Assieme all’ingegnere aerospaziale Stephane Regnault nell’azienda che porta il nome del padre Patrick, a Le Mesnil-sur-Oger
22 Aprile 2022
Nel paesino di Le Mesnil-sur-Oger, all’interno della Côte des Blancs si trova la piccola azienda di Stephane Regnault che, dal 2014, ha iniziato a produrre il proprio Champagne. La viticoltura è una tradizione di famiglia ed il padre Patrick fino al 2008 coltivava la vigna e produceva l’uva da conferire alle cooperative, senza cimentarsi negli imbottigliamenti.
Stephane proviene da tutt’altro settore, essendosi laureato in ingegneria aerospaziale e lavorando “nella vita precedente” nel settore della missilistica. La volontà di cambiare vita e il fascino per il mestiere del vignaiolo lo portarono a cimentarsi negli studi ad Avize, per poter iniziare, prima a cooperare con il padre e poi a prendere in mano l’attività di famiglia. La base di partenza era quasi nulla, se non per qualche esperienza di vendemmia o sfogliatura, ma con molta pratica, dedizione e la condivisione con altri giovani vignaioli si sono via via affinate sia le tecniche in vigna, sia in cantina, oltre alla parte commerciale, di comunicazione e burocratica.
Stephane confida che, il primo anno che si è cimentato in questa missione, voleva fare pratica nella produzione di vino, mentre dal secondo ha cominciato a creare il suo brand, con un’identità anche nelle etichette (che poi approfondiremo) e dal terzo c’è stato un maggior investimento sulla tipicità di un prodotto proveniente da un determinato territorio della Champagne: Le Mesnil-sur-Oger.
Gli ettari oggi sono quattro, principalmente nella zona di Les Mesnil-sur-Oger, con una conduzione che si è trasformata da quella più convenzionale del padre, ad un lavoro sostenibile, diminuendo negli anni tutti i prodotti chimici. “I consulenti che ti consigliano questi prodotti, sono quelli che te li vendono; non capisco perché le aziende li debbano usare”. Sia dimezzandone sia dividendone per tre l’utilizzo si è verificato che si ottengono gli stessi risultati. Nel 2012 la conduzione è stata del tutto biologica, ma, essendo un’annata poco favorevole, molta della produzione è andata perduta. Un’esperienza che ha fatto capire che è necessario interpretare il decorso della natura, al fine di poter adottare le giuste metodologie ed interventi in base all’annata. Solo tre appezzamenti sono condotti oggi in maniera del tutto biologica, mentre nel resto si applica il concetto di sostenibilità. Vengono riprese alcune tecniche della biodinamica, sia con il sovescio, sia con l’utilizzo di tisane ed infusi che giovano la vigna.
I terreni sono variabili, ma a farla da padrone è il sottosuolo gessoso, principalmente nelle parti più alte, dove la terra è materia rara.
Stephane Regnault produce solo Chardonnay ed il primo vino assaggiato è Chromatique, della prima annata in cui è stato prodotto, 2018, con vino riserva per il 25% e un affinamento della base per metà in acciaio e per l’altra metà in legno. Vino dai sentori freschi, di mela, fiori bianchi, spunti burrosi, con un’ottima beva, fine, elegante e ben equilibrato.
Il secondo vino Stephane Regnault è Lydien n° 45 con un 80% di vino del 2016 e il restante 20% delle annate 2014 e 2015. In realtà il clone con cui si produce Lydien è denominato “Chardonnay Muscat”. Champagne dai sentori più pieni e maturi, con note tropicali, di ananas, mela golden, pasticceria, spunti agrumati e burrosi. In bocca è avvolgente, con un buon tocco minerale e discreta acidità, fine e più persistente del precedente.
Una curiosità sui numeri posti a fianco dei nomi dei vini: questi rappresentano la somma delle annate dei vini base, per esempio 45 è il totale della somma di 14+15+16.
Parlando di vinificazione, le uve oggi vengono raccolte e pressate da un amico, utilizzando un minimo di solforosa, se necessaria. Le fermentazioni, in acciaio, partono spontaneamente e il vino base si lascia sui propri lieviti fini, così da essere protetto da eventuali ossidazioni, fino all’imbottigliamento, che mediamente avviene nel mese di giugno. Eventuali fermentazioni malolattiche non vengono inibite ed il vino viene imbottigliato con l’aggiunta di zuccheri e lieviti, in questo caso selezionati, per poter rifermentare. Il riposo in bottiglia spazia dai tre ai cinque anni, per poi procedere alla sboccatura.
Passiamo poi al Mixolydien n° 29, che dal numero si evince essere un blend di uve Chardonnay delle annate ’14 e ’15. I sentori si spostano nella frutta più matura, frutta secca, note di crosta di pane, con una maggiore spalla acida, minerale e ben persistente. Tutti i vini prodotti da Stephane Regnault hanno una costante bolla fine e buona eleganza.
Le etichette, create in collaborazione con una ragazza di Parigi, richiamano, oltre agli spunti legati allo spazio e alla ex-professione di Stephane, note e spartiti di musica jazz, altra passione del produttore. Queste vengono modificate ogni anno, per ricalcare il concetto musicale delle scale, con la filosofia di ottenere un risultato differente in modi ed interpretazioni diverse, proprio come uno stesso vino che proviene da diversi territori e da annate con caratteristiche uniche. Lo spartito di base (le righe in sottofondo) resta sempre uguale, ma cambiano le note/pianeti a seconda dell’annata, del blend, del territorio o della vinificazione.
Delle circa diciassettemila bottiglie totali prodotte per anno, la quarta bolla degustata è di Dorien n° 29, stesso blend del precedente, con una parte di vino base che affina in acciaio e una in legno. Qui emergono sentori più evoluti, con note tostate, burrose, di pasticceria, per un palato minerale, meno acidità e buona persistenza.
La conclusione senza bolla, con il Coteaux Champenoise Blanc, Dorien n° 19, uno Chardonnay dell’annata 2019, affinato per un anno in legno. Qui i sentori agrumati e tropicali si mescolano alle note di vaniglia e burro tipici del legno, con un’elevata acidità al palato e un equilibrio che, a mio avviso, sarà trovato negli anni.
Dopo gli assaggi uno sguardo anche alla cantina, che piano piano sta prendendo una forma sempre più definita, con botti di diversa misura e le varie attrezzature, tranne la pressa, obiettivo di acquisto per il prossimo anno. Per il futuro le ambizioni sono molte, tra sperimentazioni, riduzione della solforosa, gestione del vino per gravità e, a lungo termine (dieci/quindici anni), aprire una fattoria didattica composta sia da vigneti, sia da campagne, ma anche animali.
Con l’augurio di poter tornare a vedere tutti gli obiettivi realizzati, un saluto a Stephane Regnault.