Moussé Fils, assieme a Cedric per scoprire la storia di questa realtà, nata da un piccolo scantinato a Cuisles
23 Aprile 2022
La penultima tappa in Champagne si apre tra i vigneti del giovane Cedric Moussé, che rappresenta la dodicesima generazione dell’azienda Moussé Fils. Siamo nel piccolo paesino di Cuisles, nella Vallée de la Marne e la scoperta di questa realtà comincia dal vigneto più vicino alla cantina, situato in una collina parallela allo scorrimento del, poco distante, fiume Marna.
Gli ettari vitati sono più di venti, di cui un ettaro e ottomila metri sono quelli ricevuti in eredità dal padre, altri cinque ettari e quattromila metri sono appartenenti alla famiglia e i rimanenti sedici ettari sono gestiti da Cedric e il suo team, pur essendo di proprietà di terze persone, da cui poi “acquista” le uve. Essendo divisi in settantotto particelle, possiamo trovare diverse tipologie di terreno, con più o meno materia organica e argilla che nascondono il tipico gesso e una leggera diversità tra le parti più alte delle colline e il fondo valle.
La particolarità del terreno del 90% degli ettari gestiti da Cedric è quella di caratterizzarsi per una sorta di argilla dal colore verde, chiamata “Illite”, un misto di ferro ossidato e magnesio, che infonde una leggera nota amarotica al vino.
Tutti i terreni vitati acquisiti e gestiti sono stati negli anni uniformati ad una lavorazione il più sostenibile possibile, con una tendenza che sta sempre più sposando la strada della biodinamica utilizzando i vari composti tra cui 500, 501, 507 (composto di valeriana), oltre al supporto di rame, zolfo e oli essenziali. L’azienda Moussé Fils è distante dalle certificazioni e sempre all’avanguardia nel capire nuove tecniche per rendere più resistenti possibili le viti, come con la stimolazione delle difese tramite ultravioletti attraverso un macchinario elettrico che ne infonde questi raggi. Da tre anni sono state adottate circa settanta galline che lavorano le vigne nel periodo primaverile, tra marzo e giugno, oltre a tenere distanti insetti e altri animali, come i bruchi, capaci di distruggere due vigneti in una sola notte. A supporto delle galline anche alcune pecore nere bretoni, in opera d’inverno e fino al periodo di gemmazione delle vigne, evitando così di perdere le gemme, mangiate dai ghiotti animali.
L’uva più coltivata è il Pinot Meunier, che copre l’85% degli ettari vitati, in seconda posizione il Pinot Nero con un 12% ed infine, con soli due piccoli appezzamenti lo Chardonnay.
Per parlare della storia di questa azienda ci spostiamo nel centro del paesino, nella via dedicata al bisnonno Eugene Moussé dove si trova la vecchia casa di famiglia. La data a cui si fa riferimento per decretare l’inizio dell’attività vitivinicola è il 1629, ma l’azienda Moussé Fils per come la troviamo oggi può trovare le sue origini nel 1923 quando passò in mano ad Eugene che cominciò a produrre le prime bottiglie, che portava periodicamente alla stazione dei treni di Epernay a bordo del suo cavallo Mona.
Nella capitale conobbe un americano che si occupava di catering e questo diventò il suo primo cliente, nel 1926, e con lui continuò questa collaborazione fino all’avvenire della seconda guerra mondiale, quando Eugene fu portato in campo di concentramento con suo figlio Edmond, il solo a far ritorno a casa.
Nella grande casa famigliare (che Cedric svela potrebbe nel futuro diventare una struttura ricettiva) c’è ancora la piccola cantina “dove tutto ha preso forma” e qui sono ancora conservate alcune vecchie annate. Delle quattro bottiglie rimaste del 1989 (il mio anno) ne preleviamo una, destinata ad essere sboccata a la volè, durante la degustazione.
