In compagnia di Davide Spillare, che è andato contro tutti e tutto per inseguire il suo sogno, coltivare la vigna e produrre vino di qualità
17 Aprile 2021
Solo il tempo di parcheggiare l’auto dentro al cancello della cantina di Davide Spillare e si parte alla scoperta dei vigneti, a poche centinaia di metri, scortati dal fedele cagnolino Lillo.
Davide mi accoglie tra le sue terre e mi racconta la sua storia di vignaiolo; una storia che, diversamente da altre, non ha una tradizione di famiglia, infatti quello che si può trovare ad oggi in azienda è stata una sua creazione. Mi svela che lo studio non era la sua passione principale e scelse di fare una scuola professionale, di soli tre anni. In quel periodo la scuola prevedeva di svolgere dei periodi di stage mensili, che nel suo caso si sono svolti nell’azienda La Biancara di Angiolino Maule. I periodi di lavoro in vigna e la cantina lo hanno fatto appassionare a questo mondo e, contro il volere di tutta la famiglia, ha iniziato a cimentarsi nella coltivazione della vigna e nella vinificazione, che i primi tempi veniva fatta proprio nella cantina che lo iniziò a questo mondo.
“Con il vino non si fanno soldi”, “L’agricoltura non paga”, “Cosa ti metti a fare il contadino”, erano le frasi più citate dal padre e dal nonno, quest’ultimo, soprattutto, vedeva la scelta del nipote come una pesante regressione.
La passione, la tenacia e la costanza hanno portato Davide Spillare a creare la sua azienda, da un ettaro e mezzo di proprietà della famiglia (quasi tutte le famiglie di Gambellara avevano una vigna) agli attuali dieci ettari di proprietà e due in gestione, tutti nella zona di Gambellara, dislocati tra collina e territori più bassi (tra i 150 e i 400 metri).
I vigneti sono per due terzi a tendone e per il restante terzo a spalliera, anche se il desiderio è convertire tutti gli impianti con quest’ultima tecnica di allevamento.
I terreni sono per lo più vulcanici e trovano una percentuale maggiore di argilla e terra rossa nella parte superiore delle colline, dove si sfiorano i quattrocento metri di altitudine.
Il lavoro è condotto da sempre in maniera biologica, con l’utilizzo di zolfo e rame, anche se la tendenza è quella di ricercare sempre più dei sostituti al fine di impattare il meno possibile sulle piante. Vengono utilizzati, per esempio, dei corboranti come il tannino del legno, per combattere le spore fungine, in sostituzione del rame, oppure potassio e magnesio, abbattendo i quantitativi di zolfo, soprattutto nella fase finale della maturazione dell’uva.
Sulle piante vengono lasciate circa la metà delle gemme, passando dalle dieci di media alle quattro, sei al massimo.
Tra gli appezzamenti si può scorgere anche un vigneto coltivato con vecchie vigne di garganega, con cui viene prodotto il “Vecchie Vigne”, un vino bianco macerato
Un lavoro iniziato nel 2007 con la produzione di quattromila bottiglie che ad oggi sono diventate circa quarantamila per anno, distribuite per lo più all’estero, da occidente ad oriente, passando per tutta Europa.
Un aneddoto che Davide Spillare mi racconta sul nonno è quando quest’ultimo criticò i vigneti consigliando al nipote di spingere la concimazione. Davide andò ad acquistare della risetta (ghiaia inerte e non concimante) e, dopo qualche settimana dalla sua distribuzione in vigna, il nonno esclamò “hai visto che bene che sono venute le vigne”. Un effetto placebo per imporre la mentalità e convinzione che però, per fortuna, con il passare del tempo è mutata.
Negli anni, infatti, sia il padre sia il nonno si sono ricreduti sull’attività di figlio, nipote. Il primo è attivo nelle operazioni di vigneto e cantina, mentre il nonno si è ricreduto dopo l’incontro con un importatore giapponese.
Un giorno l’importatore arrivò in azienda ed il nonno chiese chi fosse e da dove venisse quella persona, alla risposta di Davide che si trattava di un importatore di vino giapponese, il nonno stupito ha esclamato: “ma no g’ha mia vin la? G’ha da vegner torselo qua?” (ma non hanno vino lì? Devono venirlo a prendere qui?).
