Feudo Vagliasindi, assieme a Corrado Vassallo, per una “tappa bonus” con tanto di visita, degustazione e cena in compagnia
09 Luglio 2022
Tappa non prevista quella a Feudo Vagliasindi, ma grazie a Carmelo Schilirò dell’Azienda Agricola Musa, nella quale ho trascorso l’ultima notte sull’Etna, c’è stata l’occasione di conoscere Corrado nell’azienda (ri)fondata assieme al fratello, grazie ad un sogno dettato dalla passione per queste terre e per il mondo del vino.
Ci troviamo a Randazzo, nel versante nord dell’Etna, che ci ha accompagnato per tutta la sera con la sua maestosa presenza, speculare all’azienda. L’incontro con Corrado a bordo della piscina immersa tra gli ulivi non fa mancare la voglia di fare un tuffo, anche se viene subito bypassata dalla scoperta dei vigneti circostanti, un appezzamento di quattro ettari di Nerello Mascalese, Cappuccio e Carricante.
Un’avventura cominciata nel 2002 da Corrado, che oltre ad occuparsi dell’azienda dedica il suo tempo anche ad un’altra attività, e il fratello Paolo, i quali hanno deciso di rivalutare la vecchia proprietà di famiglia, dandogli una nuova vita. Un po’ per caso, un po’ per scommessa, un po’ per necessità si è cominciato a produrre qualche ettolitro di olio, dai vecchi ulivi, per poi iniziare a piantare i primi vigneti, due ettari e mezzo di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio, nel 2005, circa un 90-10% ad impianto misto. Contemporaneamente iniziarono i lavori di ristrutturazione della vecchia villa di famiglia costruita in parte nel 1865 e ampliata nel primo dopo guerra, 1926, prima del suo abbandono nel 1963, anni nei quali le campagne venivano lasciate per raggiungere miglior vita nelle città.
Ancora vivido il racconto che ha trasmesso a Corrado sua madre, quando nel 1943 i tedeschi entrarono dalla porta principale della villa sparando, senza fortunatamente colpire nessuno, ma costringendo la famiglia a scappare dalle porte posteriori. Una fortuna che si è poi ripetuta grazie alla sua trasformazione in ospedale militare, con tanto di croce sul tetto che l’ha risparmiata dai bombardamenti ango-americani, sul finire del conflitto.
Negli anni l’imponente struttura è stata usurata dal tempo e ci è voluta un’importante opera di restauro per riportarla ai fasti e rivalutarne la sua funzionalità, trasformandola in albergo, il primo di quella zona, inaugurato nel 2010, al cui interno si trovano quattordici camere e ristorante interno.
A completare gli appezzamenti vitati un secondo impianto nel 2017, con un ettaro e mezzo di Carricante tutto ad alberello. I vigneti vengono condotti nell’ottica del rispetto del disciplinare BIO, pur non dichiarandolo nelle etichette, per un tema principalmente burocratico. Oltre alle vigne si è continuata la produzione di olio, con circa cinquemila litri di Nocellara Etnea ottenuti dai millecinquecento alberi di ulivo.
Tornando a parlare di vino e vinificazioni, l’anno zero della produzione è stato il 2009 con un primo vino rosso e un secondo rosato, con uve lavorate in una cantina terza ad un paio di chilometri da Feudo Vagliasindi. Oggi si è raggiunto un target di cinque/sette mila bottiglie per anno, pur avendo una capacità di produzione maggiore, ma volendo crescere gradualmente, con l’idea di costruire una cantina di proprietà a corpo.
Il vino è da sempre stato parte della famiglia di Corrado e la testimonianza più emblematica è il Palmento sotterraneo a cui accediamo con un’enorme chiave originale dell’epoca. La struttura fa parte della prima costruzione ed è stata conservata negli anni, pur essendo la villa in decadimento.
Qui si trova ancora il vecchio torchio a vite, con un palo in castagno lungo dieci metri, di cui non si sa se sia stato portato all’interno della struttura dopo la sua costruzione o se quest’ultima sia stata costruita “attorno” alla grande trave attaccata al torchio.