Dopo Edmond anche il papà Jean Marc tra gli anni settanta e novanta portò avanti l’attività ed infine l’ingresso di Cedric in azienda, il quale ha cominciato pian piano a svoltare la conduzione ribaltando quella via “più classica” di gestione del padre. “Non capivo perché dovevo andare a scuola, invece che stare a lavorare in campagna e cantina”. Queste le parole del giovane viticoltore, prima di raccontarmi che ha comunque terminato gli studi in enologia e viticultura, nel 2000, anche se caratterizzati, secondo lui, dal troppo utilizzo di chimica, già ben poco apprezzata da lui.
Un saluto alle pecore bretoni per poi andare ad esplorare la cantina, vicina all’abitazione di Cedric, dove vive con la moglie e i quattro figli. Prima di entrare uno sguardo al pozzo esterno, da cui viene recuperata l’acqua per le lavorazioni di cantina; mentre alzando lo sguardo sul tetto dell’edificio, oltre ai pannelli solari, si vedono alcune damigiane del tipico vino liquoroso Ratafià, distanti dalle mani di possibili ladri, frequenti nella zona, principalmente per i furti delle preziose bottiglie di Champagne.
La cantina è molto moderna, di recente costruzione e al suo interno si possono trovare due presse e diverse tipologie di contenitori, dall’acciaio, ben isolato a terra, a vasi più sperimentali, dalle diverse forme.
Le vinificazioni si effettuano isolando le uve di ogni appezzamento e lo scopo delle lavorazioni è quello di ottenere un vino “senza maschere”, che possono essere dettate dalle ossidazioni, dall’uso eccessivo del legno, riduzioni o solforosa. Per limitare l’utilizzo di solforosa, per tutto il processo di fermentazione viene aggiunta anidride carbonica e, sempre parlando di solforosa, quella che viene usata, viene lavorata da Cedric in persona, ricavata da cave vulcaniche e trasformata tramite un apposito macchinario. La fermentazione avviene tramite l’utilizzo di lieviti selezionati, che hanno la capacità di non produrre anidride solforosa, individuati in seguito a diverse sperimentazioni e tentativi.
In una seconda stanza sono contenute due vasche da cento ettolitri al cui interno riposa la Reserve Perpétuelle, dal 2003 a cui ogni anno si addizionano sei grammi di zucchero per ogni litro di vino e si ottiene l’effetto di una grande bottiglia nella quale riposa la base spumante che di anno in anno viene messa in bottiglia, con il vino della nuova vendemmia.
Il legno, considerato una “maschera” del vino è poco utilizzato e tutte le basi che danno vita a vini bianchi sono fatte riposare in soli contenitori di acciaio.
Da sottolineare che la stessa ottica di sostenibilità dei vigneti viene ripresa in cantina, con l’utilizzo di bottiglie e zucchero locali, investendo nel territorio francese, pur con la consapevolezza di costi maggiori.
Dopo aver esplorato i vari spazi della cantina Moussé Fils è il momento degli assaggi, nella nuova sala degustazioni, la cui porta di accesso si apre come una navicella spaziale, alla Star Trek.
Cominciamo con il “Les Vignes de Mon Village”, che, come anticipa il nome è prodotto con le uve del villaggio di Cuisles, tutte Pinot Meunier, con circa due/tre anni di affinamento sui lieviti. Una “petit reserve perpétuelle” dal 2014 al 2018 che al naso presenta note agrumate e tenui spunti di ciliegia, con una nota polverosa e una fumè che si fanno spazio. Tutti i vini Moussé Fils assaggiati sono caratterizzati da una bolla fine, precisione di gusto, verticalità e in questo caso l’acidità e la mineralità si fanno sentire.
Passiamo all’appena sboccato, dopo un anno sui lieviti, “L’Or d’Eugene”, dedicato al bisnonno, da uve 80% Pinot Meunier e 20% Pinot Nero, provenienti dalle vendemmie comprese tra il 2003 ed il 2020. Un vino ancora giovane e fresco, dagli spunti di piccoli frutti rossi in contrasto con note vegetali e tocchi floreali.