Un’esperienza che però ha cambiato la concezione di quanto stava facendo il nipote, facendo capire al nonno che questi prodotti di qualità venivano commercializzati anche a migliaia di chilometri dalla sua Gambellara.
Tornando in cantina, si può vedere come sia stata ricavata sotto l’abitazione; sono presenti alcune vasche in acciaio e alcune barrique e tonneau ormai esauste, con più di venti passaggi. A fine anno arriverà anche una vasca in cemento, per iniziare a sostituire quell’acciaio che tende a chiudere in riduzione i vini.
Tutti i vini vengono fatti riposare almeno quattro stagioni prima di essere messi in bottiglia, evitando l’utilizzo di solforosa.
Ci sediamo nella saletta adiacente, per assaggiare il frutto del lavoro di Davide Spillare partendo con “L1”, 2019, un rifermentato di Garganega, che ha visto la sua prima annata ufficiale nel 2015, prendendo il nome dalla vertebra lesionata nello stesso anno a causa di un incidente in trattore.
Garganega per il 90% e Durella il restante 10%, uve raccolte a piena maturazione e pigiate subito, se la giornata è fresca, oppure lasciate riposare fino alla mattina successiva, fermentazione spontanea ed imbottigliamento per la rifermentazione. Sentori di frutta gialla, fieno secco, tarassaco, una leggera nota di lavanda, vino balsamico, fresco e minerale in bocca, con un’ottima persistenza.
Passiamo al bianco “Crestan”, 2019, da uve Garganega in purezza, prende il nome dal soprannome di famiglia ai tempi del bisnonno Cristiano, in dialetto “Crestan”. Prodotto con uva di pianura e uva giovane di collina, riposa undici mesi in acciaio e introduce al mondo dei vini bianchi di Davide, dalla beva semplice e mai troppo intensa, dopo essere partito all’inizio della sua produzione con vini di più spessore, macerazioni più lunghe e alcolicità più elevate.
Un vino dai sentori di frutta, pesca principalmente, con note erbacee e ricordi tropicali, in bocca la mineralità è molto piacevole, la beva semplice, ma resta una buona persistenza.
E’ il turno del cugino “Rugoli”, 2018, dal nome della strada dove sono situate le vigne “Strada del Rugolo”, per la sua pendenza. Le uve vengono fatte macerare per una parte dai tre ai sette giorni, dipendentemente dall’annata, l’altra parte viene invece pressata e fatta affinare in acciaio. La massa d’uva macerata viene poi fatta affinare in legno e acciaio, arrivando poi ad un blend un mese prima dell’imbottigliamento.
Nel Rugoli troviamo sentori di albicocca, frutta che tende a disidratarsi, salvia, con un ottimo equilibrio e una beva delicata.
Davide mi racconta che per le operazioni di cantina “corre dietro all’anno”, ossia si comporta di conseguenza all’annata e non ha una ricetta costante per la produzione dei suoi vini. Dopo molte prove e, ahimè, anche errori, è riuscito a trovare una quadra per abbattere la solforosa, utilizzata in minime dosi e se necessaria sul mosto, ed eliminare riduzioni o volatile dai prodotti finali.
Passiamo al “Vecchie Vigne”, 2016, le cui uve macerano per almeno una settimana e concludono la fermentazione in barrique esauste, dove il vino viene affinato per circa un anno. Solo seicento bottiglie prodotte ogni anno per un vino tendente al balsamico, con sentori speziati e di frutta matura, frutta candita e il fieno bagnato. Anche in questo caso, oltre alla mineralità caratteristica e la buona sapidità, la beva equilibrata, piacevole, che non stanca il palato.
Una conclusione con il Merlot, una giardiniera e del prosciutto crudo, per accompagnare le chiacchiere con il giusto abbinamento. Un Merlot quotidiano, ospite tra la Garganega che la fa da protagonista nei territori di Gambellara. In ogni caso, fresco e piacevole, affinato in barrique esauste per undici mesi, ammorbidendolo al punto giusto, senza appesantirlo, ed enfatizzando i sentori tipici di quest’uva: ciliegie, prugne, sentori erbacei, con la mineralità infusa dai terreni vulcanici.
Un incontro con chi è andato contro i pregiudizi e le volontà della famiglia, per inseguire un sogno ed una passione.
Chapeau, e maglietta numero 29 a Davide Spillare!