Un nuovo volto della Borgogna, nella Hautes Côtes de Beaune, in compagnia della famiglia Fery, giunta alla terza e quarta generazione dell’azienda Jean Fery
17 maggio 2024
Dopo qualche curva, bosco e prato incontaminato si arriva al paese di Échevronne, pochi chilometri più a nord di Beaune, dove si trova l’azienda Jean Fery.
In un ambiente estremamente curato, tra murales che ritraggono l’attività vitivinicola ed aiuole fiorite, ad accoglierci troviamo la terza e la quarta generazione dell’azienda, rispettivamente Jean-Louis e Frederic. Cominciamo a ripercorrere la storia di Jean Fery, seduti all’ombra di un ombrellone, appena dopo pranzo (il venerdì tutto il team aziendale si ritrova per pranzare assieme).
Il Domaine ha da poco compiuto i suoi primi cent’anni, vista la sua fondazione nel 1922, da parte di Jean Fery, che gli ha dato il nome. L’azienda, per come la vediamo oggi, è il risultato degli investimenti di Jean-Louis, di professione avvocato nella città di Lione, nato a Échevronne e ritornato pian piano nelle terre natali per poter dare lustro all’attività di famiglia.
Mosso da una grande passione per il mondo del vino Jean-Louis ha investito gran parte dei suoi guadagni nell’azienda, ma anche molto del suo tempo, trascorrendo la settimana lavorativa a Lione, per poi tornare nel paese d’origine nel weekend.
“La chance nous souris”, la fortuna ci sorride, quella fortuna di poter fare qualcosa che piace, ovvero concretizzare la passione per il mondo del vino, producendolo.
Oggi Jean Fery conta trentatrè ettari vitati, che presto diventeranno una quarantina in produzione, i quali si estendono da Gevrey-Chambertin alla Côte de Beaune e la Côte de Nuits, con una distanza di circa settanta chilometri.
Lasciato Jean-Louis alle sue mille di attività, proseguiamo la chiacchierata con il figlio Frederic, che sottolinea i due punti che contraddistinguono l’attività di famiglia. Il primo è la propria origine, in un territorio, quale la Hautes Côtes de Beaune, che ha fatto sognare la famiglia di poter avere un posto di prestigio nel mondo dei grandi vini di Borgogna. Con sforzi non indifferenti, dai sette ettari iniziali del 1989, si è creduto in quel sogno che li ha portati, con orgoglio, a crescere passo dopo passo, sviluppandosi in Appellation differenti, pur rimanendo attaccati e fieri delle proprie origini. Il secondo punto che viene sottolineato è proprio quello territoriale, essendo arrivati ad ottenere trentasei Appellation, in cinquantaquattro appezzamenti differenti. Un mosaico di vigneti che rende ancora più complesse le attività, ma è proprio in questa complessità che si trova la parte arricchente del lavoro, con differenti terroir, diversi tempi di raccolta e non uniformità delle lavorazioni.
Dal 2011 Jean Fery ha ottenuto la certificazione BIO, effettuando trattamenti coerenti con il disciplinare, a base di rame e zolfo, ma interrogandosi costantemente su come migliorare ogni anno, per essere il meno impattanti e più sostenibili possibile. Non ci sono regole fisse e ci si deve adattare ai vari territori e alle annate, imparando dal passato e gestendo in maniera puntuale i tre elementi a disposizione: le persone, le macchine e la programmazione. Si adottano anche tecniche come il sovescio, dove necessario e si punta sempre più alla biodiversità in vigna, cercando di adattarsi anche al cambiamento climatico che imperversa di questi tempi.
Il team di collaboratori in vigna è composto da dodici persone ed ognuno è il responsabile di una o più vigne, in zone ben definite. Non si lavora per orari, ma per obiettivi, considerando le vigne come fossero di proprietà di chi le lavora, per far sì che venga messo il giusto amore nella conduzione e mantenimento dei vari appezzamenti. Così si crea anche una sorta di competizione positiva, al fine di ottenere il miglior risultato all’interno del team. Sicuramente una visione molto moderna e di matrice aziendale di altro settore, mai incontrata, fino ad oggi, nel mondo del vino, ma con un’efficacia comprovata. Questo mindset è frutto delle esperienze famigliari in altri business, non essendo nati come vigneronne, ma come appassionati di questo settore, infondendo questa passione e il sogno di fare sempre di meglio a tutto il team.
Al fine di agevolare le lavorazioni, le squadre sono divise in cinque e sono presenti cinque diversi punti logistici nell’ampia area di circa settanta chilometri.
Per scoprire i vari ambienti dell’azienda ci affidiamo a Louic, che da pochi giorni ha iniziato l’attività di responsabile commerciale, dopo una lunga esperienza in un’azienda dell’area di Volnay. Un tempo gli ambienti di vinificazione erano molto più separati e dislocati, ma negli anni si è iniziato a comprare alcune strutture all’interno del piccolo paese, per unificare e collegare al meglio gli spazi.
