Mario Schiopetto, assieme allo storico enologo Mauro Simeoni, tra storia, assaggi dalle vasche e delle bottiglie all’Osteria del Pompiere
01 Aprile 2022
Alla scoperta di un altro pezzetto di storia dei vini del Friuli Venezia Giulia, assieme a Mauro Simeoni che, ufficiosamente dal 2000, è entrato a far parte dell’azienda Mario Schiopetto e oggi è l’enologo che ne segue tutti i processi di cantina e parte di vigna.
Siamo a Capriva del Friuli e, pur non essendo una delle migliori giornate, iniziamo il racconto della storia dell’azienda ammirando la vista dallo storico palazzo arcivescovile che domina sui vigneti.
Una storia che comincia tra gli anni ’50 e ’60 quando Mario, figlio di un oste di Udine comincia ad appassionarsi al settore enologico, sulle orme del padre, famoso per selezionare e proporre alla mescita i migliori vini del Collio e del Colli Orientali, a quel tempo tutti sfusi e di tipologia “bianco” o “rosso”, senza troppe specifiche sui varietali.
Dopo un primo periodo nel quale aiutava i genitori nell’osteria di famiglia, Mario iniziò a fare il camionista e questo gli permise di viaggiare in quasi tutta l’Europa, specialmente tra Francia e Germania, dove cominciò ad assaggiare vini diversi, imparare nuove tecniche e toccare con mano tecnologie innovative. Quando i genitori diventarono troppo anziani per condurre l’attività subentrò il figlio e, anche a causa dell’abbandono delle campagne da parte dei contadini del posto, ci fu sempre una maggiore difficoltà a trovare del vino buono. Nel 1965 Mario Schiopetto decise di cercare alcune vigne per poter portare avanti la sua propria coltivazione e vinificazione, trovando liberi i terreni di fronte al palazzo dedicato alle vacanze estive dell’arcivescovo di Gorizia. Qui puntò subito sulla coltivazione di vigneti con più varietà, quelle tipiche del Friuli tra cui Tocai, Ribolla Gialla, Malvasia oltre al Riesling Italico, e il vino prodotto veniva quasi per la totalità imbottigliato, come già si usava in Europa, puntando sulla qualità di ogni singola bottiglia.
Il suo lavoro era focalizzato sia sulla conduzione della vigna, ma anche nell’applicare la massima tecnologia che quel periodo poteva offrire, con l’aiuto delle temperature controllate, l’uso dell’acciaio e l’introduzione di una moderna pressa tedesca, per permettere una pressatura soffice. All’inizio “i vicini di casa” videro con diffidenza la produzione di questi vini così moderni, pensando che il produttore adottasse qualche strana alchimia in cantina, ma subito dopo si avvicinarono alla filosofia di Mario, il quale promuoveva l’idea di fare rete per poter far crescere quel Friuli che un tempo era “il serbatoio del vicino Veneto”. La disponibilità di condivisione delle idee per allargare la base produttiva del Collio fu sicuramente un’idea vincente per promuoverne cultura e qualità dei vini prodotti. Uno dei suoi stratagemmi iniziali di vendita fu quello di prendere l’elenco telefonico e contattare persone facoltose in diverse zone del nord Italia, per proporre i propri vini, che spesso consegnava direttamente, così da poter far conoscere il proprio marchio e qualità, creando una rete prima di privati e poi di ristoratori che avevano la richiesta dai propri clienti i quali volevano bere i vini Mario Schiopetto.
Nel 1989 venne acquistato il palazzo e i vigneti circostanti che ancora oggi conta diciassette ettari di uva bianca sul Collio, a Capriva, quattro ettari a Cormons e otto ettari a Manzano. Nel 1992 è stata terminata la nuova cantina e nel 1997 sono entrati in azienda anche i figli. Nel 2003 Mario Schiopetto ci ha lasciati e undici anni dopo la proprietà è stata venduta alla famiglia Rotolo, titolare di un’altra azienda in Friuli Venezia Giulia, che ne mantiene la filosofia e le idee originarie nella conduzione e produzione.
Le vigne oggi contano un’età che varia dai trenta ai sessant’anni, con alcuni nuovi appezzamenti e, già dagli anni ’90, era stata capita l’importanza di adottare una miglior conduzione possibile delle piante con potature gestite in maniera ancora sperimentale da quello che oggi è diventato uno dei più famosi potatori italiani. In un territorio dove ogni anno cadono mille/milleduecento millimetri di pioggia i trattamenti seguono delle logiche integrate, con alcune prove di sola conduzione biologica, dipendentemente dalle stagioni. I terreni sono diversificati e in quelli dove prevale la ponca e una maggior areazione si è assolutamente agevolati.
