otterranno saranno devolute per beneficenza o fatte assaggiare ad eventi o degustazioni in loco e non. Il nome è già noto, ma non ancora svelato. Dovremmo aspettare settembre o ottobre per svelare il mistero!
Una curiosità su questo luogo è che all’interno del convento è presente una biblioteca privata, che raccoglie le opere di molti conventi veneziani e un’opera unica al mondo, come la prima copia stampata del Corano, esibita una o due volte l’anno.
Un ringraziamento a Laguna nel Bicchiere e a Santa Margherita, agli antipodi come numeri e scopi commerciali, ma accomunate dallo scopo di salvaguardare e preservare i Vigneti di Venezia.