Immersi tra le Rive di Colbertaldo a Riva dei Martin
28 Novembre 2020
Con i compagni di avventura Giacomo ed Alberto creatori del Tajer a forma di Veneto ci avventuriamo alla scoperta di una piccola realtà conosciuta da Giacomo sui social: Riva dei Martin.
Ad accoglierci sono Matteo ed Alfonso e parcheggiando l’auto in prossimità dei vigneti noto uno strano “oggetto” sul bordo della strada. Si tratta di un cannone antigrandine, un vero e proprio cannone alimentato a gas propano che in caso di grandine viene azionato tramite wi-fi per “aprire il cielo” raggiungendo un altitudine di 3600 metri.
Ci incamminiamo verso la casetta immersa tra i vigneti in un percorso tutto in salita che Matteo definisce “Via Crucis” per la fatica che le persone fanno al fine di raggiungere il punto centrale dell’azienda, rendendo tutti uguali anche se arrivano con una macchina di lusso o con l’elicottero.
I due ettari sono in affitto da un giovanotto di 91 anni che aiuta e bacchetta Matteo nella gestione delle vigne e con il supporto dell’eno-tecnico Alfonso producono dal 2019 tre etichette, due di prosecco e una di un rifermentato in bottiglia per un totale di circa novemila bottiglie.
Durante l’impervia strada (cementificata solo nel 1962) il racconto del padre del signor Renzo, nato sotto l’impero Austro-Ungarico, che ogni giorno portava alle vite tra le 10 e le 12 gerle di letame, tutto a mano, per dare la giusta cura e nutrimento alle piante.
La scelta del giovane di dedicarsi alla viticultura dopo un’esperienza di lavoro poco soddisfacente e dannosa per la salute che l’ha spinto, grazie alla passione per il mondo vitivinicolo, a cercare una vigna in affitto sui colli del Prosecco.
Deriso dai più, vista l’inflazione di questi terreni, l’unico a dargli fiducia è stato il nonno Renzo i cui figli non erano interessati a continuare l’attività tra le vigne.
Il desiderio di cambiar vita e di poter comunicare attraverso vini di qualità un territorio talvolta denigrato dalle industrie vitivinicole ha portato Matteo Martin alla creazione di Rive dei Martin. Fortuite le chiacchiere con l’amico ed eno-tecnico Alfonso, a cui vengono tirate più volte le orecchie per la sua eccessiva umiltà, che davanti ad un bicchiere di vino in un bar, un po’ per scherzo, un po’ per gioco, hanno fatto nascere questa realtà.
Ci troviamo a Colberdaldo, immersi nelle Rive esposte a sud tra Conegliano e Valdobbiadene con una prevalenza di Glera e qualche pianta di Perera, l’altro vitigno storico del territorio, dalle base rese e tendenzialmente la prima ad ammalarsi di oidio.
Le lavorazioni di Riva dei Martin vengono effettuate come una volta, con la supervisione costante di nonno Renzo, in una concezione convenzionale/sostenibile. Non ci si può permettere di perdere il raccolto ma altresì è inutile trattare quando non servono i trattamenti, anche per l’esborso economico nel comprare i prodotti stessi.
Arrivati alla casetta in cima al colle Matteo comincia ad estrarre dallo zaino pane, formaggio, salame, per la tipica merenda del pomeriggio oltre alle tre etichette che produce.
Si comincia con il neo-nato in casa Riva dei Martin non etichettato rifermentato in bottiglia, un metodo ancestrale che rifermenta grazie ai propri lieviti e sosta un anno in bottiglia. “Il vino da dove nasce tutto, quello fatto come una volta dal padre di nonno Renzo, o piace o non piace”, questa la descrizione di questa bollicina intesa sia al naso sia in bocca con sentori di frutta matura, crosta di pane, bel equilibrato e con una chiusura minerale. Un ritorno agli anni ’40 senza chiarifiche ma solo filtrazioni meccaniche.
I processi di cantina vengono effettuati conto terzi da un’azienda fidata che conosce Alfonso.
Passiamo al Brut, 6g zucchero, anch’esso non chiarificato (un tempo le chiarifiche costavano troppi soldi) il cui mosto viene filtrato con l’inerte perlite che non da e non toglie sentori al vino. Un vino che sosta un mese in autoclave e si presenta con sentori di mela matura, fiori secchi, con una bolla intensa e cremosa e un’ottima persistenza in bocca.
In questo caso i lieviti vengono selezionati e vi è un’attenzione all’uso del freddo. Frase celebre del nonno Renzo è di “Vendemmiare qui e vinificare in Marmolada”.
Concludiamo con l’Extra Dry “Ditirambo 1754”, un 12g zucchero che sosta tre mesi in autoclave. Frutta, erbe aromatiche, fiori di campo, fiori d’acacia per un extra dry di piacevole beva con una bolla avvolgente e cremosa e un finale minerale.
Viene definito da Alfonso un “Valdobbiadene anni ’80” con un nome che va ancora più in la nei secoli, il Ditirambo era infatti un inno corale greco dedicato a Dioniso, il Dio del vino.
La data 1754 richiama l’anno in cui Aureliano Acanti scrisse il “Roccolo del Ditirambo“, uno storico libro legato al mondo del vino in cui si trova la prima traccia scritta riguardante il Prosecco.
In etichetta inoltre il simbolo della famiglia di Matteo, di origine piemontese e presumibilmente collaboratrice della nobiltà veneziana, uno scudo araldico dalle punte smussate per volere del doge unico nobile degno di avere simboli con le punte.
Lasciata Riva dei Martin e ripercorrendo la strada di ritorno all’imbrunire scopriamo che uno dei compagni di lavoro in vigna è il pettirosso, che scende dall’adiacente bosco a supervisionare Matteo a distanza ed ogni tanto si avvicina a beccolare qualche chicco d’uva.
Il pettirosso è un uccellino molto territoriale e difensivo a tal punto che se trova uno specchio “combatte” contro sè stesso!
Alla prossima merenda tra i colli di Colbertaldo!