Le rese medie sono di circa cinquanta/sessanta quintali ettaro e lo scopo è quello di ottenere vini freschi da vigne vigorose, evitando anche per questo motivo l’uso eccessivo del rame, che rallenta la vegetazione. Si adotta, inoltre, un lavoro a filare alterno con alcune semine, se necessario e se vi è il tempo di effettuarle, in piena vendemmia, tra settembre ed ottobre.
Per accedere alla cantina non si può non notare lo stemma che rappresenta dal lato sinistro la città di Udine, a destra la città di Gorizia, contornate dall’uva rossa e l’uva a bacca bianca.
Entrando in cantina predomina l’acciaio e si può notare la pressa soffice, dello stesso modello e marca di quella introdotta da Mario Schiopetto agli albori delle sue vinificazioni. In una stanza adiacente sono contenute delle vasche più piccole dove vengono preparati i pied de cuve, per far partire le fermentazioni dei vini, una delle innovazioni portate da Mario, oltre ad aver introdotto le vasche con una fessura di vetro per vedere il livello di decantazione del vino e un sistema di valvole per “pescare” la parte pulita del vino, diventate oggi una consuetudine.
La filosofia è quella di ottenere vini freschi e di beva, frutto di fermentazioni a temperatura controllata e limitato uso di solforosa nel primo travaso, per impedire l’eventuale fermentazione malolattica. Per i bianchi l’affinamento avviene tutto in acciaio, mentre per gli unici due rossi si utilizzano barrique e tonneau usati.
Le bottiglie prodotte ogni anno sono circa centottanta/duecento mila, mantenendo due diverse linee: la Linea Pompiere, che richiama la vecchia osteria di famiglia in centro ad Udine, situata proprio davanti alla caserma dei pompieri, con vini più giovani e freschi, imbottigliati tra febbraio e marzo successivi alla vendemmia. La seconda linea è quella che porta l’etichetta gialla, lo stemma aziendale e il nome Schiopetto.
Essendo in cantina e con l’enologo la cosa più divertente è quella di assaggiare i vini dalle vasche, partendo da una Ribolla Gialla, vendemmia 2021, dai sentori agrumati, di buccia di limone, ananas, note erbacee dalla beva fresca e verticale, in cui emergono acidità e buona sapidità tipica del territorio. Passiamo poi al Pinot Bianco 2021 in cui svetta la pera sia al naso sia in bocca, ma anche una mela verde e dell’erba appena tagliata, caratteristiche che diventano più equilibrate nel 2020 dove spunta anche una pesca e dei fiori bianchi, la pera si fa più matura e vi è anche una tendenza alla pietra bagnata. Il secondo è indubbiamente più pronto, ma in entrambi sono ben percepibili mineralità, sapidità, freschezza e una buona spalla acida.
Passiamo poi al Friulano 2021 dove i profumi sono più timidi, con qualche nota di frutta più matura, camomilla, frutta secca, vino più esile al naso e comunque pieno in bocca, l’acidità viene meno ed emerge ancor di più la sapidità.
Infine la Malvasia 2021 dalle sue note di erbe aromatiche, officinali, frutta fresca per una buona beva, caratterizzata dalla “grassezza” infusa sia dalla varietà sia dal territorio.
Dopo aver consegnato la maglietta numero 159 a Mauro e aver visto gli ultimi ambienti della cantina, quali il laboratorio delle analisi e la linea di imbottigliamento, per assaggiare alcune bottiglie di Mario Schiopetto, esploriamo la vicina Osteria che ha ripreso lo storico nome “Al Pompiere”.
Ad accogliermi è Elena, compaesana della provincia di Venezia, con cui assaggiamo una Malvasia 2020 e un Friulano 2019. Il primo vino si presenta con note di frutta gialla, pesca, erbe aromatiche ed officinali, delicati fiori bianchi, per un palato pieno, “grasso” e al contempo fine, verticale con una discreta persistenza, minerale e di buona sapidità.
Il Friulano esprime buone note di frutta matura, albicocca, erbe aromatiche, salvia, ma anche ginestra e spunti di frutta secca. L’acidità si smussa, ma prevale, come già appurato dagli assaggi delle vasche, una marcata nota sapida, minerale, pieno in bocca e più persistente del precedente.
In attesa di provare i piatti freddi tipici del territorio, proposti dall’osteria, un saluto ad Elena!