Attilio Scienza: una vita dedicata al vino come Vignaiolo, Ricercatore, Professore, Visionario…Scienza di nome e di fatto!
La visita dello scorso settembre presso l’azienda Guado al Melo e la lettura del libro “La Stirpe del Vino” mi portano ad incuriosirmi sulla persona di Attilio Scienza.
Volendo scoprire di più sul suo conto, decido di contattarlo telefonicamente e, con grande disponibilità, accetta il mio invito ad una “chiacchierata virtuale”!
La sua storia non si può certo riassumere nelle poche righe di un articolo, ma negli episodi salienti che Attilio Scienza mi racconta si possono individuare le principali tappe e l’evoluzione della sua attività nel mondo del vino.
Genovese di nascita, fin da bambino ha coltivato una grande passione per la natura e il mondo degli animali, tanto che i genitori, assecondando questa propensione, lo hanno invitato ad intraprendere studi agrari.
La sua è una famiglia trentina, residente ai confini con la provincia veronese, che da sempre ha prodotto uva da conferire alla cantina sociale.
Il vino è sempre stato nel suo DNA, anche se limitarsi alla sola produzione non è mai stata un’idea plausibile per Attilio.
Dopo la laurea con lode in agraria nel 1969, negli anni delle grosse contestazioni e tumulti studenteschi, presso la Cattolica di Piacenza, le opportunità di una carriera universitaria si presentano fin da subito.
Una borsa di studio in viticoltura prima, per poi proseguire come assistente alla docenza, fino alla vittoria di un concorso per diventare professore ordinario di viticoltura a Milano. L’impegno delle docenze è stato portato avanti parallelamente alla gestione della cantina famigliare, degli ormai anziani genitori.
La produzione del vino permetteva ad Attilio Scienza di viaggiare, conoscere persone nuove, comunicare, condividere, sia in Italia sia nel resto del Mondo.
Negli anni ’80 è approdato come direttore generale all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, dove ha gestito la scuola e l’attività di ricerca con i suoi 350 dipendenti per otto anni prima di ritornare all’Università di Milano come docente di viticoltura.
Nel tempo, i suoi interessi legati al mondo del vino sono cambiati molto. Agli inizi erano più orientati verso una ricerca attiva sullo stress idrico, le specie di vite più tolleranti e i fattori di maturazione e invecchiamento delle piante, studi che lo hanno portato a viaggiare molto tra Europa e America; una passione, quella per il viaggio, che viene citata più volte durante la nostra chiacchierata.
Un’evoluzione della ricerca ha visto l’imporsi dell’interesse sulla genetica, tra le selezioni, i vari cloni e il recupero delle vecchie varietà autoctone: un mondo infinito fatto di varietà che si estendono dal Trentino alla Sicilia, solo per parlare dell’Italia.
Una ricerca che si è intrecciata nel 1985 con il focus sui nuovi porta innesti (M1, M2, M3, M4) favorevoli al cambio climatico per la tolleranza alla siccità, per integrare quelli attualmente in uso, ed autorizzati dal MIPAAF alla coltivazione nel 2014.
Nell’ultimo ventennio, le conoscenze sul genoma della vite portate avanti da Attilio Scienza, al fine di risalire all’origine remota delle varietà coltivate, sono state supportate dal contributo dell’antropologia, con l’obiettivo di poter ricostruire la storia e il pedigree delle piante, non solo dal punto di vista genetico, ma storico. “Non si può ricostruire la storia di una varietà solo dal DNA, ma è necessario approfondire il suo ambiente culturale e l’utilizzo che ne è stato fatto negli anni”.
Ed ecco che intervengono altre discipline, come la letteratura, la storia, o più semplicemente il mito e i racconti: un rapporto interattivo tra storia e cultura per approfondire l’analisi antropologica della vite e del suo passato, senza fermarsi all’ approccio molecolare imposto dalla genetica.
Un cammino per dare degli indizi alle persone di che cosa c’è dietro alla varietà, un risultato di un cammino molto lungo dal neolitico all’addomesticazione della pianta, che si può trovare parzialmente nel libro “La Stirpe del Vino”.
