Walter Massa, il pioniere della viticoltura nei Colli Tortonesi, sperimentatore, visionario, artista
27 Ottobre 2021
Dopo il tuffo nella storia con Lino Maga si cambia zona, a circa tre quarti d’ora dall’Oltrepo Pavese, raggiungendo i Colli Tortonesi, immersa nei quali sorge l’azienda Vigneti Massa, di Walter Massa.
Siamo nel piccolo paesino di Volpedo, all’interno del comune di Monleale (provincia di Alessandria), dove ha visto i natali Giuseppe Pelizzo da Volpedo, autore del celebre quadro “Il Quarto Stato”.
Il territorio è quello di Derthona, da cui prende il nome la DOC, l’antico nome di Tortona, fondata dal popolo Ligure, chiamata così poiché era una città fortificata; il termine “Derton” significa, appunto, castello.
La vista sulle vallate vitate è stupenda e l’accoglienza da parte di Walter Massa, intento a travasare alcune vasche di vino rosso dell’ultima vendemmia, è straordinaria, lasciando le sue attività per poterci far godere a pieno del territorio e del paesaggio con un tour tra le vigne nel suo Land Rover.
Tre quarti d’ora tra sali e scendi tra i vari appezzamenti, sali e scendi anche per le fette di soppressa che avevo mangiato poco prima da Maga, viste le pendenze e le innumerevoli buche. Il risultato però ne è valso la pena, anche se gli appunti, scritti sul blocco di carta, hanno assunto la forma di geroglifici.
Tra una marcia ridotta, buche, curve, salite e discese Walter ci racconta la storia della sua azienda. Una storia molto semplice, che trova le sue origini quando qualcuno pensò di affidare la terra ai contadini per poterla coltivare e la sua famiglia era una di queste, fondando nel ‘900 l’azienda “Terre Sparse”, chiaro riferimento alla disposizione degli appezzamenti in zone diversificate.
Walter rappresenta la quarta generazione e, dopo la scuola di enologia ad Alba, fatta contro sua volontà, entrò nell’azienda di famiglia, con idee rivoluzionarie e, da giovane intraprendente, con la voglia di cambiare il mondo.
Per “dare senso al pezzo di carta” ottenuto a scuola, iniziò a coltivare l’uva Moscato, con lo stupore di tutti e le prese in giro dai più, anche se “al tempo non c’erano i social ed era più difficile venire a conoscenza degli insulti della gente”. L’idea di allevare questa varietà trova la sua spiegazione in una metafora, che sottende la semplicità di coltivazione e vinificazione di quell’uva in quella specifica zona: “facevo il moscato perché era come tirare un rigore, gli altri vini, invece, sono come fare goal su azione”.
Solo nel 1979 Walter si avvicinò alla produzione della Croatina, “perché la Barbera non ci dava da mangiare”, assieme allo zio Renato e contro il parere dello zio Giuseppe, che probabilmente era geloso. Ancora oggi la Croatina è una delle uve protagoniste dell’azienda e ricopre circa due ettari e mezzo dei terreni di proprietà.
Uno dei più grandi cambiamenti da lui apportati, è stato quello di accorpare le terre possedute, liberandosi dei terreni più freddi e distanti, per concentrarsi su quelli più vicini alla cantina: “anche senza studiare tanto, è comprensibile che più i terreni sono vicini alla cantina, meno energie si sprecano per potervi accedere e l’uva fa meno strada dalla vigna alle vinificazioni”.
Il ricordo va al nonno materno e a due insegnamenti che Walter porta ancora in mente, il primo è una frase emblematica che riprende la vicinanza dei terreni: “Tech in test e ter a vista d’och” (tetto in testa e terra a vista d’occhio). La seconda è una sorta di provocazione legata alla filosofia di pensiero consumista che stava emergendo all’epoca: il suggerimento era quello di estirpare le vigne ed eliminare le botti poichè per fare i soldi, che in quel tempo non c’erano, il vino lo dovevi fare con acqua e mosto.
Fortunatamente è stato ascoltato solo il primo consiglio!
Tra una buca e l’altra, balzano alla vista dei piccoli fossi, necessari per drenare l’acqua delle numerose piogge che caratterizzano questo territorio. Le piogge, che negli anni si sono trasformate in bombe d’acqua, hanno modificato le vallate e distrutto questi canali di scolo, i quali vengono periodicamente ricostruiti, sperimentando sempre nuovi e più resistenti materiali, arrivando oggi a costruirli con dei traversi da ferrovia interrati.
Tra le chiacchiere emerge il senso della bellezza in Walter Massa, sottolineando più volte l’ordine e la precisione con cui vengono piantate e curate le vigne, rispettandone il loro decorso naturale nella vegetazione propria e circostante. “Quello che faccio voglio vederlo bello”; proprio per questo motivo negli anni scorsi è stata presa la decisione di rifare alcuni impianti tra cui la vigna, visibile da diversi punti della zona, “Specchio del Sole”, ripristinata nel 2019.
