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giovedì, 10 Ottobre, 2024

Due chiacchiere con Rudy Sandi per parlare della “sua” Valle d’Aosta

Due chiacchiere con Rudy Sandi, ricercatore dell’identità vitivinicola e della storia della viticultura della Regione Valle d’Aosta

Rudy SandiDopo essere stato in Valle d’Aosta qualche giorno e aver sentito più e più volte nominare la figura di Rudy Sandi, al mio ritorno, è stato pressochè fisiologico contattarlo per una chiacchierata.

Una chiacchierata virtuale che è cominciata con alcuni tratti identitari simili al mio percorso, ma anche una condivisione delle origini, che per entrambi sono da ricondursi alla venezianità, con un altro punto in comune: quello di essere nipoti di immigrati oltralpe, con i nonni di Rudy emigrati a Lione e i miei vicino alla città di Grenoble.

Nato e cresciuto in Valle d’Aosta gli studi di Rudy Sandi si sono concentrati in agraria, anche se “se non avessi fatto agraria avrei fatto psicologia, sicuramente mi sarebbe servito Gustav Jung per assecondare i vari produttori al settimo bicchiere di vino”. La psicologia è stata un argomento onnipresente della nostra chiacchierata, essendo una materia di cui negli anni si è appassionato molto e di cui si sono approfondite numerose sfumature.

Nel suo percorso legato al mondo vitivinicolo il carattere dominante è la passione per la storia della viticultura locale, che addizionata all’approfondimento della cultura rurale di un territorio e dei suoi aspetti sociologici, hanno prodotto come risultato un percorso di ricerca durato una vita, e non ancora interrotto, per far riemergere i tratti perduti dell’identità vitivinicola della Regione Valle d’Aosta.

Rudy SandiIl progetto principale, frutto di un percorso di più di dieci anni, è quello di aver riportato alla luce sia una antica varietà autoctona valdostana che era andata perduta: il Neiret, sia un prestigioso e scomparso vino valdostano medioevale, il Clairet, frutto di un uvaggio composto proprio dal Neiret in abbinamento al Picotendro (Nebbiolo di biotipi valdostani).

Il tutto è iniziato dalla lettura del “Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta”, trattato nella seconda parte della chiacchierata e, da quando è capitato tra le mani di Rudy Sandi un documento del sedicesimo secolo nel quale veniva descritta questa varietà, associata al Picotendro per la produzione del Clairet. Piccolo inciso: per secoli i contadini valdostani cercavano l’espressione migliore di un territorio, lavorando con blend di uve e non con una mono-varietà; in questo caso il blend consisteva in tre parti di Nebbiolo e una di Neiret.

Nel manoscritto veniva indicato come epicentro della produzione la località di Clos de Barme, una piccola frazione di Arnad, a sud-est della Regione. Recandosi poco dopo sul posto, intento ad ammirare il vecchio torchio nella piazza del paese, coincidenza ha voluto che un anziano del luogo si avvicinasse a Rudy, chiedendo il motivo della sua visita. La risposta è stata che ovviamente era legato alla ricerca di eventuali esemplari di questa varietà. L’anziano, appassionato di viticoltura, si vantò di essere l’unico, ormai, a sapere dove fossero le ultime piante di Neiret.

Il destino ha voluto che i due si incontrassero poco prima della scomparsa dell’anziano, quasi come fosse un testimone che non dovesse essere andato perduto.

Una sorta di sincronicità junghiana che ha dato il via alla rivalutazione di questa varietà che, nel medesimo periodo, in seguito ad alcune analisi genetiche, è stata ritrovata anche in un piccolo appezzamento vitato lasciato in eredità dal trisnonno di Rudy. Un lavoro tutto in salita che, dopo dieci anni, ha avuto il suo momento di gloria con la produzione di un vino monovarietale a base Neiret, il quale si è meritato il massimo riconoscimento delle Quattro Viti della Guida dell’Associazione Italiana Sommelier e con la “resurrezione” del Clairet, dopo quasi 200 anni di assenza dalla produzione, ha ottenuto la DOC nel 2022.

Rudy SandiNel corso degli anni si è arrivati ad avere circa un ettaro vitato di Neiret e il 2016 è stato l’anno in cui è stata vinificata la prima bottiglia di Clairet. La filosofia con cui si è voluto produrre quest’ultimo vino è l’applicazione delle sue tecniche di vinificazione antiche, non con una logica passatista, ma con l’interpretazione che la tecnologia moderna ci mette a disposizione.

Da sempre i vitigni valdostani sono stati erroneamente considerati di serie b, anche dagli stessi produttori, che talvolta ignoravano la prestigiosa storia della viticoltura della Regione, in auge fin dall’impero romano. Con questo traguardo si è ottenuta una rivincita nei confronti della storia del vino, creando anche una maggior consapevolezza nelle realtà locali, che hanno avuto e stanno vivendo un periodo di piena ascesa.