Un esempio di ricerca che si sta portando avanti è quella in Montenegro, dove sono presenti moltissime varietà coltivate per fare vino e numerose viti selvatiche che non hanno una configurazione storico-genetica ben precisa. Questo a sottolineare il fatto che il percorso iniziato da Attilio Scienza è un cantiere aperto e in continua evoluzione.
Il racconto della vigna è una cosa complessa e non può limitarsi ed essere verticale solo in una sfaccettatura, ma deve includere conoscenze letterali, culturali, storiche, climatiche, ambientali, genetiche, partendo dalle origini per arrivare al nettare che si beve in bottiglia, con una visione olistica.
Non è banale interpretare il vino in questo senso e la ricerca alla base deve essere completa per dare una visione di uno storytelling accurato e minuzioso.
Ed è proprio in questa circostanza che Attilio cita il ruolo dell’eroe, un eroe che per raccontare il mondo del vino deve guidare il pubblico alla scoperta intrinseca di esso, facendo sentire il fruitore finale, il consumatore, l’eroe stesso di un viaggio enologico.
L’eroe è sempre stato un modello, fin da bambini con i fumetti, per poi passare a quell’Ulisse di cui si racconta nell’Odissea ed è a questo punto che ritorna il concetto di viaggio.
Piccola parentesi parlando di Ulisse, l’eroe mitologico che scappa da Troia incendiata e cerca di tornare a casa; in ogni località dove si è fermato Ulisse, descritta da Omero, ci sono stati ritrovamenti di resti di vinificazioni, ceramiche raffiguranti vari processi del vino ed empori atti alla commercializzazione di questo.
Nel viaggio tocchiamo la letteratura associando il vino al meccanismo della sinestesia di Proust, con quella Madeleine che evoca un ricordo, una sensazione, e qui il profumo o il sorso può evocare un momento della vita ed essere il motore per farlo riaffiorare, riempiendosi magari di gioia ed emozioni positive.
In quest’ottica di approccio interdisciplinare del mondo del vino, cito la psicologia ed Attilio coglie subito lo spunto per balzare anche sul mito, il mito di Dioniso che muore e risorge come il vino, pigiato e risorto durante la fermentazione per essere poi consumato in bottiglia. Un consumo legato all’estasi dionisiaca; fin dall’antica Grecia un elemento fondamentale per la socializzazione, le celebrazioni e quell’agorà che tanto rimpiangiamo di questi tempi.
I Greci che venivano in Occidente lo portavano come strumento culturale, una droga sociale imposta anche alle popolazioni che conquistavano!
Siamo sfociati in un intreccio tra mito, psicologia e filosofia, con una sostanza di cui non bisogna abusare, ma che può essere il collante per creare e coltivare relazioni umane.
Tornando all’esperienza e alla filosofia che ha caratterizzato l’operato di Attilio Scienza troviamo principalmente la curiosità e la condivisione, due elementi fondamentali per mantenere accesa la scintilla della passione.
Una condivisione soprattutto con i giovani, la voglia di tramandare quanto fatto in questi anni di ricerca per non interrompere una catena, ma al fine di riuscire a dare continuità ad un lavoro che è di continua scoperta.
Parlando di futuro, certo è da dire che il Covid ha cambiato molte carte in tavola e le poche certezze che si avevano sui modi di produrre e sui consumi; si sono sviluppati, infatti, nuovi canali comunicativi, che però non devono sostituire quelli più classici e di relazione personale.
Un commercio diverso e dettato anche da una nomenclatura talvolta fuorviante o fraintendibile ed è in questo frangente che ci imbarchiamo nelle tematiche del vino naturale, biologico, biodinamico.
Nel mondo c’è bisogno di sostenibilità, cosa da non confondere con il biologico, biodinamico e naturale. È proprio su questo ultimo termine che il divario filosofico porta l’attenzione: Aristotele diceva che tutto proviene dalla natura, mentre Platone sosteneva che è l’uomo a dare la natura alle cose.