Oltre al torchio si conservano ancora le botti, nelle quali arrivava il vino per gravità, grazie ad alcune canalette in pietra. Un tempo si producevano centinaia di ettolitri di vino sfuso che venivano portati al porto di riposto in provincia di Catania per poi essere trasportati a Marsiglia, in Francia e da lì inviati presso le cantine d’oltralpe per il taglio delle proprie produzioni vinicole.
La storia non si conclude qui, poiché tornando indietro di qualche migliaio di anni si può incontrare l’impero bizantino, di cui rimangono i resti di una necropoli, proprio sotto alla proprietà. I reperti archeologici ritrovati sono stati dati in custodia dalla famiglia di Corrado al comune di Randazzo, che ha costruito un museo, intitolato al nonno Paolo Vagliasindi Polizzi.
Tornati alla luce del tramonto, uno sguardo anche alla parte più moderna e recente dell’hotel, che offre una vista meravigliosa sulle campagne adiacenti e sul vulcano imperante, che ogni tanto fa sentire la sua presenza con qualche sbuffo.
A Feudo Vagliasindi è possibile incontrare più di qualche statua raffigurante una donna prosperosa, denominata Matruzza Bedda, sculture dell’artista Orazio Coco, presente proprio in quei giorni in albergo e con cui c’è stato modo di approfondire le sue opere.
E proprio qui a Feudo Vagliasindi l’artista, ispirato dal vulcano, realizzò una delle Matruzze più significative, scolpendo un blocco di pietra lavica e trasformandolo nella grande madre, nutrice, centro della vita e del cosmo. Lo stesso Orazio, scherzando, ma non troppo, racconta di donne rimaste incinte in età matura, dopo aver toccato la pancia e i seni della Matruzza, evidentemente dotata di un potere di guarire e di rendere fertili, ennesima suggestione di questo luogo magico.
Dal primo prototipo sono stare create poco meno di una ventina di esemplari di Matruzza, in vari formati, tra cui una distesa nella terrazza del ristorante, vista Etna e una, la più grande, all’interno dell’hotel.
Una tappa non prevista che si è trasformata in cena in compagnia e degustazione dei vini Feudo Vagliasindi e delle pietanze del ristorante dell’albergo.
Esordio con una bruschetta di pomodorini e basilico, bagnata dall’olio ottenuto dalle olive della varietà Nocellara Etnea, accompagnata da un calice di Etna Rosato DOC 2021 con uve di Nerello Mascalese al 90% e Nerello Cappuccio per il restante 10% che restano a contatto per qualche ora in pressa, circa sette/otto, per avere un colore rosato abbastanza intenso. L’affinamento in solo acciaio offre sentori di piccoli frutti rossi, ciliegia, ribes, note agrumate, petali di rosa, un leggero spunto speziato, per un sorso fresco, sapido, minerale e di buon corpo.
Un salto nel mondo dei rossi con il Nerello Cappuccio 2020 in purezza, il quale affina per un anno in tonneau e di cui beviamo la bottiglia 665 di 1450. Vino dai sentori di frutti rossi, ciliegia, frutti di bosco, rosa rossa, note ematiche, pepe bianco, per un palato fresco, di beva, non troppo corposo e persistente, ma con una buona mineralità e sapidità.
Approfondendo le etichette di Feudo Vagliasindi si può notare lo stemma della famiglia nella parte superiore, mentre in quella inferiore si trova l’annata dei vini racchiusa in una sorta di arcata che riprende la struttura della parte superiore della villa, decorata da questi piccoli archi.
Durante la cena altre due bottiglie, questa volta di Etna Rosso DOC rispettivamente 2019 e 2014 con uve 95% Nerello Mascalese e 5% Nerello Cappuccio. Un confronto tra due annate che fa emergere sentori ovviamente più freschi nel primo vino, con una frutta meno matura, spunti ematici, tannino vivido, i quali si trasformano in una frutta più matura, sotto spirito, con note di sottobosco, foglie bagnate, note terrose nel secondo vino. Un 2014 che mantiene comunque la sua freschezza e piacevolezza di beva, smussando le note più dure e limando il tannino, che diventa in questo caso più morbido.
Tappa non prevista, ma rivelatasi un’ottima scoperta, nella speranza si possa tornare, magari a godere anche delle stanze dell’hotel e della sua piscina!