Non è che Bacco sia passato in Valle d’Aosta per una toccata e fuga, ci è rimasto un bel po’!

Un fascino per quello che non c’è più, al fine di contribuire al suo recupero, in veste di figura a metà strada tra un agronomo e un appassionato di storia. Rudy si definisce un mezzo per riscrivere le storie anche se la sua mansione principale è quella di curare il tema della concessione delle acque per l’amministrazione regionale; una sorta di ossimoro per un appassionato di vino come lui. Possiamo identificare la sua persona come tra le poche, in Valle d’Aosta, che si è spesa per una vita alla ricerca del passato, delle radici più storiche di questa piccola Regione, mosso dal divertimento e dalla passione. Con l’hobby di rovistare tra gli archivi storici ha riportato alla luce l’essenza di un territorio, facendo da traino a molti viticoltori, che hanno apprezzato molto il suo operato.

Una storia riportata a galla, che è stata fatta propria dalle aziende del territorio, le quali si sono appassionate sempre di più alle proprie radici, per continuare il decorso in maniera più fluida possibile, colmando quel buco di inconsapevolezza procrastinato per anni.

Nel corso degli anni Rudy Sandi ha pubblicato, in una nuova edizione, uno dei libri più importanti della storia della viticoltura valdostana, italiana ed internazionale, il “Saggio sulle viti e sui vini della Valle d’Aosta”. Si tratta di uno dei più importanti trattati di ampelografia al mondo. Questo basilare testo venne redatto da Lorenzo Francesco GattaGatta era, prima di tutto, una persona affascinante dal punto di vista storico, essendo stato uno dei primi combattenti del risorgimento italiano, un intellettuale laureando in medicina presso l’Università di Torino, che fu gravemente ferito ad una gamba in un combattimento, avvenuto all’interno della Facoltà, con i filo-austriaci e rimase zoppo per tutta la vita. In una stampa trovata da Rudy nel corso delle sue ricerche si vede testimonianza dei vari ferimenti che venivano effettuati durante tale combattimento ed in particolare gli rimase impressa l’immagine di una scalinata che gli sembrava di conoscere. Quella che un tempo era la scalinata della facoltà di medicina diventò poi parte della sede di agraria, facoltà frequentata da Sandi un paio di secoli più tardi. Anche qui una coincidenza che ha del magico, una sorta di filo rosso tra i due pur avendo vissuto in due periodi diversi della storia.

Lorenzo Francesco Gatta scrisse il primo saggio di ampelografia, nel quale si individuava per la prima volta al mondo un metodo per identificare ogni varietà viticola esistente, senza margine di errore. Aveva ideato attraverso un caso di studio dei vitigni valdostani, tutte le diverse varietà teorizzando come queste si riproducevano. Poche varietà che hanno dato vita alle altre varietà, tema paragonabile al popolamento di questa Regione, che un tempo trovata molte famiglie formate da persone consanguinee.

A quei tempi esisteva una corrente di pensiero francese che si basava sull’impossibilità di definire con certezza le varietà, puntando alla teoria della loro generazione spontanea. Dopo la morte del Gatta i francesi si appropriarono delle sue teorie promuovendo il suo modello come fosse stato definito dal loro, non rendendo mai la giusta grazia al luminare, che passò la sua vita a fare il medico all’ospedale di Ivrea, rinunciando onorevolmente anche a ruoli istituzionali, oltre che pensionistici offertigli dallo Stato italiano per la sua anzitempo precoce adesione agli ideali risorgimentali e per il valore dimostrato in combattimento.

Il lavoro di Rudy Sandi si è concentrato nel riprendere integralmente il saggio di Gatta, integrandolo con traduzioni dall’italiano ottocentesco ai giorni nostri, con più di mille note descrittive nelle quali sono descritte integralmente le terminologie dell’epoca. Il libro è stato addizionato di una seconda sezione, nella quale sono state aggiunti alcuni spunti personali, dando seguito alle riflessioni del Gatta sulla storia del vino valdostano, sulla cultura enoica della Regione; temi solo accennati da Gatta e approfonditi da Rudy, per rendere omaggio al luminare, alla storia e alla cultura delle proprie origini.

Per il futuro più prossimo è prevista l’uscita di un nuovo libro, meno tecnico, affinchè possa coinvolgere un pubblico di appassionati di viticoltura valdostana, che mette assieme le sue conoscenze di agronomo, vignaiolo hobbystico, appassionato di storia, con la visione di molti amici vignaioli valdostani e le loro storie raccontate al di fuori delle degustazioni più tecniche. Un racconto che vuole promuovere le realtà e gli uomini che stanno facendo grande la Regione, attraverso il vino, pur essendo questo un punto di arrivo e non l’unico mezzo.

In attesa del nuovo libro e in attesa di un calice nella vita reale un ringraziamento a Rudy Sandi.

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