Per ristabilire un ecosistema a favore di natura sono stati piantati anche degli alberi da frutto principalmente di albicocche e ciliegie, “volevo godermeli un po’ ma si son seccati tutti”.
Le manovre e gli “imbocchi” tra le vigne non sono sempre semplici pur con un fuori strada, immaginiamoci con il trattore per fare i trattamenti. Trattamenti che vengono effettuati con rame e zolfo, senza l’uso di diserbanti o il piretro: “sono obbligato a trattare contro lo scafoideo, ma cerco di usare il cervello, senza danneggiare troppo la natura e usando un insetticida meno impattante del piretro. E’ pur vero che qualche aiuto dell’epoca moderna è pur necessario; faccio l’esempio del latte in polvere che si da ai figli, sarà anche fatto in laboratorio, ma è qualcosa di prezioso per le mamme che, ahimè, non lo producono naturalmente”.
Un duro lavoro, presidiando costantemente la vigna, nella quale il terreno viene lasciato inerbito spontaneamente sia per tutelare le piante sia per evitare le frane causate dalle numerose piogge.
Gli appezzamenti vitati di proprietà sono tutti nei pressi dell’azienda e trovano dei sottosuoli diversificati, fisiologicamente alcalini, composti da marna, argilla, terra rossa, terre più bianche e grigie e in alcuni punti con la presenza di rocce che emergono dalle vigne.
Affascinante vedere come tra una vigna e l’altra, divise da una strada, cambino i sottosuoli, con la presenza di grandi rocce in quella più alta, mentre prettamente argillosa quella al di là del percorso sterrato, più pianeggiante.
Gli appezzamenti hanno tutti il proprio nome, ed alcuni di essi sono identificati da vecchi contenitori di cemento, riutilizzati in maniera rappresentativa ed artistica. Le uve prodotte da ogni appezzamento sono destinate alla produzione di determinati vini, come ad esempio quello di Bigolla esposto a est/sud, per il 99% piantato a Barbera (il vitigno più diffuso nel comune di Monleale), oppure la parte più vecchia di Cerreta, dove, oltre al 50% di Barbera, sono piantate Nebbiolo, Croatina, Freisa, con un’esposizione in questo caso ad ovest.
Per quanto riguarda il Timorasso i principali appezzamenti sono: Costa del Vento, Costiolo, Sterpi, Fontana del Prete, Marchesa, Gattopardo, Montecitorio, Boscogrosso, Moronata.
Il sali e scendi tra le vigne si interrompe più volte per assaggiare i chicchi di Timorasso rimasti in pianta, in diverse zone, per capirne le sfaccettature, anche se il salame mangiato precedentemente da Lino Maga non ha trovato la giusta digestione e il consiglio di Walter è quello di “stringere gli sfinteri”
Durante il tour una telefonata che inevitabilmente è stata origliata, ha fatto emergere una frase, rimasta incisa nella memoria, la quale ha trovato seguito durante il pranzo. Una cliente di un bar limitrofo ha chiesto alcuni cartoni di Timorasso e la risposta di Walter Massa, con un pizzico di ironia è stata: “se vuoi che venga io a portarteli ti porto le bottiglie con il tappo a vite, se vuoi il tappo normale te li mando giù con il corriere”.
Il punto più distante dalla cantina è il vigneto Galito, caratterizzato da terra rossa, con le uve destinate alla produzione della Bigolla.
E’ qui che ci imbattiamo in un tema potenzialmente spinoso, ovvero la naturalezza del vino, tema articolato e liquidato da Walter Massa con poche semplici affermazioni: “Io non produco vini naturali, faccio solo vini naturali”. “Nel 2021 per fare il vino abbiamo a disposizione: gasolio, azoto, corrente, trattori, diraspatrici, acciai…e io li utilizzo tutti per fare il vino come piace a me. Cerco di usare tutto ciò che la modernità mi offre per fare un vino pulito, anche inquinandolo un po’ con la solforosa che è necessaria per non produrre aceto. Produrre un vino difettoso sarebbe un’offesa economica, sociale e morale nei confronti del consumatore finale, anche se ormai è diventata una moda. Bisogna ricordare quel Müller Thurgau più per i suoi studi sull’utilizzo della solforosa, che per l’uva, avendo fatto un passo per l’umanità, paragonabile al trapianto di cuore”.
Circa trenta ettari vitati compongono l’azienda Vigenti Massa e ciò che fa la differenza sono i collaboratori di Walter, una quindicina di persone che lo supportano nelle attività di vigna e cantina, con cui ha un rapporto diretto e schietto cercando di tutelarli il più possibile in tutte le attività, per raggiungere insieme il miglior risultato da imbottigliare. Il principe dell’azienda è il Timorasso, ma vengono allevate e vinificate anche uve a bacca rossa quali Croatina, Barbera, Freisa, duemila viti di Nebbiolo, oltre al Moscato Bianco.
Dopo la scoperta degli appezzamenti che compongono l’azienda Vigneti Massa mettiamo qualcosa sotto ai denti in un ristorante nel centro del paesino di Volpedo, non prima di aver prelevato quattro bottiglie dalla cantina.