Un assaggio anche di una delle duemila bottiglie prodotte (se l’annata è buona) di “Anecdote” del millesimo 2018, 100% Chardonnay, ottenuto dai pochi appezzamenti allevati a questa tipologia di uva. Dopo tre anni di affinamento sui lieviti e la sboccatura, esprime note fruttate, spunti tropicali, una parte agrumata. Più avvolgente e meno teso dei precedenti, attenuato nell’acidità e con una punta leggermente amara nella parte finale.
Le etichette dell’azienda Moussé Fils sono per lo più bianche e riportano come simbolo una vecchia vigna di Pinot Meunier.
Il quarto assaggio è di “Terres d’Illite”, anche questo vino millesimo 2018, il quale presenta la stessa percentuale di uve del vino dedicato ad Eugene. Il nome proviene da quella terra descritta precedentemente, dal colore verde, che ne infonde quella caratteristica leggermente amarognola nella fase finale del palato. Anche in questo caso si tratta di un 80% Pinot Meunier e un 20% Pinot Nero.
Parlando di annata 2018 non è quella che più ha soddisfatto il produttore poiché c’è stata una copiosità di uve, troppe per rispecchiare quella finezza qualitativa di altre annate, meno generose, ma con una qualità maggiore.
Nel vino successivo l’etichetta cambia e si colora di blu per una bottiglia di Meunier 100%, millesimo 2017, “Les Fortes Terres”. Vino dalle note di ciliegia, ma anche agrumi e una beva più “piena” dei precedenti, pur mantenendo una buona delicatezza, acidità e buona persistenza. Una curiosità è che sull’etichetta che ricopre il collo della bottiglia è presente la scritta “Special Club”, in ricordo di un’associazione di amanti dello Champagne nata nel 1971.
Passiamo ai Rosè con un 82% Pinot Meunier e 18% Pinot Nero, “L’Or d’Eugene” Rosè e il secondo 100% Pinot Meunier del millesimo 2018, “Infusion de Meunier, Les Bouts de la Ville”. Vini dai sentori più accentuati di ciliegia e piccoli frutti rossi più delicati nel primo e accentuati nel secondo, in cui emergono anche spunti di rosa rossa e note ematiche.
Entrambi si adattano all’abbinamento con della carne alla griglia cucinata da un assistente di Cedric, forse trovando più equilibrio con il 100% Meunier.
Ad oggi le bottiglie prodotte sono circa centocinquemila per anno, ma si vuole arrivare ad un target di centocinquantamila nei prossimi anni.
E’ il momento più atteso della giornata, la sboccatura dello Champagne 1989 e, per fare questa operazione, ci rechiamo al piano inferiore, dove sorge una parte di archivio storico e la cantina privata di Cedric. Sboccatura a la volè e assaggio di questa bottiglia, prodotta ancora dal padre Jean-Marc. Bolla presente, acidità anche, mineralità pure e buona persistenza, per un vino che subito sprigiona note di frutta secca, spunti tostati, miele. Impressionante il suo mantenimento negli anni e la sua freschezza che regala ancora oggi.
La giornata non è ancora conclusa e per finirla al meglio Cedric propone un assaggio di Ratafià, Moussè Fils in abbinamento con un crostino, con sopra un formaggio appena riscaldato, che avvolge il pezzo di pane. Conclusione perfetta con un vino liquoroso “dolce non dolce” dalle note di frutta candita, fichi, datteri, miele, note balsamiche e quasi incensate, che ben accompagna il formaggio, lasciando un palato pulito, grazie alla sua ricca freschezza ed acidità.
Visita alle vigne, visita nella cantina originaria, a quella più nuova e moderna, degustazione, pranzo, sboccatura di una vecchia annata, Ratafià e formaggio, che volere di più in una giornata di Champagne?