La prima area che approfondiamo è quella dove arrivano le uve di Pinot Nero, raccolte tutte a mano e successivamente diraspate, per poi essere inserite in tini troncoconici per fermentare, in maniera spontanea. In questa fase un prezioso alleato è il ghiaccio secco, così da regolare le temperature, e, ove necessario, un minimo quantitativo di solforosa. Dopo circa quindici giorni, che possono diventare di più a seconda delle annate, e la conseguente pressatura, il vino viene trasferito per caduta nella sala sottostante, dove troviamo botti di rovere sia francese ma anche austriaco, da duecentoventotto e trecentocinquanta litri, ma anche qualche anfora sperimentale e alcune botti più grandi. Qui avviene la fermentazione malolattica e il conseguente affinamento.
Per quanto riguarda i vini bianchi, dopo la pressatura, il mosto fiore viene trasferito direttamente in botte, con vasi vinari di sette diverse tonnellerie, così da non avere l’impatto di una sola azienda che emerge a marcare il gusto del vino.
Sia la fermentazione alcolica, sia la malolattica avvengono in legno, ad eccezione di qualche massa che effettua le trasformazioni in anfora.
Entrambe le uve, a bacca bianca e a bacca rossa, vengono vinificate per singolo appezzamento, così da poter approfondire le varie sfaccettature delle differenti parcelle, creando in una seconda fase gli eventuali blend.
L’area dedicata alle botti da duecentoventotto litri per il vino rosso sembra un labirinto, formato da parti più nuove e aree più storiche. Il legno utilizzato è di bassa tostatura e media tostatura, utilizzando una percentuale di botti nuovi del 20/40% dipendentemente dall’etichetta che si vuole produrre.
Curiosità è che alcuni di questi vasi vinari, oltre alla “pancia”, hanno subito una tostatura anche del fondo. In ogni caso i periodi di affinamento spaziano tra i dodici e i diciotto mesi, per non avere un impatto così estremo dei sentori di legno. Non c’è una regola fissa, quando il vino è pronto si imbottiglia!
L’azienda nel 2020 si è ingrandita ulteriormente, acquistando la parte del cugino di Jean-Louis il quale, in seguito a storiche divisioni ereditarie, possedeva un’azienda a sé stante, che però non avrebbe trovato eredi, non avendo figli che la potessero portare avanti.
Le etichette prodotte da Jean Fery sono trentaquattro e, per toccare con mano lo stile dell’azienda, ci trasferiamo all’interno della nuova e moderna sala degustazione, trovando nuovamente anche Frederic.
Iniziamo con Rully Premier Cru “La Virgin” 2022, un vino bianco dai sentori eleganti, agrumati, frutto di due appezzamenti Volnay e Les Clox, principalmente calcarei e poco argillosi. Vino dalla grande beva, con buona freschezza e discreta mineralità, buona spalla acida e discreta persistenza.
Proseguiamo con Givry Premier Cru 2022, con uve provenienti da un vigneto basato su argilla rossa, con una vena limosa che scorre all’interno dell’appezzamento stesso. Al naso si presenta più ricco, con sentori di frutta più matura, mela, pesca, albicocca, ma anche note tropicali, uno spunto di basilico e sottofondo di mandorla. Anche in bocca è più tondo e con un corpo maggiore, pur mantenendo beva, spalla acida, buona mineralità e maggiore persistenza.
Il terzo bianco è il Chassagne Montrachet Premier Cru “Abbaye de Morgeot” 2022, con vigneti adiacenti all’Abbazia, coltivati da sempre dall’ordine monastico. Il terreno di questa zona viene definito come qualcosa di magico, essendoci una incredibile variazione di colori all’interno della stessa area, con calcare, terra rossa, argille più scure e marne. In questo caso si utilizzano botti nuove per il 40% ed essendo imbottigliato da tre settimane ha bisogno di un ulteriore riposo in vetro, pur percependo un’ottima prospettiva di invecchiamento. Al naso emergono note di frutta matura, ma anche spezie dolci, mandorla, vaniglia, un tocco di origano e mentuccia, per un palato ricco, pieno, dalle note burrose, ma comunque buona freschezza, acidità e molta persistenza.
Il mondo dei rossi si apre con il Bourgogne “Hautes Côtes de Beaune” 2022, ottenuto dai vigneti limitrofi all’azienda, in una zona più alta rispetto alla media della Regione. Al naso si presenta fresco, con note di ciliegia, lampone, rosa rossa, con pochissimi sentori terziari, solo in sottofondo, per un sorso verticale, dalla buona acidità, “succoso ed immediato”, per una moderata persistenza.
Passiamo al Beaune Premier Cru “Les Cent Vignes” 2022 che si presenta più ricco, con sentori di frutta più matura, amarena, ma anche violetta, note di sottobosco, sentori vegetali, un tocco di rabarbaro. In bocca entra deciso, con un buon corpo, ma anche beva e freschezza, tannino più percettibile, ma mai irruento e maggior persistenza.
Concludiamo con il Nuits Saint Georges 2022, proveniente da uve di un vigneto ricco di calcare, terra rossa e marrone, vinificate per un 30% intere. Si presenta con sentori più erbacei, di liquirizia, ma anche noce moscata, fiori secchi, un sottobosco accentuato e una violetta matura. Al palato è sicuramente più intenso dei primi due, con una buona acidità, tannino che si fa sentire e un tocco amarognolo sul finale. Un vino che è stato messo in bottiglia da poco e che dovrà attendere qualche tempo per essere apprezzato al meglio.
Un ringraziamento a Frederic e Louic a cui sono state consegnate le magliette 339 e 340!