Tre delle quali della stessa annata 2016 di Timorasso “Derthona”, tappate con diversi tappi, due della stessa azienda, ma con capacità di ossigenazione diverse, mentre la terza con tappo stelvin.
Il primo vino si è presentato quasi totalmente ossidato, il secondo leggermente meno, mentre quello tappato con tappo stelvin si è dimostrato ancora fresco e piacevole con le tipiche note floreali, di tiglio, agrumate, minerali, di pietra bagnata, che solo un ottimo Timorasso sa offrire. Estremamente piacevole anche al palato con il suo corpo ben equilibrato, fresco, sapido e minerale, con una buona persistenza.
La quarta bottiglia del Cru “Montecitorio” 2016 più complessa al naso, con una frutta più matura, miele, frutta secca e una leggera pietra focaia pure in questo caso. Anche al palato è più corposo e avvolgente, meno teso del precedente, con una lunga persistenza, ottima mineralità e sapidità.
Per quanto riguarda il Timorasso vengono prodotti diversi Cru, con le uve provenienti da territori differenti, che vengono vinificate in maniera separata, anche se il processo è quasi sempre simile. Dopo una macerazione a freddo in pressa per circa ventiquattro ore a cinque gradi ed una pressatura soffice, viene fatta partire, alzando la temperatura, una fermentazione spontanea in acciaio, lasciando successivamente il vino in vasche d’acciaio o cemento da quaranta/quarantacinque ettolitri al fine di essere decantato per gravità. Le fecce fini vengono periodicamente rimesse in sospensione e l’obiettivo è quello di spostare il vino in vasche più piccole antecedentemente alla successiva vendemmia, per affinare ulteriormente prima dell’imbottigliamento, senza filtrazioni o chiarifiche.
La produzione è uniforme per tutti i Cru, circa ventimila bottiglie complessive di Timorasso, che portano il nome di Montecitorio, Sterpi, Specchio del Sole, Costa del Vento e probabilmente uscirà anche il quinto Cru, Gattopardo. A completare la gamma dei vini altre centomila bottiglie di cui una grande percentuale di Timorasso Derthona e Piccolo Derthona.
“Il vino è una cosa seria” cit. Lino Maga “e dovrebbe avere un prezzo che dipende dalla qualità che si ottiene in una determinata annata. Io nelle annate meno favorevoli destino le uve di Timorasso alla produzione del Piccolo Derthona; vorrei che anche in questo territorio si sposasse la filosofia delle Langhe dove il Nebbiolo non è altro che un Piccolo Barolo”.
Dopo pranzo una breve sosta per vedere una delle macchine imbottigliatrici comprata in comune con altre, circa, venti aziende. Una scelta fatta nel 1999 per ammortizzare le spese di imbottigliamento, con l’acquisto della prima linea, che ad oggi ha visto l’introduzione anche di altre due colleghe. In quella giornata la macchina è in funzione nell’azienda Maurizio Bruno, a pochi chilometri di distanza da Walter.
Walter Massa si è definito più volte democristiano, ma è stato innescato un processo di conversione liberale, come si evince dai suoi vini “Libertà”, blend di Barbera, Cortese e Freisa, oppure “Avvelenata”, la Freisa leggermente frizzante. Una sorta di anarchia dettata dalla visione, quasi sempre meditata e razionale, finalizzata a gestire al meglio i suoi terreni e produrre vini ben equilibrati, di cui il primo giudice e critico e lui stesso.
Il futuro è in mano ai nipoti ventiduenni, figli della sorella di Walter Massa, che hanno voluto intraprendere questa strada, con due sfaccettature diverse, essendo un perito agrario e un diplomato al liceo linguistico che ha intrapreso la strada dell’enologia. “L’unica cosa che impongo è che non si dovrà fare lo spumante, è meglio che si comprino una barca piuttosto che fare spumante”. “Io avevo la terra e come loro ero privilegiato, ma sono partito da zero poiché avrei potuto piantare anche fichi, forse sarebbe stato più facile; loro sono sicuramente ancora più privilegiati!”
L’azienda Vigneti Massa è stata la prima ad emergere nel territorio dei Colli Tortonesi e sarà sempre ambasciatrice di queste colline per darne la giusta valorizzazione, facendo gruppo con le altre aziende per portare in Italia e nel mondo il nome di una zona che merita di avere il giusto prestigio.
Prima di lasciare Walter Massa uno sguardo alla cantina, dove il cemento la fa da padrone, oltre alle vasche in acciaio.
E’ qui che mi regala il libro, in anteprima “Manualetto Popolare del Viticoltore”, di Luigi Cataldi, con tanto di dedica:
“il vino lega gli uomini di buon senso e li rende sempre migliori e più distanti dagli elementi nefasti. Il vino è vita. La vita è il vino. E’ un brivido che vola via, tutto un equilibrio sopra la follia”. Walter Massa.
Nella speranza di rivederci quanto prima davanti ad un calice, per Walter Massa maglietta numero 99 di Winetelling!