Una diatriba che fa alzare il focus ad un livello più alto, per parlare delle risorse e dell’utilizzo che ne facciamo: l’aria, l’acqua, la terra si sono trasformati in parametri nella cultura che ci appartiene. Ma non è pur vero che la cultura di New York è diversa da quella del piccolo villaggio in Amazzonia? A questo punto la sostenibilità cambia e diventa un concetto immateriale che dipende dall’antropologia e dalla provenienza di ognuno. A New York è sostenibile perché c’è il marchio “BIO”, mentre in Amazzonia dove si coltiva, si caccia, si pesca e si vive di ciò che la natura offre, cos’è la sostenibilità e la naturalezza delle cose?
Tornando al mondo del vino, sicuramente l’economia fa diventare il biologico o il naturale prodotti percepiti come migliori perché aumentano la domanda e i costi, ma è necessario scavare più a fondo per capire il vero meccanismo della natura e il vero percorso che una materia prima ha fatto.
Secondo Attilio Scienza, sarebbe più indicato realizzare una viticoltura singolare in funzione del luogo in cui la si pratica, senza cadere in una viticoltura artificiale e poco sostenibile, con l’utilizzo di agenti esterni solo per incrementare la quantità di produzione. Non bisogna fare l’errore di piantare Glera ovunque o l’errore dei veneziani con la Malvasia, entrambi dettati dal mero aspetto commerciale.
Parentesi: la malattia del denaro dei veneziani, che hanno conquistato il Mediterraneo (tra cui l’isola di Momenvasia) portando nella madre terra il gustoso nettare, ha fatto sì che alla perdita di questi terreni, a causa delle conquiste Turche, ci fosse una carenza di Malvasia con una richiesta non soddisfatta. A questo punto i commercianti veneziani hanno piantato Malvasia un po’ dappertutto nel Bel Paese, facendo diventare questo vino un prodotto come molti altri, a discapito della territorialità e, per soddisfare una richiesta commerciale, oggi ci troviamo con più di trentotto vitigni con lo stesso nome nella fascia adriatica, i quali non hanno tra loro alcuna parentela.
Questo non è assolutamente un modello da ripetere, il vino tipico di un posto può solo diventare una brutta copia di questo se fatto in un territorio diverso e magari poco favorevole.
La rigidità dei protocolli e dei disciplinari ha imposto un dictact, un dovere nel fare un prodotto e la voglia di ribellione sta facendo uscire diversi vignaioli dai canoni della viticultura codificata.
Il malcontento sta generando avanguardie rivoltose che sposano correnti come il ritorno ai rifermentati, alle macerazioni, al non utilizzo di solfiti, alle tecniche biodinamiche, solo per fare alcuni esempi.
Concludiamo la chiacchierata parlando di comunicazione e social network. I social sono visti da Attilio come “un pettegolezzo continuo”; riconosce che possono essere una forma di comunicazione per persone che non si improvvisano, ma decide comunque di rimanerne distante, “favorito” dall’età!
Ci sono sicuramente spazi di attività importanti in questo campo e la comunicazione è un elemento fondamentale, ma Attilio sostiene che è molto più bello avere un pezzo di terra e creare un prodotto.
Sicuramente senza la parte creativa questo non si venderebbe e visto che la comunicazione è occupata colma di cose banali e di poco valore, sarebbe necessario creare qualcosa di innovativo con comunicatori di qualità che abbiano voglia di dar valore alla scrittura, sia digitale, ma dando peso al mondo cartaceo purtroppo trascurato ed abbandonato.
Nello storytelling non si devono inventare storielle per accattivare il pubblico, ma fare divulgazione di storie, viaggi di conoscenza del mondo enoico con umiltà, trasparenza, curiosità e passione.
L’Italia dovrebbe sfruttare di più i canali internazionali poiché il consumatore non è solo nella Penisola, ma in tutto il Mondo e anche in questo caso non presenziamo ancora abbastanza.
Per me, un onore poter chiacchierare con una persona del calibro di Attilio Scienza, una fonte di apprendimento con un bagaglio impressionante di storia del mondo enologico.
La promessa è quella di condividere una bottiglia quanto prima!